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giovedì 28 marzo 2013

"Quel Papa che lava i piedi" di Enzo Bianchi

Nella liturgia cattolica – ricca di molti segni, cioè di azioni eloquenti e gravide di significato – vi è un gesto che viene compiuto solo una volta all’anno, all’inizio dei tre giorni di memoria e celebrazione della passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo: la lavanda dei piedi. Questa azione è ispirata dal quarto vangelo, quello di Giovanni che, nel racconto dell’ultima cena fatta da Gesù con i suoi discepoli a Gerusalemme nei giorni precedenti la passione, non ricorda il segno del pane spezzato e del calice di vino condiviso quali memoria anticipata della passione e morte di Gesù, ma ricorda un’altra azione: Gesù, durante quella cena d’addio si alzò da tavola, si cinse ai fianchi un asciugamano e passò a lavare i piedi ai discepoli, uno dopo l’altro...
Questo il messaggio: il vescovo di Roma lava i piedi agli ultimi, pone un segno che il suo servizio è reso a quanti sono giudicati più lontani, ai confini della convivenza umana. È l’immagine della chiesa che si piega sui bisognosi: “Ero in carcere e siete venuti a visitarmi...” (Mt 25,36). Quella di papa Francesco è un’interpretazione audace, potremmo dire innovativa, generata da una chiesa, quella sudamericana, attenta ai poveri e agli oppressi, in una società che conosce la persecuzione, la prigionia, la violenza, sovente perpetrata anche contro innocenti. E la scelta di un carcere minorile è anche un segno forte di speranza posto proprio là dove la dimensione educativa che la costituzione assegna al carcere dovrebbe essere garantita con ancor maggiore efficacia, là dove ancor più intollerabili si fanno le condizioni disumane di sovraffollamento e di mancato rispetto della dignità personale.
Molti si scandalizzeranno di questo gesto compiuto fuori dalle basiliche del papa – San Giovanni in Laterano, San Pietro – vi sarà chi lo qualificherà di populismo o demagogia... 

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