17 agosto 2014
Da oggi si chiama Francesco. Ha cinquantasei anni, gli occhi a mandorla neri, pochi capelli in testa. Il volto appare provato dal dolore nonostante abbia appena ricevuto la grazia del battesimo. Papa Francesco mantiene la promessa fatta a Daejeon a questo padre che ha perso un figlio non ancora sedicenne nella tragedia del traghetto Se Wol e domenica lo battezza nella cappella della nunziatura.
Lee Ho Jin è venuto senza padrino. Si presta un dipendente della nunziatura. Il rito si svolge in coreano. A tutto pensa padre John Chong Che-chon S.I. che ha assistito il Papa nel viaggio come interprete per la lingua coreana.
Il Pontefice interviene al momento di versare l’acqua benedetta sul capo dell’uomo e di ungerlo con il crisma. Ho Jin sceglie di chiamarsi d’ora in poi Francesco.
Il Pontefice interviene al momento di versare l’acqua benedetta sul capo dell’uomo e di ungerlo con il crisma. Ho Jin sceglie di chiamarsi d’ora in poi Francesco.
Il sig. Lee Ho Jin era accompagnato da un figlio e una figlia e dal sacerdote che lo aveva presentato al Papa a Daejeon.
Il Papa è stato felice di poter partecipare così – in modo precedentemente non previsto – al grande ministero di amministrazione del battesimo di adulti della Chiesa in Corea.
L’uscita è un po’ più comoda rispetto alle altre giornate: si parte alle 10 per raggiungere Haemi, altra località legata al ricordo dei martiri coreani del XIX secolo. Il viaggio del Papa, ormai alla sua quarta giornata, assume da domenica 17 agosto una dimensione più ampia, continentale.
Quarantacinque minuti di volo e gli elicotteri atterrano nel parcheggio di una scuola a quattro chilometri dal castello di Haemi, dove i vescovi dell’Asia attendono Francesco. Accanto a ciò che rimane del castello è stato eretto un santuario dove si venerano i martiri coreani dell’Ottocento, molti dei quali decapitati proprio nelle segrete dell’antico edificio.
Il rettore fa gli onori di casa ma lascia la parola al cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbay, presidente della Federazione delle conferenze episcopali dell’Asia.
Ora si prega. Vengono proclamate le letture, si recita l’ora media. Il Papa scende dalla cattedra e sceglie di parlare viso a viso con i vescovi.
Circa 400 persone hanno ascoltato il Papa nel Santuario di Haemi, conosciuto anche come “Santuario del martire ignoto”, perché l’identità della maggior parte dei 132 martiri torturati e uccisi nel luogo non è nota.
Pranzano insieme, il Papa e i vescovi dell’Asia, nella residenza annessa al santuario. Poi si dirigono verso il castello nel cui piazzale interno migliaia e migliaia di giovani, sin dalle prime ore del mattino, cantano e pregano nonostante la pioggia caduta senza sosta.
«Alzatevi, giovani dell’Asia. La gloria dei martiri risplende su di voi». Il Pontefice fa suo il motto della sesta giornata della gioventù asiatica e lo traduce nell’esperienza quotidiana. Ha davanti a sé giovani in rappresentanza di 23 Paesi. Ci sono assenze che pesano. O forse sono solo presenze nascoste. C’è sicuramente anche chi rischia. E lo sa. Ma c’è quella gloria dei martiri alla quale dar conto.
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I colori sono meravigliosi. Ogni gruppo annuncia la sua presenza con una sorta di divisa particolare, riconoscibile dalla maglietta o dal capello. Ognuno vorrebbe raccontare la propria storia. Ma il Papa li conosce bene. Sa che tra di loro c’è chi vive nel benessere e corre il rischio di perdersi inseguendo modelli che non appartengono alla sua cultura. Non a caso l’Asia è il continente con il maggior numero di internauti al mondo e la velocità dello scambio di informazioni a volte finisce per frastornare giovani abituati ad altri ritmi.
Ma c’è anche chi, nonostante il rapido mutamento della condizione economica abbia portato il continente al primo posto nella scala mondiale, rappresenta quanti vivono nell’assoluta indigenza. Le statistiche spaventano: si parla di centinaia di milioni di poveri.
E la povertà tocca per la gran parte proprio i giovani asiatici. Nel continente del resto vive il cinquanta per cento dei giovani al di sotto dei venticinque anni. Ma oggi qui ad Haemi non c’è spazio per la disperazione. Si pensa solo a fare il pieno di speranza per ripartire. E il Papa dall’altare usa le parole giuste. Appropriata la cornice.
L’altare viene montato pochi istanti prima dell’arrivo del Pontefice. È realizzato con le croci, incastrate l’una nell’altra, che ognuno dei gruppi presenti ha portato con sé e sulle quali ha raffigurato la propria sofferenza: chi per la mancanza di libertà, chi per la mancanza di lavoro, chi per la mancanza della pace. Uno speaker chiama i gruppi uno dopo l’altro e spiega ciò che depongono su quell’altare. Anche tre giovani cinesi portano la loro croce.
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