di Cornelia Isabelle Toelgyes
“La felicità costa poco, perché se è cara, non è di buona qualità. E se la felicità a volte si dimentica di voi, voi non scordatevi della felicità”. Parola di Roberto Benigni. Un bambino, un giovane che sa sorridere, sarà un adulto responsabile. Ed è proprio basandosi su questo principio sacrosanto che sono nati i circhi cosiddetti sociali, i Kasikonde. Sono stati fondati un po’ ovunque nel mondo. Anche in Africa. Ce n’è uno anche in Uganda, dove la vita di molti ragazzini non è proprio una passeggiata.
Da piccolino deve occuparsi del fratellino/sorellina nato/a dopo di lui. Poi, appena è cresciuto un pochino, il giovane deve andare a lavorare per dare un sostegno alla famiglia. Ma spesso questo lavoro nemmeno c’è. Deve andare a mendicare oppure arrangiarsi come può, rubacchiando qua e là ed è già fortunato se non cade nelle mani di organizzazioni criminali. Per andare a scuola, divertirsi, giocare con gli amici, diventare un cittadino consapevole, non rimane tempo e tutto ciò che a noi sembra tanto normale è ben lontano da ciò che la vita ha destinato a questi adolescenti.
I giovani che crescono negli slums, nei sobborghi poveri di una grande città, in qualsiasi parte del mondo si trovi, portano uno zainetto molto pesante sulle spalle, carico di mille problemi irrisolti, di disagi, di sofferenze, di solitudine. Non è facile svuotare questo zaino e riempirlo di felicità, di sogni e di speranze.
Spesso ragazzi come questi, anche se seguiti durante un certo periodo dell’adolescenza dai servizi sociali o/e operatori di associazioni private, una volta diventati adulti, si trovano di fronte a nuovi ostacoli che da soli non sanno affrontare, risolvere, come la semplice quotidianità, che pur richiede un certo grado di autodisciplina, cercare e/o mantenere un lavoro perché privati dalla tenera infanzia di quelle piccole eppur così grandi cose per inserirsi come adulti consapevoli nella società. Non è dunque raro che si crei una certa dipendenza tra i servizi sociali e i giovani non possono più fare a meno del loro sostegno sia morale che economico.
La disciplina circense, incredibile a dirsi, è stata di grande aiuto a molti di loro. Ed ecco perché sono state create le “Kasikonde”, chiamate anche “circo sociale”, un movimento che negli ultimi anni si è diffuso in tutto il mondo. Si riferisce a una metodologia che utilizza le arti circensi come mezzo per la diffusione della giustizia e il benessere sociale. Si utilizzano strumenti pedagogici alternativi per lavorare con i giovani socialmente emarginati o a rischio.
L’arte circense insegna disciplina al giovane, lo stimola a lavorare in team, aumenta la consapevolezza del sé e, un fattore non trascurabile è che chiede al ragazzo di usare la sua marginalità per esprimere al meglio se stesso. In questo modo è possibile instaurare un nuovo rapporto con una società che prima lo aveva respinto ed escluso.
Per saperne di più:
- il sito Hiccup Circus Uganda
- e la pagina Fb Hiccup Circus Uganda