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lunedì 22 gennaio 2024

Abbè Pierre: profeta della speranza

Abbè Pierre: profeta della speranza
 
di Mimì Caruso
(articolo scritto nel 2007 in occasione della sua morte)


Il 22 gennaio 2007, a 94 anni, ha finito la sua esistenza terrena Henri Antoine Groués, noto in tutto il mondo come Abbé Pierre; con lui scompare un uomo, un cristiano, un prete che per più di sessant’anni è stato una sorta di coscienza collettiva non solo della Francia, ma di intere generazioni di uomini e di donne di ogni appartenenza sociale e religiosa.

Questo vecchio frate cappuccino, che ha speso la sua vita a difendere i diritti dei più deboli, ha così iniziato le sue “grandi vacanze”, com'era solito dire parlando della sua morte. In una recente intervista dichiarava "Paura di morire? No, sarà un incontro con un Amico. E sono davvero impaziente" aggiungendo come alla sua età si abbia tutto "il diritto di dire: ciò che ho vissuto è sufficiente".

Non è facile raccontare la lunga vita, alquanto stravagante, di questo profeta e testimone del nostro tempo, sintetizzando molto, possiamo ricordare la formazione religiosa ed umana ricevuta in famiglia; una famiglia ricca, ma ben radicata nei valori cristiani, in cui domina la figura del padre, determinante nella caratteristica della sensibilità umana e spirituale del futuro Abbé, quinto di 8 figli. A 13 anni è un giovane scout; a 16 incontra ad Assisi la spiritualità francescana e viene colpito dalla frase di Francesco: «L'Amore non è amato…». Quindi i 7 anni di rigida vita monastica nel noviziato dei Cappuccini di Lione, essenziale per le sue scelte future. Durante la guerra partecipa alla Resistenza e assume il nome di battaglia partigiano di Abbè Pierre, si trasforma in guida alpina per portare in salvo in Svizzera ebrei, polacchi ed altri ricercati dalla Gestapo. In questo periodo falsifica passaporti per dare nuove identità ai ricercati politici e viene ripetutamente arrestato dalla polizia italiana e francese e dalla Gestapo, dalla quale riesce a fuggire in Algeria nascosto in un sacco postale. Rientrato a Parigi, a guerra terminata, partecipa alla vita politica e viene eletto all'Assemblea Nazionale per tre legislature La sua azione parlamentare si concentra presentando leggi in favore degli obiettori di coscienza e dei senza tetto, straordinarie le sue capacità di agire in difesa della giustizia lottando contro le cause della miseria (lascerà il Parlamento nel 1951, per non votare una legge-truffa).

Nel 1949 l'incontro con Georges, ex carcerato abbandonato da tutti, gli cambia la vita: nasce Emmaus una comunità dove il «recupero» è la trasformazione della persona, ottenuta rispettando la sua dignità.  Rispetto e fiducia nella persona, caratteristiche che l'Abbé Pierre ha sempre vissuto ed ha saputo infondere nel suo movimento. Le sue “Comunità Emmaus” sono oggi 191 in Francia e 421 in tutti i continenti. A chi bussa alla porta delle Comunità non viene chiesto nulla del suo passato, se sia credente o meno, di destra o di sinistra, «regolare» o «clandestino», gli si domanda se ha bisogno di mangiare, di farsi una doccia, di un letto per dormire e gli si propone «solo» di lavorare per guadagnarsi da vivere, di stare insieme in comunità e di destinare quanto rimane del lavoro in azioni di solidarietà. Una proposta di vita: non per avere, ma per essere. E qui sta il vero «recupero», la trasformazione della persona.

È stato definito in tanti modi: «apostolo degli ultimi», «pellegrino infaticabile», «collera di Dio», «apostolo dei senza tetto», «prete della Repubblica», «gigante della misericordia», «incarnazione della bontà», «paladino dei poveri», «genio della carità»… Lui amava presentarsi “un po’ missionario, marinaio e brigante”; in effetti non ha mai perso lo spirito di chi ricerca sempre nuove terre e infrange legalità costituite e perbenismo, ma in realtà era un autentico maestro di vita che ci insegna che non è sufficiente essere credenti, ma occorre essere anche credibili nella nostra vita.

Renzo Fior, 61 anni, veronese, che da 8 anni presiede Emmaus Internationalis, dichiara: «Il ricordo più bello che ho dell'abbé Pierre è quello di una persona capace di ascoltare tutti, di saper cogliere gli aspetti positivi di ciascuno. Aveva una fiducia illimitata verso l'uomo e verso il cambiamento di ognuno». Anche Pierre Lunel, nella ricca biografia in libreria dal 13 Febbraio, ricorda quanto fosse forte e quanto impressionasse qualsiasi interlocutore la capacità di ascolto del piccolo frate. Spesso chiudeva gli occhi per ricevere e custodire meglio ogni singola parola. L’ascolto era il principio delle sue aperture, dei suoi slanci, delle battaglie. Un ascolto che aveva profonde radici di fede perché carità e Dio erano per lui un’unica realtà, contemplazione e azione sono stati inscindibili.

Enzo Bianchi, lo ricorda così: “Impressionava la sua capacità di stare “in mezzo e insieme”, nel raccogliere stracci, nello svuotare solai e cantine, nel preparare il cibo comune e, poi, il suo ritirarsi in disparte, solo, a volte seduto su un mucchio di stracci o di rottami, a pregare guardando oltre l’orizzonte per scorgere l’invisibile. Alla sua scuola, fatta di poche ma essenziali parole e di un agire instancabile e altrettanto essenziale, ho imparato che il radicalismo evangelico è tutt’altra cosa dall’intransigenza: è testimonianza di vita, accoglienza dell’altro, parresia di fronte ai potenti e umile ascolto dei più piccoli, in particolare di quelli che piangono e che, come Gesù Cristo, non hanno nemmeno una pietra su cui posare il capo… Un uomo che ha sempre saputo rivolgersi al cuore dell’uomo, perché il suo cuore era plasmato dalla parola di Dio; un cristiano che ha preso con coraggio la parola a tempo e fuori tempo, perché la profezia non conosce opportunismi e il profeta non tace per convenienza, ma alza la sua voce ogni volta che il grido degli oppressi sale a Dio e l’ingiustizia offende l’immagine e la somiglianza con Dio deposta in ogni essere umano… Quella dell’Abbé Pierre è stata una voce che si è fatta anche mano amica, braccio di sostegno, slancio al cammino di speranza per chi ogni speranza aveva perso… un uomo che ha messo in gioco tutto se stesso spendendosi per gli altri e ritrovandosi povero di tutto e ricco di senso”

In realtà egli era “uomo della speranza cristiana” che ha annunciato con la sua vita, più che con le sole parole. Una speranza che, come diceva sant’Agostino , «ha due figli meravigliosi: lo sdegno e il coraggio». Sdegno per denunciare le ingiustizie perché «non basta essere buoni, occorre essere giusti»; il coraggio per credere che le cose possono cambiare, che c’è la possibilità di costruire un mondo nuovo, diverso. Sul tema della speranza l’Abbè Pierre precisava che «bisogna fare una chiara distinzione tra speranza e aspettativa. C’è l’aspettativa di avere da mangiare, di vedere soddisfatte le necessità immediate, la speranza invece è la certezza che abbiamo in noi che la vita ha un significato, che c’è una meta. La speranza tiene conto del significato dell’esistenza. Si può vivere con poche aspettative e molte delusioni, ma non si può vivere senza una qualche speranza».

A conclusione un brano tratto dal discorso pronunciato dall'Abbé Pierre nel marzo del 1971 a Firenze, nel Salone dei 500, gremito di gente: «Fate bene a commuovervi di fronte a tanti bambini che muoiono di fame nel mondo. Facciamo bene a dare, per loro, ai missionari o ad altri, la nostra offerta… Ma ricordiamoci: se non siamo decisi, contemporaneamente, a mettere a disposizione non solo i nostri soldi, ma tutto il nostro impegno politico e la nostra "collera d'Amore" perché a questi bambini sia garantito di vivere nel pieno rispetto di tutti i loro diritti fondamentali di esseri umani, nella giustizia e nella pace, allora vi dico che saremmo stati meno crudeli a lasciarli morire in giovane età, pur di non costringerli a vivere disperati in condizione di miseria e di sfruttamento».