''Il piccolo Luigi che si e' smarrito puo' ritrovare il papa' dietro la porta di Buffon''. Al campo di Rizziconi, erba sintetica e misure da calcetto, e' una gran festa di paese con invitati speciali: gli azzurri di Cesare Prandelli.Fuori pero' c'e' un altro mondo. Quello che di questo terreno voleva fare una discarica per il malaffare e ora non accetta di lasciarlo al divertimento di giovani calciatori. Per questo Don Ciotti ha chiamato gli azzurri. Per gridare forte il suo messaggio, ''un calcio a tutte le mafie'', e stavolta non e' solo metafora. Fuori c'e' la protesta di qualche padre della Piana di Gioia Tauro, dispiaciuto di non poter entrare e di lasciarsi sfuggire un autografo. Soprattutto c'e' chi, all'ombra di un piccolo paese indifferente a tanto entusiasmo, ascolta l'eco di una domenica particolare e si prepara - assicura Don Ciotti - a rispondere gia' da domani.
''Oggi abbiamo allenato le nostre coscienze, i nostri valori'', dice orgoglioso Cesare Prandelli, rapido due mesi fa nell'accettare la richiesta di Libera e delle Acli: venite a inaugurare per la terza volta quel campetto sottratto alle 'ndrine locali?
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La sua giornata speciale è iniziata prestissimo con la visita alla tomba del piccolo Domenico Gabriele, ucciso a soli undici anni in un campo di calcetto a Crotone dalle pallottole deviate di un sicario di mafia. «C’è una maglia della Juventus e tre palloni. Avrei voluto portarvi lì a depositare dei fiori,ma l’ho fatto io al posto vostro», racconta agli azzurri in fila a fondo campo stringendo a sé Francesca e Giovanni, i genitori di Domenico. Al suo fianco c’è anche Stefania Grasso: suo papà saltò in aria nell’auto imbottita di tritolo per aver avuto il coraggio di dire «no» al racket e adesso lei si occupa per Libera degli altri parenti delle vittime di mafia. È il momento più toccante della festa di Rizziconi, e mentre don Ciotti parla sugli spalti e intorno al campo sportivo c’è un silenzio irreale.
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In estate, quando Libera e Federcalcio avevano annunciato l’iniziativa, le ’ndrine avevano subito battuto un colpo. A modo loro, ovviamente: sette ettari di ulivi bruciati a pochi chilometri da qui. Un messaggio fin troppo chiaro, di quelli che Libera riceve ormai con preoccupante continuità, l’ultimo soltanto sabato scorso in una cooperativa a Latina dove sono state danneggiate tutte le pompe dell’acqua.
Ma ci vuol altro a fermare don Ciotti e i suoi ragazzi che ieri hanno finalmente coronato il sogno di portare la Nazionale di calcio sul campo di Rizziconi, 8mila anime nella piana di Gioia Tauro e tre consigli comunali sciolti negli ultimi undici anni per infiltrazioni mafiose. Terra di ’ndrangheta, di violenza e morte.
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Dicono che da queste parti le mafie prosperino per l'assenza dello Stato. Ieri a Rizziconi, Comune commissariato 5 volte negli ultimi 11 anni per le collusioni tra la politica e la 'ndrangheta, lo Stato c'era e in abbondanza. Stava schierato in mezzo al campo di calcetto, nella più classica parata delle Autorità. Si notavano il governatore della Calabria, Scopelliti, il presidente della Provincia di Reggio, alcuni consiglieri, il commissario governativo, il questore, persino il vescovo della diocesi di Oppido-Palmi. E tra la folla, un migliaio di persone, in maggioranza ragazzi delle scuole selezionati con l'invito, c'era altrettanto Stato: decine e decine di poliziotti, carabinieri, finanzieri, forestali, pompieri, vigili urbani, militari e addetti alla protezione civile quanti non se ne vedevano dal terremoto a L'Aquila. Lo stuolo degli automezzi era imponente, le mostrine degli ufficiali lucide. Sembrava il finale di Blues Brothers.
Se i mafiosi dovevano spaventarsi questa era l'occasione. Peccato che lo schieramento, incluso l'elicottero della Polizia che volteggiava sulla piccola tribuna, fosse lì per presenziare all'allenamento della Nazionale e a godersi il buffet con i prodotti dei terreni sequestrati alle cosche.
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