La voce che grida nel deserto.
Papa Francesco è solo contro le industrie delle armi
Papa Francesco ha intrapreso una crociata morale contro le armi che alimentano i conflitti in tutto il mondo. Ed ha sollecitato i leader politici a riflettere attentamente sulle conseguenze devastanti che le guerre portano con sé e a impegnarsi attivamente per trovare soluzioni pacifiche ai conflitti. In molte occasioni, ha denunciato il commercio di armi, sottolineando il ruolo negativo che svolge nel perpetuare cicli di violenza. «Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2 per cento del Pil per l’acquisto di armi come risposta a questo che sta accadendo, pazzi!», ha detto Francesco al Centro Femminile Italiano nel marzo dell’anno scorso (e.c. 24/03/2022). «La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari – ha affermato il Pontefice -, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo, non facendo vedere i denti, un modo ormai globalizzato, e di impostare le relazioni internazionali».
Francesco ha evidenziato l’urgenza di perseguire la pace globale come un imperativo morale e ha invitato le nazioni a lavorare insieme per affrontare le cause profonde dei conflitti ed esortato alla cooperazione internazionale, alla diplomazia e al dialogo come alternative alle azioni militari. Papa Francesco ha ribadito che la risoluzione pacifica dei conflitti non solo salva vite umane, ma preserva anche la dignità e il valore di ogni essere umano coinvolto. Si tratta di rifiutare la mentalità bellica e di abbracciare l’amore fraterno. Ha sottolineato che la comprensione reciproca e il rispetto per la diversità sono fondamentali per costruire una pace duratura. Attraverso i suoi discorsi e le sue preghiere, Francesco ha cercato di ispirare una profonda riflessione sulla responsabilità di ciascun individuo nel promuovere la pace nei propri ambienti di vita.
Purtroppo, però, le parole di Bergoglio finora non sono state ascoltate dai governi, soprattutto occidentali, e la guerra tra Russia e Ucraina il 24 febbraio compirà due anni, ad essa, scrive Il Fatto Quotidiano, “ora si aggiunge il sanguinoso conflitto tra Israele e Hamas esploso il 7 ottobre. Entrambe contribuiscono a tenere alto il fatturato delle industrie delle armi i cui affari vanno a gonfie vele. Gli ordinativi ricevuti dai maggiori gruppi mondiali “sono vicini ai massimi storici”, mentre prosegue il boom delle azioni in Borsa, nota il Financial Times. Il quotidiano della City di Londra ha calcolato che in soli due anni il portafoglio ordini complessivo delle 15 maggiori aziende mondiali di armi e difesa è aumentato del 10,9%, da 701,2 miliardi di dollari alla fine del 2020 a 777,6 miliardi di dollari a fine 2022. E c’è una tendenza a un incremento della produzione e dei ricavi e, molto probabilmente, dei profitti. E quest’andamento è proseguito nell’anno appena terminato con ulteriori massicci acquisti di armi fatti dai governi.
L’analisi sugli ordini è stata fatta partendo dai grandi “contractor ” militari degli Stati Uniti, il mercato più florido per l’industria delle armi. Gli Stati Uniti sono il Paese che spende di più per l’apparato militare, 877 miliardi di dollari nel 2022 secondo i dati del Sipri di Stoccolma, pari al39% della spesa mondiale.
La spesa globale nel 2022 ha toccato il record storico a 2.240 miliardi, con un aumento del 3,7% rispetto al 2021 in termini reali, cioè depurato dall’inflazione. Nel campione analizzato c’è innanzitutto Lockheed Martin, l’azienda numero uno mondiale nella produzione di armi. Produce i cacciabombardieri F-16 e F-35, e i missili lanciati a spalla Javelin, forniti in grande quantità dal presidente Usa Joe Biden all’Ucraina.
I Javelin sono fabbricati in joint venture con un altro colosso del settore, Rtx (ex Raytheon Technologies), produttrice anche dei missili Patriot. Pochi mesi dopo l’attacco di Putin a Kiev, Lockheed ha annunciato che sarebbe stata raddoppiata la produzione di Javelin. Poi il gruppo ha fornito a Kiev anche i missili a più lunga gittata Atacms, in grado di colpire un bersaglio a 300 chilometri.
Nel gruppo dei 15 ci sono ancora le americane Northrop Grumman, Rtx, Boeing (settore difesa e spazio, esclusi i jet commerciali), L’Harris, General Dynamics, l’azienda che produce i carri armati Abrams inviati da Biden in Ucraina. In Europa sono incluse la britannica Bae Systems, le francesi Tha les, Dassault Aviation, la franco-tedesca Airbus (solo il settore difesa e spazio), la tedesca Rheinmetall, la svedese Saab, l’italiana Leonardo.
Infine l’israeliana Elbit Systems e la sudcoreana Hanwha Aerospace. Proprio Hanwha ha ottenuto il maggiore aumento di nuove commesse. Il suo portafoglio ordini è salito da 2,4 miliardi di dollari nel 2020 a 15,2 miliardi di dollari alla fine del 2022, secondo l’analisi del quotidiano finanziario britannico.
La Corea del Sud ha scalato la classifica dei venditori di armi negli ultimi due anni grazie ai significativi ordini, in particolare dai paesi dell’Europa orientale. Secondo il Sipri, è stata il nono venditore di armi al mondo nel 2022, rispetto al trentunesimo posto nel 2000.
La spesa militare in Europa ha registrato il più forte aumento su base annua degli ultimi 30 anni, i governi hanno annunciato nuovi ordini di munizioni, carri armati e missili per ricostituire le scorte nazionali esaurite dalle “donazioni” inviate all’Ucraina. “Donazioni” per chi le riceve, perché le armi sono state pagate dai governi, quindi dai contribuenti.
Il produttore tedesco di carri armati Rheinmetall è un altro grande beneficiario dell’aumento di spesa in seguito alla guerra in Ucraina. Il portafoglio ordini è cresciuto da 14,8 miliardi di dollari nel 2020 a 27,9 miliardi nel 2022 ed era balzato a 32,5 miliardi alla fine del primo semestre del 2023.
Non tutta la maggiore spesa è legata all’Ucraina. Il portafoglio ordini di Bae Systems, ad esempio, è passato da 61,8 miliardi di dollari a 70,8 miliardi di dollari nel 2022 grazie a nuovi ordini per programmi esistenti, tra cui sottomarini, fregate e aerei da guerra. E ha raggiunto il record di 84,2 miliardi di dollari nei primi sei mesi del 2023.
Anche l’industria italiana ha beneficiato della guerra. Dal 2020 al 2022 il gruppo Leonardo ha incrementato il portafoglio ordini da 36,51 a 37,5 miliardi, mentre i ricavi consolidati sono aumentati da 13,78 a 14,7 miliardi. Nella classifica dei rialzi di Borsa Leonardo è nona (+132%).
“I guadagni riflettono la convinzione degli investitori che l’aumento della spesa per la difesa da parte dei governi sia destinato a durare”, commenta il Financial Times, e quindi a far esplodere i profitti e i dividendi delle aziende. Finché c’è guerra c’è speranza.
L’ossessione della Destra per le armi
Quali sono le forze politiche italiane più vicine agli interessi dei pistoleri? L’Unione degli Armigeri italiani, che si autodefinisce «associazione per la difesa dei diritti dei detentori legali di armi», prima delle elezioni ha fornito un “semaforo” di gradimento (bocciati tutti i partiti di centrosinistra).
Nel centrodestra lambisce l’arancione solo Forza Italia, colpevole di «avere ancora troppe voci filo-animaliste al suo interno». Luce verde, in testa alla classifica, per le formazioni di Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
Dentro Fratelli d’Italia, si legge nel manifesto di Unarmi, ci sono «alcuni fra i parlamentari più attivi sul fronte caccia e detenzione di armi». In più, vera medaglia al merito per la categoria, «a loro si deve anche l’eliminazione dei divieti inerenti le armi corte calibro 9×19».
A loro e nello specifico a lui: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, firmatario della norma nella scorsa legislatura, ammirato dagli amanti delle pistole e appassionato sportivo egli stesso: «Mi diletto nel mondo del tiro», diceva a maggio 2022, ai microfoni dell’Eos Show di Verona.
Tanti sono i provvedimenti tentati e poi abbandonati per la reazione di buona parte dell’opinione pubblica. Era del capogruppo di FdI Tommaso Foti l’emendamento (infine eliminato) alla manovra dell’anno scorso per permettere ai cacciatori di abbattere i cinghiali anche in città.
E solo qualche giorno fa ha avuto vita breve il disegno di legge di un senatore meloniano, Bartolomeo Amidei, per estendere la stagione di caccia e permettere già ai 16enni di imbracciare un fucile e sparare alla selvaggina fra i boschi. Ritirato su richiesta del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida: «Non era concordato con il governo».
Un regalo legislativo a chi gradisce la diffusione di armi è invece approdato nell’ultimo pacchetto sicurezza del Viminale (in origine era un disegno di legge della senatrice di FdI Domenica Spinelli): le forze dell’ordine potranno portare con sé, in servizio e fuori, oltre a quella d’ordinanza, anche pistole private, senza richiedere un ulteriore porto d’armi.
Il ruolo ambiguo del PD, a parole contro la guerra, ma di fatto aiuta chi specula sulle stragi
Per aumentare i profitti delle industrie belliche italiane il PD é stato uno dei principali promotori dello scandaloso incremento degli investimenti della Difesa, fino ad un anno fa retto dal ministro Lorenzo Guerini (soprannominato alla Farnesina il Ministro Guerrini), guarda caso membro «illustre» del PD.
Sull’aumento delle spese militari al 2% del PIL il PD é stato costretto ad un compromesso. Intenzionato a incrementare la spesa per le armi entro due anni (2024) é stato costretto a ripiegare per un periodo di tempo di sei anni (2028). Una scelta contro la Nazione e il Popolo Italiano che sta sprofondando nella miseria e nella crisi economica dovuta dalla pandemia e dalla crisi energetica voluta per rispondere con sanzioni alla Russia agli ordini americani.
Il PD ha reso possibile alle industrie belliche italiane ed europee di vendere all’Italia miliardi di euro in armi e sistemi difensivi. Siamo sicuri che siano queste, oggi, le priorità del nostro Paese?
La posizione atlantista del PD espressa anche in assurde proposte di pace a favore di un attore della guerra, rappresentano purtroppo un palese conflitto di interessi. Membri del PD votano l’aumento della spesa per la Difesa nazionale e invio di armi all’Ucraina assecondati e facilitati dall’allora Ministro della Difesa PD mentre altri membri del partito ricoprono ancora oggi ruoli importanti (posizioni chiave) nell’industria bellica italiana.
Questi senatori e alti quadri del partito che agiscono nell’ombra senza apparire alla TV e tanto meno nelle manifestazioni per la “pace” e fanno affari sporchi, hanno nomi e cognomi che il PD pudicamente (per prudenza) non ama pubblicizzare.
(fonte: Faro di Roma, articolo di Irina Smirnova 03/01/2024)