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lunedì 12 agosto 2024

Olimpiadi 2024 - Il pianto di Tamberi passerà alla storia dello spirito olimpico, come e più di una medaglia

Olimpiadi 2024

Il pianto di Tamberi passerà alla storia dello spirito olimpico, come e più di una medaglia

Le energie non ci sono, mente e cuore non bastano, ma il sacrificio del campione che ha onorato l'olimpismo come pochi diventerà un racconto che i cinque cerchi tramanderanno


Ha addosso i segni del digiuno, potrebbe fare da modello per gli eremiti e i martiri di mezza storia dell’arte, scavato nel corpo e nell’anima, Gian Marco Tamberi il 10 agosto allo Stade de France, è già un mezzo miracolo che si sia presentato, ma non ha il carattere di chi si accontenti di comparire e salutare. Ci prova. Due errori senza energia a 2.22, misura per un Tamberi in condizione non rasoterra ma quasi. Non è il caso di stasera. Alla terza prova sale di rabbia, di energie nervose, di scarica di adrenalina.

Ma funziona una volta e mai più. L’urlo prima della rincorsa stavolta non basta, il corpo tradito dal dolore, dalla fatica, dalla giornata iniziata con una colica renale alle cinque di mattina e terminata al pronto soccorso, non risponde: non gli rende il rimbalzo che la mente prova invano a comandare.

Dopo il terzo salto a 2.22, acciuffato per la gola, forse ha sperato che mente e cuore sostituissero le gambe, ma non funziona così. Al primo a 2.27, dove l’elevazione manca, Gimbo forse capisce che non ce n’è, chiede alla mente di raschiare il fondo delle energie che non ci sono, ma forse già sa. Prima del terzo tentativo a 2.27, naufrago all'ultima spiaggia, irrangiunginile, si inginocchia per terra, si mette le mani in faccia, forse prega, si fa il segno della croce. Chissà che cosa chiede a Chi decide in cielo, che cosa sta barattando: quando sbaglia, tenta di tenere il punto dell'espressione prima di crollare, si rialza annaspando un paio di respiri a bocca a aperta, ma a metà pedana sta già piangendo.

Nelle braccia della sua curva, del suo staff, dei suoi amici, sommerso da loro più bassi di lui, di Tamberi emerge soltanto il codino sulla sommità del capo in cui raccoglie i capelli per saltare. Un abbraccio collettivo, un groviglio di braccia sommerge la sua valle di lacrime: non finisce più, la tenuta è andata, gli argini sono rotti e Gimbo li inonda dell’esondazione della tensione di una giornata terribile seguita a giorni terribili in un'altalena di disillusioni e speranze.

Non ha mai nascosto di essere a Parigi per fare quello che nessun saltatore aveva mai fatto: vincere due edizioni consecutive dei Giochi. A Roma la sera degli Europei a giugno aveva dimostrato di averne la condizione. Poi una valanga di accidenti degni di un Giobbe delle pedane lo ha fermato. Ha provato a rimettersi in piedi a non darla loro vinta, contro ogni ragionevolezza fino a stasera.

Nessuno potrà rimproverargli di non aver dato tutto fino al limite dell’eroismo, perché obiettivamente gareggiare con i postumi, ammesso che fossero già postumi, di una colica renale, è da fachiri.

C’è uno stadio intero che lo consola mentre gli altri saltano, e Gimbo non smette di piangere, prima di attendere e abbracciare Stefano Sottile che con una gara onorevolissima ha provato a vendicarlo. Il sacrificio di Tamberi passerà alla storia dello spirito olimpico: come Dorando Pietri, il maratoneta di Carpi, a Londra 1908 per essere stato aiutato a non crollare prima del traguardo, come Kerri Strug, il pulcino con l’ala rotta, che saltò al volteggio ad Atlanta 1996, per assicurare l’oro a squadre agli Stati Uniti nell’artistica femminile, per poi scoprire che avrebbero vinto anche senza il suo rischio. Ne ricordano il sacrificio ai capricciosi dei dell'Olimpo più di quanto ne avrebbero ricordate le medaglie. A Gimbo succederà la stessa cosa: la sua storia sarà il monumento allo spirito olimpico che Parigi 2024 tramanderà. Perché di queste storie l'olimpismo ha bisogno per perpetuare il suo mito.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Elisa Chiari 10/08/2024)