«In passato, la maggior parte delle guerre erano motivate dall’idea di nazione. Oggi, invece, le guerre vengono scatenate soprattutto con la scusa della religione. Nello stesso tempo, però, se mi guardo intorno noto una cosa: forse per la prima volta nella storia, il Santo Padre è un leader rispettato come tale non solo da tante persone ma anche dalle più diverse religioni e dai loro esponenti. Anzi: forse l’unico leader davvero rispettato. Per questo mi è venuta l’idea che ho proposto a papa Francesco…».
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«Oggi ci confrontiamo con centinaia, forse migliaia di movimenti terroristici che pretendono di uccidere in nome di Dio. E’ una guerra del tutto nuova rispetto a quelle del passato, sia nelle tecniche sia soprattutto nelle motivazioni. Per opporci a questa deriva abbiamo l’Organizzazione delle Nazioni Unite. E’ un organismo politico ma non ha né gli eserciti che avevano le nazioni né la convinzione che producono le religioni. E lo si vede bene: quando l’Onu manda in Medio Oriente dei peace keepers che vengono dalle Isole Fiji o dalle Filippine e questi vengono sequestrati dai terroristi, che può fare il segretario generale dell’Onu? Una bella dichiarazione. Che non ha né la forza né l’efficacia di una qualunque omelia del Papa, che nella sola piazza San Pietro raduna mezzo milione di persone».
«E allora, preso atto che l’Onu ha fatto il suo tempo, quello che ci serve è un’Organizzazione delle Religioni Unite, un’Onu delle religioni. Sarebbe il modo migliore per contrastare questi terroristi che uccidono in nome della fede, perché la maggioranza delle persone non è come loro, pratica la propria religione senza uccidere nessuno, senza nemmeno pensarci. E penso che dovrebbe esserci anche una Carta delle Religioni Unite, esattamente come c’è la Carta dell’Onu. La nuova Carta servirebbe a stabilire a nome di tutte le fedi che sgozzare la gente, o compiere eccidi di massa, come vediamo fare in queste settimane, non ha nulla a che vedere con la religione. E’ questo che ho proposto al Papa».
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L'osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite: "Dal leader israeliano il riconoscimento che Francesco è un simbolo religioso non solo per i cattolici ma per tutta l'umanità. Il dialogo fra le religioni può essere ponte tra le nazioni anche se non può sostituirsi alla politica"...
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Serve davvero un’ONU delle religioni? Magari affiancata da una Carta delle Religioni unite? I termini con cui viene riassunta la proposta di Shimon Peres a papa Francesco sono di sicuro effetto mediatico, ma siamo convinti di sapere esattamente di cosa si sta parlando? Siamo concordi nell’interpretazione da dare a queste parole e a questa proposta? Nessuno mette in dubbio la sincera intenzione di pace che anima l’iniziativa assunta dall’ex-presidente israeliano, ma non possiamo esimerci dall’interrogarci sulle motivazioni che ne dà e sulle letture che ne possono derivare.
Se infatti il motivo principale – come sembra di capire dalle parole con cui è presentata la proposta di Peres – è il fallimento dell’ONU, della sua Carta fondatrice e, implicitamente, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non si vede come una nuova struttura, a composizione religiosa e non statuale, e una nuova dichiarazione di principi, confessionali e non di etica universale, possano riuscire là dove riteniamo abbiamo fallito le migliori risorse che l’umanità ha saputo investire all’indomani della seconda guerra mondiale. Forse che le affermazioni etiche della Carta delle Nazioni unite o i diritti fondamentali di ogni essere umano sanciti nel 1948 sono ritenuti non più validi? O non è piuttosto in discussione l’incapacità a metterli in pratica e la mancanza di volontà nel farli rispettare? E se mancano risorse e strumenti coercitivi per imporre tali valori e per fermare chi li conculca, crediamo davvero che un appello in cui il linguaggio religioso sostituisce quello diplomatico possa avere successo? Inoltre, in base a cosa riteniamo che chi non aderisce a nessuna religione sia privo di istanze etiche?
Ma vi è una lettura più immediata di questa iniziativa, ed è quella che stuzzica subito l’enfasi da parte dei media: un ipotetico nuovo organismo mondiale potrebbe stabilire una sorta di minimo comune denominatore delle fedi, di ciò che è permesso e che è proibito in ambito etico secondo i dettami delle diverse credenze religiose. Ora, in questa ottica, non si può evitare l’impressione di un appiattimento sincretista, di uno sfumare della rivelazione in una nebulosa in cui tutte le verità si equivalgono e ogni professione di fede è vittima dell’“indifferenza”. Certo è più facile addossare a un’entità interreligiosa oggi inesistente – e difficilmente realizzabile – le responsabilità cui il consesso delle nazioni non ha saputo far fronte degnamente, che non richiamare ai loro doveri etici e civili le nazioni e i loro governanti, la politica e l’etica pubblica. Forse che oggi chi ha le leve del potere politico ed economico ignora ciò che è bene e ciò che è male per l’umanità? Sta davvero aspettando ansioso che le religioni del mondo gli diano suggerimenti in proposito? O non è vero piuttosto che trascura consapevolmente questa chiara distinzione in base ai propri interessi?
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