Senza privilegi
(Esaltazione della S. Croce)
Prepararsi alla domenica
di Antonio Savone
Messaggio a lungo travisato, quello della Croce. Questa festa nasce, infatti, nel segno di un cristianesimo da imporre, di una croce da esibire, da ostendere come segno di potenza e di vittoria da parte di un imperatore che avrebbe avuto la meglio sull’esercito avversario se gli scudi dei suoi soldati avessero vestito l’emblema: in hoc signo vinces.
Ma è proprio così? Di che cosa è segno la croce? A quale realtà rimanda? È, quello della croce, un messaggio di forza, di prevaricazione, di dominio? O non piuttosto il segno permanente di un Dio che continua a “svuotarsi”, a spogliarsi di tutte le sue prerogative – persino quelle di una divinità dispotica – per condividere la sorte dei crocifissi della terra?
Senza privilegi: così il Dio svelato dal segno della croce.
Il travisamento di quel segno è mai superato se vogliamo difendere a spada tratta quel simbolo nei luoghi pubblici come distintivo di identità contro qualcuno: lo si trasformerebbe nel suo contrario, in elemento di prevaricazione. Non è certo riempiendo il mondo di croci che una fede è salvaguardata. Quando quel segno, infatti, non dice uno stile di vita, un mondo ricolmo di croci finisce solo per essere grottesco.
Nessuno è mai salito al cielo… Tante le tradizioni religiose che parlano di un personaggio che riesce finalmente a carpire il segreto di Dio salendo al cielo. Quanto cristianesimo propagandato all’insegna di un Dio da raggiungere, un premio da conquistare, un perenne superare se stessi. Non così, dice Gesù: non occorre qualcuno che per grazia speciale salga al cielo perché Dio stesso ha scelto di condividere con l’uomo quello che gli è proprio.
Dio parla la mia lingua, dal basso, da uomo, come ben esprime il termine figlio dell’uomo. Dio “si” dice con le mie parole, addirittura con la parola più bassa della terra che è la morte. Persino la morte, assunta da Dio, diventa significativa. Non irrilevante, dunque, il mio linguaggio, quello che più mi appartiene e più mi esprime se Dio stesso ha scelto di farlo suo.
Quando Dio parla sceglie una realtà da cui, fino a Cristo, non si poteva che allontanare lo sguardo, inorriditi. Sceglie come linguaggio per dirsi proprio l’umanamente irrilevante e inaccettabile. Scelta irreversibile e permanente. Ancora oggi. Ancora così. L’umanamente inaccettabile preso a prestito da Dio. E qui noi, allora, a farci osservatori attenti perché non distogliamo lo sguardo da ciò che non riusciamo a tenere in nessuna categoria di pensiero ragionevole. Il non senso può essere abitato da un diverso modo di starci: per passione d’amore. Dio ha tanto amato il mondo… che quello che era uno strumento di morte è divenuto albero di vita.
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“La vita cristiana è tutta una esegesi della kenosi (abbassamento, svuotamento) di Cristo” (Isacco Siro). La vita cristiana, la mia vita dunque, narrazione di un Dio che si svuota. Consapevoli che la vita si guadagna donandola, si ottiene spendendola, si conquista affidandola.