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mercoledì 19 marzo 2014

"Giuseppe, il santo delle partite Iva" di Gianfranco Ravasi


Giuseppe, il santo delle partite Iva
di Gianfranco Ravasi



Una critica degli apocrifi
Stavolta il cardinale Gianfranco Ravasi – già ben noto per le sue opere esegetiche su personaggi biblici come Giobbe o Qoelet – ha scelto di soffermarsi su un protagonista umile per eccellenza, eppure tanto importante nell’economia biblica: «Giuseppe. Il padre di Gesù» (San Paolo, pp. 128 , euro 14). Il nuovo volume propone un’analisi essenziale ma anche molto puntuale della figura evangelica, discreta e silenziosa, del padre legale di Gesù. Ogni capitolo esamina gli episodi che lo vedono implicato, dall’annunciazione alla fuga in Egitto, senza escludere le varie ipotesi che – sulla base di apocrifi (tra cui l’antica «Storia di Giuseppe il falegname») e di tradizioni espresse anche nell’arte – sono state elevate sulla vita "nascosta" di Giuseppe. In questa pagina riportiamo l’analisi cui il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura (nella foto) sottopone le teorie che ultimamente volevano iscrivere il padre di Gesù alla media borghesia del suo tempo.

Ci soffermiamo su una sola parola: quella che nei vangeli definisce la professione di Giuseppe e dello stesso Gesù, prima del suo ministero biblico. Attorno a questa parola greca, téktôn, si è accesa una polemica tra chi vorrebbe continuare a classificare Gesù e la sua famiglia nella categoria della povertà e chi, invece, vorrebbe promuoverla al rango di media borghesia, soprattutto in vista dei vari tentativi di raccordare capitalismo «misericordioso» e cristianesimo.

Ora, è da notare che il primo a definire Gesù un téktôn (e spiegheremo ovviamente che cosa significhi) è Marco che, in occasione di una visita a Nazaret, osserva che i concittadini ironicamente si chiedono: «Non è egli il téktôn, il figlio di Maria?» (6,3). Matteo, che probabilmente si trova a disagio con questo sarcasmo e con questo titolo, riprende il racconto di Marco, ma con una curiosa variante: «Non è egli [Gesù] il figlio del téktôn?» (13,55). Com’è evidente, qui è Giuseppe ad essere iscritto a questa professione. Che la cosa non fosse molto esaltante è confermato anche da Luca che, molto più asetticamente, trasforma così la domanda: «Costui non è il figlio di Giuseppe?» (4,22).

A questo punto, per definire lo statuto sociale di Gesù e del suo padre ufficiale è necessario studiare non solo il vocabolo in questione, ma anche le coordinate socio-economiche della Palestina di quell’epoca. Il termine téktôn di per sé indica il falegname o il carpentiere, «colui che esercita il suo mestiere con un materiale duro che conserva la sua durezza durante la lavorazione, per esempio legno, pietra, corno, avorio», come scrive Richard A. Batey in un saggio scientifico sul vocabolo in questione (non sarebbe, allora, corretta la resa «fabbro»). Le antiche versioni siriaca e copta dei vangeli, i Padri greci della Chiesa, la tradizione popolare e iconografica, hanno optato per la traduzione «falegname».
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