Come credere in Dio in una società così colpita dalla pandemia?
Uno sforzo audace e creativo per una nuova evangelizzazione
di Bruno Forte,
Arcivescovo di Chieti-Vasto
(Pubblicato in Vita Pastorale 109(2021) 14-15)
Che cosa mi sembra, oggi, particolarmente urgente per la Chiesa italiana? Non esiterei a rispondere a questa domanda che ciò che veramente urge per il popolo di Dio, che è in Italia, in questo tempo difficile segnato dalla pandemia, è farsi carico degli interrogativi che tanti avvertono nel proprio cuore: come credere in Dio in una società messa così duramente alla prova dal flagello dovuto al CoVid19? Come riportare a un cammino condiviso di fede tanti, specialmente giovani, che da mesi non si vedono più nelle nostre Chiese e sembrano aver tagliato i ponti con la vita ecclesiale, nella quale pure erano stati formati? A queste domande - vitali per un popolo come il nostro, che della fede cristiana si è nutrito per secoli - provo a rispondere indicando tre piste che ritengo urgente percorrere: in primo luogo, mi sembra necessario che la comunità ecclesiale si impegni in uno sforzo audace e creativo di nuova evangelizzazione; in secondo luogo, penso sia importante ritornare a parlare delle “realtà ultime”, che nella società dei consumi sembravano scomparse dal dibattito pubblico; infine, occorre riscoprire quella lettura dei “segni dei tempi”, in cui si era tanto impegnato il Concilio Vaticano II e che è la sola via capace di riconoscere l’“oggi” di Dio nelle nostre vite e nella storia del mondo. Che urga una nuova evangelizzazione si può facilmente osservarlo: se la reazione di molti credenti alla prova della pandemia è stata quella di chiudersi nel privato e affidarsi così al Signore, può dedursi che la formazione da essi ricevuta non è stata evidentemente tale da spingerli a testimoniare in maniera pubblica e convinta il Risorto, spendendosi il più possibile nell’offrire carità e speranza a chi è stato colpito. Occorre allora riproporre la “viva vox Evangelii”, la fede in Colui che non è venuto per essere servito, ma per servire e che chiama tutti e ciascuno dei Suoi fedeli a credere in Lui, mettendosi in gioco senza risparmio nel campo della carità e della solidarietà verso i più deboli. Come attrarre chi si è dileguato, specialmente fra i giovani, perché si faccia partecipe e protagonista di questo nuovo slancio missionario? Quali linguaggi e canali trovare per ristabilire un vero ponte comunicativo con chi si è allontanato? Come annunciare la gioia evangelica dell’impresa comune e sollecitare al servizio del bene di tutti chi, impaurito e provato, ha preferito chiudersi in sé stesso o nella piccola cerchia dei propri cari, in atteggiamento di rassicurazione e di difesa? La risposta del Vangelo è di vivere tutto questo uscendo da noi stessi e andando verso gli altri. La “Chiesa in uscita” è quella su cui Papa Francesco continuamente ritorna nei suoi appelli: si tratta di uno stile di vita ecclesiale che esige una profonda conversione pastorale e che, in ogni caso, non potrà profilarsi senza una rinnovata effusione di luce e di forza dall’alto, da invocare con convinzione e perseveranza. A questo rinnovato impegno di evangelizzazione occorrerà chiedere in particolare di riproporre le realtà ultime, rischiarate dalla promessa di Dio e dalla risurrezione di Gesù: l’edonismo e il consumismo rampante, che dominavano l’opinione pubblica prima della pandemia, sono stati smentiti dall’esperienza drammatica di fragilità e d’impotenza di fronte al male che abbiamo vissuto. È emerso con chiarezza che abbiamo tutti bisogno di riferirci all’ultimo orizzonte ed alla patria ultima per misurare la verità e la consistenza delle nostre scelte. Non si può vivere inseguendo il piacere, come se solo il consumare e il godere potessero dare senso e bellezza alla vita. Occorre riscoprire il fascino della sobrietà e del sacrificio in vista del bene futuro promesso. Occorre sbugiardare i falsi miti della corsa al possesso e al piacere, educati dall’esperienza della malattia, del dolore e della morte, che la pandemia ci ha fatto fare. Come Chiesa dobbiamo ritrovare la passione e lo slancio di annunciare che Colui, che è venuto a salvarci, tornerà nella gloria e che solo l’orizzonte del Suo ritorno illumina di senso vero e definitivo il nostro cammino nel tempo: come afferma l’Apocalisse (1,5-8), consegna profetica con cui si chiude la Bibbia, solo Cristo è «il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra» e solo in Lui il futuro ultimo è garantito come domani di bene, perché Lui è «l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!». Infine, occorre saper riscoprire la bellezza e la forza dell’“oggi” di Dio, reso presente dal Risorto nelle nostre vite e nella storia del mondo. Nell’annuncio che il Nazareno fa nella Sinagoga di Nazareth risuona il richiamo a quest’“oggi”: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore… Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,16-21). L’“oggi” di Dio è l’“oggi” di ciascuno di noi da Lui visitato, l’umile e tante volte faticoso “oggi”, che siamo chiamati ad abitare e vivere, trasfigurandolo dall’interno con la fede, la speranza e l’amore. Certo, riconoscere nella pandemia l’“oggi” di Dio può non essere facile, ma vuol dire credere e testimoniare che nulla è perduto sul piano della grazia, che la provvidenza e la misericordia del Signore non ci abbandonano e non ci abbandoneranno mai, che tutto il dolore del mondo non diminuisce il valore di ogni singola vita e il dovere che ne consegue di vivere in pienezza ogni istante del nostro cammino, spendendolo al servizio del bene, davanti a Dio e per il mondo. La pandemia, insomma, ci chiama a rinnovare e convertire il nostro cuore per vivere l’attimo presente come risposta al bisogno degli altri e alla certezza, che abita il credente, dell’amore del Dio vivente, che non è venuto né verrà mai meno. Su questa via la Chiesa che è in Italia potrà aiutare coloro, che è chiamata a servire, nell’accogliere la non facile sfida di trasfigurare nella luce del Risorto la fatica dei giorni nostra e di ognuno dei nostri compagni di strada. Una prospettiva, una speranza, una sfida, che solo gli occhi della fede potranno aiutarci a riconoscere e ad affrontare con fiducia e fedeltà più forti di ogni disillusione o stanchezza.
(Fonte: sito della Diocesi)