Quattro parole rendono preziosa per tutti l'omelia che Papa Francesco ha tenuto nella celebrazione eucaristica di inaugurazione del suo servizio di vescovo di Roma. Si tratta di quattro termini incastonati in un discorso dalla luminosa semplicità, col tono di chi parla dal cuore al cuore, come pastore che cerca, ama e abbraccia quanti Dio ha voluto affidargli.
La prima parola è «custodia»... Custodire vuol dire stare accanto agli altri con attenzione d'amore, prevedendo, provvedendo, rispettando, accogliendo l'altrui cammino nella profondità del cuore e della vita...
Così l'idea del custodire rimanda a un secondo termine usato dal Papa: la «tenerezza». Questa significa non semplicemente l'atto del donare, ma il dare con gioia che suscita gioia. Chi dando crea dipendenze non è libero e non rende liberi. Chi dona con gioia e rende l'altro felice del dono e consapevole che ogni dono è un reciproco scambio di bene rende l'umanità più vera, più serena, più bella per tutti...
S'illumina così il senso della terza parola dell'omelia del Papa che vorrei sottolineare: «servizio»...
Giungiamo così all'ultima delle quattro parole che ho voluto ricordare della bellissima confessione di Papa Francesco («omelia» significa confessare la fede che arde, illumina e nutre il cuore di chi crede e con la parola e la vita annuncia la gioia della sua fede): la «speranza»...
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“Solo chi serve con amore sa custodire”. È all’insegna del servizio nella tenerezza che ha avuto inizio il “ministero petrino del vescovo di Roma Francesco”: già la dizione ufficiale voluta per la messa di apertura del pontificato è un segno estremamente eloquente che si pone in continuità con le parole e i gesti cui papa Francesco ci sta abituando rapidamente. E come intenda esercitare questo ministero, il papa lo ha indicato con tenera fermezza nella sua omelia e, prima ancora, in quella predicazione attraverso i segni e i simboli che è la liturgia. Una liturgia di sobria bellezza ed essenzialità che ha accompagnato la maestosa solennità dell’evento e che ha sottolineato la dimensione comunionale del collegio dei cardinali: solo questi ultimi, infatti, formalmente membri del clero di Roma, hanno concelebrato, così come sull’altare accanto al papa sono saliti tre cardinali non in base agli incarichi rivestiti ma alla loro anzianità nell’“ordine” di appartenenza – vescovi, presbiteri e diaconi – insieme a un patriarca delle chiese orientali.
Prima dell’inizio della liturgia c’era stato l’abbraccio ideale con la gente di piazza San Pietro, con la spontaneità di gesti che nemmeno l’inevitabile uso dell’automezzo senza le solite misure di sicurezza ha offuscato. Poi la preghiera silenziosa sulla tomba dell’apostolo Pietro di cui il papa è successore, e quindi la liturgia improntata alla sobrietà e alla semplicità evangelica nei canti e nei riti segnati dalla nobile povertà restaurata dal concilio Vaticano II. Ma è nell’omelia, ispirata ai testi biblici proclamati – quelli previsti per la festività liturgica di san Giuseppe, non altri scelti per l’occasione – che è emersa la visione di chiesa e del proprio ministero che Francesco porta nel cuore. Una chiesa che, sull’esempio di san Giuseppe, si fa custode e va al “centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato”...
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