Maria Giovanna Farina*
La metafora del topolino e
la nonviolenza come strategia
A peace movement poster: Israeli and Palestinian flags and the words peace in Arabic and Hebrew. Similar images have been used by several groups supporting a two-state solution to the conflict.
Quando in un appartamento entra un ospite indesiderato come un topolino, si appronta una trappola che lo uccide o, nei casi nonviolenti da preferire, un meccanismo per catturarlo e poi riportarlo in natura dove non può dar fastidio a nessuno.
Non ho mai visto abbattere un palazzo per catturare il topolino anche se quest’ultimo ha mangiato il nostro formaggio ed ha morsicato l’orecchio di nostro figlio. Purtroppo accade che si stermini un popolo per catturare alcuni terroristi e se è giusto difendersi non lo è trucidare gli innocenti; tutto ciò non si potrà mai impedire, ahimè, con le preghiere, i digiuni e le marce della pace: pratiche lodevoli ma non immediatamente risolutive a meno di un miracolo.
Solo i potenti della Terra possono far tacere le armi, sempre loro possono agire per aiutarci a diffondere la cultura del dialogo senza scordare che, paradossalmente, chi l’ha inventa, Socrate, è stato condannato a morte. Con ciò non dobbiamo arrenderci ma insistere ad oltranza per promuovere l’educazione ai sentimenti e al dialogo, due strumenti indispensabili e interconnessi. Non esiste amore senza dialogo, chi si ama crea un confronto continuo, in generale chi ama non rinuncia all’ascolto dell’altro e non solo nella coppia, bensì anche in una relazione affettiva fraterna, amicale e filiale. Il significato originario del termine dialogo è, dal greco, dia leghein (dire attraverso) pertanto se “diciamo attraverso” noi facciamo muovere le nostre parole in un movimento tra noi e gli altri. Possiamo affermare che “dire attraverso” significa parlare tramite le parole, ma allo stesso tempo indica un “perforare” attraverso le parole.
Il dialogo perfora senza violenza il muro del silenzio, dell’equivoco o del conflitto e ri-stabilisce l’ordine riducendo al minimo il fraintendimento che è fonte di incomprensione. Questo è ciò che dovrebbe essere, ma perché spesso il dialogo ci porta in un vicolo cieco provocando insoddisfazione, dolore, rabbia e nei casi estremi, come la guerra, morte? La risposta è che predichiamo, suggeriamo, ma non dialoghiamo affatto; principalmente manca una vera cultura del dialogo: essere aperti al dialogo non significa mettersi in posizione, seduti magari in un bel salotto, pronti alla conversazione o a pontificare. Dialogare significa essere disposti a mettersi in vero ascolto dell’altro, delle sue ragioni, dei suoi problemi anche quelli creati da noi. Prima di tutto, per attuare un vero dialogo, è indispensabile essere disposti a mettere in discussione la proprie idee senza condizioni.
Secondo punto: essere leali. Se dialogo solo per il mio tornaconto, o per quello di qualcun altro, non è dialogo ma sofismo, raggiro. Con uno studio del 2018 dell’Università del Michigan si è giunti al risultato che litigare fa bene ed allunga la vita della coppia, naturalmente se la discussione è produttiva e non esercitata con violenza sull’altro. Effettivamente possiamo verificare non solo col partner, ma anche tra colleghi, gli amici, i vicini di casa… e il resto del mondo che il litigio è una modalità catartica, di pulizia della rabbia che si nasconde nell’anima, per cui ristabilendo l’eutimia sicuramente migliora la salute del corpo e della relazione.
Il litigio è una forma di dialogo estrema, altra cosa è la violenza della guerra, un acting-out pulsionale ingiustificabile, sempre. La cultura del dialogo va recuperata iniziando dall’infanzia, se imparassimo ad esempio fin da piccoli che non si può avere ragione sempre a tutti i costi perché avere torto fa parte del gioco e non è una sconfitta, sarebbe il primo passo verso il vero ascolto dell’Altro. Se si imparasse fin da piccoli che amare è rispettare, è volere il bene dell’altro, se si imparasse che l’esempio di chi si ama è la migliore “scuola”, se si smettesse di creare contrapposizioni e si volesse davvero introdurre l’educazione ai sentimenti e al dialogo nelle attività extra curricolari… se tutto ciò si potesse realizzare in modo capillare, allora verrebbero meno tanti sanguinosi conflitti dove chi muore sono soprattutto tanti innocenti al di là delle bandiere, delle etnie e delle religioni. Se tutto ciò accadesse, la nonviolenza avrebbe vinto.
*Maria Giovanna Farina si è laureata in Filosofia con indirizzo psicologico all’Università Statale di Milano. È filosofa, consulente filosofico, analista della comunicazione e autrice di libri per aiutare le persone a risolvere le difficoltà relazionali. Nei suoi testi divulgativi ha affrontato temi quali l'amore, la musica, la violenza di genere, la filosofia insegnata ai bambini, l'ottimismo e la scelta. Studiosa di relazioni umane, a partire da quelle madre-bambino, è autrice di numerosi articoli e di interviste anche in video fatte ad alcuni tra i più noti personaggi della cultura e dello spettacolo. Impegnata contro la violenza, ha contribuito a far inserire la parola Nonviolenza, in un'unica forma verbale, nella Treccani.it. Il suo sito è www.mariagiovannafarina.it
(fonte: Pressenza 03.11.23)