Assisi - Santa Chiara:
dove povertà e fraternità
s’incontrano
di Laura Badaracchi
"Tu, Signore che mi hai
creato, sii benedetto". Sono le ultime
parole pronunciate
da Chiara Offreduccio di Favarone
l’11 agosto 1253, prima di morire nel monastero di San Damiano. La «pianticella» di Francesco d’Assisi, come
si definiva lei stessa, conclude la sua
vita terrena a circa 60 anni, dopo
aver benedetto le sue Sorelle povere,
presenti e future: «Il Signore sia con
voi sempre, e ora voi siate sempre
con Lui». Subito dopo la sepoltura, avvenuta nella chiesa di San Giorgio dove inizialmente era stato tumulato anche Francesco, nacque il
progetto di costruire una chiesa in
suo onore. Chiara venne proclamata
santa da papa Alessandro IV nel 1255
e dieci anni dopo papa Clemente IV
consacrò la basilica a lei intitolata,
che ne custodisce il corpo e, in una
cappella sul lato destro, l’originale
del Crocisso di San Damiano che
parlò a san Francesco, consegnandogli una precisa missione: «Va’, ripara la mia casa, che come vedi è
tutta in rovina», riferisce il biografo
Tommaso da Celano. Le consorelle
della santa lo portarono qui quando
si trasferirono dal monastero di San
Damiano, per stare vicine alla tomba
della loro Madre.
I lavori della basilica, che all’esterno presenta fasce rosa e bianche
di pietra del Subasio, erano cominciati nel 1257 e comprendevano anche il Protomonastero attiguo, dove
le seguaci di Chiara si trasferirono
dopo essere sempre vissute a San
Damiano dal 1212. Varcando la soglia della chiesa, ci si trova in una
navata unica, analoga a quella della
basilica superiore di San Francesco,
che si conclude con il transetto. A sinistra, si può ammirare la Pala di
Santa Chiara, icona eseguita nel 1283
sotto il pontificato di papa Martino
IV, una delle più antiche pale d’altare
agiografiche raffiguranti una santa:
ai due fianchi del pannello rettangolare sono dipinti otto episodi della
vita di Chiara, partendo dal basso
a sinistra, svelandone le tappe e le
scelte esistenziali. Poco dopo la sua
conversione, nel Testamento si descrive «unita alle poche sorelle che
il Signore mi aveva donate».
STORIA DI UNA SEQUELA
«Il dono della fraternità per santa Chiara nasce in un contesto di rivelazione divina della vocazione. La sequela di Gesù povero per lei si attua e prende forma nella fraternità, il luogo preciso dove il Vangelo viene vissuto nel quotidiano. La vita claustrale, vita di silenzio e di preghiera, di profonda unione con Dio, è vissuta non in modo solitario, individuale, ma nella grande sfida della fraternità, della “santa unità”, che per Chiara è la parola più importante insieme all’“altissima povertà”», spiega suor Chiara Cristiana Mondonico, madre presidente della Federazione Santa Chiara di Assisi (insantaunita.org), che abbraccia 23 monasteri dell’Ordine delle Sorelle Povere di Santa Chiara, presenti in Umbria e Calabria, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Toscana, Trentino, Veneto in Svizzera e a Gerusalemme.
«Dalla contemplazione di un Dio che non è solitario ma Trinità di infinito amore, nasce il modello di vita religiosa proposto da Francesco e Chiara: essere semplicemente fratelli e sorelle, figli dell’unico Padre e fratelli dell’unico Fratello, prima e al di là di ogni differenza sociale e culturale», aggiunge. Quindi «il nome stesso che sceglie per il suo Ordine, “Sorelle povere”, esprime la coscienza che lei aveva di una precisa identità carismatica. Fraternità e povertà si sostengono e si suppongono a vicenda».
LA RELIQUIA DEL CORPO
Scendendo nella cripta, costruita nel 1850-72 e ristrutturata nel 1935 in forme neogotiche, si possono venerare dietro una grata e in un’urna di cristallo le spoglie della santa, adagiata su una tavola in legno grezzo. Ritrovate sotto l’altare maggiore nel 1850 in una tomba di pietra, vengono custodite in un sarcofago in resina a forma di corpo, rivestito con l’abito clariano; il volto, le mani e i piedi sono in porcellana. Sul lato sinistro un’apertura accoglie le 57 ossa rimaste, visibili solo alle consorelle e non ai pellegrini, che possono sfilare in silenziosa preghiera solo sul lato destro. Sempre nella cripta, sono esposte alcune fra le più preziose reliquie di san Francesco e santa Chiara: al centro di un’ampia teca la tonaca e mantello di lei, a sinistra la veste del santo dopo la conversione e la scarpa che portava dopo aver ricevuto le stimmate, un cofanetto con i capelli di lei e il suo cingolo, mentre a destra si trovano un’altra tunica di Francesco, il suo cingolo e breviario. Testimonianze visibili della loro povertà materiale, segno di quella spirituale.
FRATELLI TUTTI SIGNIFICA DONO
«Il “nulla di proprio” riguarda la persona nel suo relazionarsi agli altri e ai beni del creato. È accettare che non si appartiene a se stessi», spiega madre Mondonico. «Penso che se potesse parlare il nostro linguaggio, Chiara direbbe agli uomini e alle donne del nostro tempo: “La povertà è fonte della fraternità. Siamo tutti poveri e legati gli uni agli altri, bisognosi di vita, di amore, generati da un’unica sorgente che è Amore infinito. Dare ciò che abbiamo è solo un primo passo: fraternità significa donare se stessi, il proprio cuore, la propria vita. Siamo veri solo quando accogliamo gli altri: nessuno può vivere e salvarsi da solo, e condividere i nostri doni non è una perdita ma una ricchezza inestimabile, è il tesoro nascosto nel campo».
(Fonte: Credere - n31 - 1° agosto 2021)
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