A 25 anni dalla visita di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi. Card. Montenegro:
“La mafia è una mentalità, sgretola e crea povertà”
Il 9 maggio prossimo, nella Valle dei Templi di Agrigento, per iniziativa della Conferenza episcopale siciliana, ci sarà una solenne messa davanti al Tempio della Concordia. Si ricorderà lo storico grido di Giovanni Paolo II 25 anni fa, quando gridò ai mafiosi: "Convertitevi". Presiederà la celebrazione il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento. L'intervista.
Era il 9 maggio 1983 quando Giovanni Paolo II, in visita alla Valle dei Templi di Agrigento, gridò ai mafiosi: “Convertitevi”. A 25 anni di distanza, il prossimo 9 maggio, la Chiesa di Sicilia si ritroverà nello stesso posto per ricordare lo storico evento. Nella stessa giornata i vescovi siciliani – tutti presenti all’incontro – renderanno noto un documento sulla mafia.
Le celebrazioni sono già iniziate il 2 maggio, con un incontro nella chiesa San Pietro ad Agrigento con l’arcivescovo emerito mons. Carmelo Ferraro – che allora accolse Giovanni Paolo II – e il card. Francesco Montenegro. “Le parole del Papa furono profetiche: non ha maledetto i mafiosi, ma li ha invitati a un incontro con Cristo – questo il ricordo di mons. Ferraro -. La mafia ritenne che fosse un’offesa da vendicare. Così nella basilica di San Giovanni in Laterano mise circa trecento chili di tritolo pochi mesi dopo. Il 15 settembre fu ucciso padre Puglisi. Perché la vendetta è il linguaggio della mafia”. Qualche mese prima erano stati uccisi i giudici Falcone e Borsellino. Un anno prima la Chiesa agrigentina aveva redatto un documento sull’emergenza mafia, che contava almeno 200 morti ammazzati. Mons. Ferraro considera il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi come un “punto di non ritorno” della Chiesa nei confronti della mafia. Così, a distanza di 25 anni, ci si riunirà di nuovo, alle 18, dinanzi al tempio della Concordia, con una celebrazione eucaristica presieduta dal card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento che ospita l’evento.
Lo abbiamo intervistato.
Cosa ricorda di quel 9 maggio 1983?
Lo vidi alla televisione e come tutti gli spettatori rimasi molto toccato da quel grido. La mafia è una realtà molto presente in Sicilia, nell’agrigentino ancora di più. Sentire il Papa che prende posizione scuote e ti fa chiedere ancora di più: ma allora che fare? Questo pensai.
A distanza di 25 anni la mafia in Sicilia continua ancora a far parlare di sé. Ma cosa è cambiato da allora?
Forse sono cambiate le modalità. Le strade non sono più sporche di sangue. O se succede è per questioni interne, perché hanno qualche problema da sistemare. Io rifiuto la dicitura: “Cultura mafiosa”. Perché
la mafia non è una cultura, è una mentalità che è penetrata e penetra sempre di più in tutti gli ambienti.
Da noi è facile l’atteggiamento del prepotente e spesso il povero, se vuole qualcosa, deve passare attraverso di lui/loro. Smontare questa mentalità è ancora difficile. Però bisogna farlo. Noi credenti abbiamo il Vangelo da proporre.
Cosa fa la Chiesa siciliana per cercare di smontare certi atteggiamenti mafiosi?
Le strutture della Caritas, ad esempio, creano solidità e solidarietà. Sono una risposta alla mafia che vuole sgretolare e creare povertà.
Il mondo giovanile per guardare al futuro a volte deve bussare a certe porte. Invece noi diciamo che si può guardare al futuro senza bisogno di bussare. Poi c’è l’annuncio del Vangelo: io rifiuto anche la definizione “Chiesa anti-mafia” perché una Chiesa non può vincere un’altra cosa. Meglio pensare come quando la mattina c’è buio in una stanza e man mano che apro le imposte il buio va via ed entra la luce del sole. Qui si tratta di aprire le imposte e far entrare la luce del sole.
Nemmeno Papa Francesco si stanca di puntare il dito contro mafie e corruzione.
Dovremmo metterci un po’ di più sulla sua scia. Ma quando nel Dna di una popolazione ci sono certi atteggiamenti non è facile smontarli improvvisamente. Il Papa sta creando meraviglia e sta trovando dei seguaci. Lui è come un lievito ma c’è ancora una massa da far fermentare.
Eppure negli anni, nella società civile siciliana, sono nate tante realtà che si oppongono e agiscono contro questa mentalità.
Sì, anche il grido di Giovanni Paolo II servì ad una presa di coscienza. Però non possiamo cullarci dicendo che la mafia sta finendo: basta leggere i giornali per rendersi conto che la mafia c’è. Mentre prima erano banditi oggi c’è una commistione con la politica e altre realtà.
Allora non si sa da che parte guardare, si resta confusi. Se i ragazzi siciliani vogliono avere un futuro devono partire. Se vogliono restare devono avere l’imprimatur di qualcuno. Ad Agrigento l’università sta chiudendo i battenti e questo significa meno cultura e più mafia. Sono tutti fattori che messi insieme costituiscono un allarme grave. Non basta dire: andranno a studiare a Palermo, perché non tutti potranno permetterselo. Il problema è che il territorio resterà libero da una presenza culturale importante.
Nonostante la posizione della Chiesa sia chiara, molti mafiosi si considerano ancora devoti cattolici.
Addomesticare la fede è molto facile. La addomestica il mafioso o anche chi pensa di essere un buon cristiano e poi magari caccia gli immigrati. Perché è facile quando sono io a stabilire se sono un buon cristiano o meno. Gesù dice che il Vangelo è una spada che taglia: quindi è una scelta da fare, una coerenza da vivere. Anche qui sono tanti fatti di cui devo tener conto. Ma una fede fatta solo di preghiera e devozione non riesce a dare vita.
Nella sua esperienza sacerdotale ha avuto esperienze di pentimento da parte di mafiosi?
Onestamente mafiosi importanti non ne ho incontrati. Ma gente che ha capito che la sua vita non poteva seguire un certo binario sì.