“Divorare il cielo”
di Paolo Giordano
Recensione di Aldo Pintor
Devo dire che “La solitudine dei numeri primi” con cui il giovane fisico torinese Paolo Giordano ha esordito nella narrativa non mi aveva convinto tanto. Mi era parsa una storia adolescenziale piuttosto deprimente e priva di speranze oltre a non dire nulla di nuovo. Però mi sono lasciato convincere dall'ambientazione pugliese e ho dato un ulteriore possibilità a questo giovane scrittore leggendo la sua seconda prova narrativa.
Ammetto che sono particolarmente affascinato da due regioni, la Puglia e la Sicilia. Terre assolate e con una cucina molto ricca e molto varia e con tale varietà di testimonianze storico artistiche da farne in questo campo tra le più ricche d'Europa. Così dopo alcune perplessità comincio la lettura di “Divorare il cielo” (Einaudi pp. 430 € 22,00), secondo romanzo del nostro giovane fisico.
Il libro ci parla di Teresa una ragazza ventenne di Torino che passa le estati nella masseria di famiglia in Puglia, terra d'origine del padre. Durante le sue vacanze estive in una calda notte mediterranea avviene per lei un incontro che condizionerà il suo futuro. Accade che un suo coetaneo di nome Bern penetra abusivamente nella sua casa per potersi bagnare nella piscina. Qui i due ragazzi si conoscono e Teresa rimane affascinata dalla personalità di Bern. Questi vive insieme ad altri due coetanei: Tommaso e Nicola, insieme ai genitori di Nicola in una specie di comunità alternativa in una masseria del paese. Ognuno di loro ha delle carenze legate alla figura paterna. Non vanno a scuola ma possiedono una vasta cultura che si sono fatti autonomamente fuori dai circuiti ufficiali. Tra le loro letture preferite figura la Bibbia di cui hanno una approfondita conoscenza. Oltre a questo credono nella reincarnazione e sono vegetariani. In paese sono considerati stravaganti e sono chiamati con una punta di disprezzo come “quelli della masseria”. Ma in Teresa questo incontro suscita inquietudine per “quel desiderio inesausto e inesauribile di divorare il cielo e di inghiottire tutta intera la vita”, così dice il libro. I ragazzi possiedono l'aspirazione a una utopia, a una vita piena che coinvolga anche l'aspetto sessuale. Al sesso infatti sono dedicate tante e accurate pagine del libro in quanto che ci piaccia o meno è strettamente legato all'affettività delle persone. Pertanto una autentica maturità umana non può prescindere anche da una maturità sessuale. Anche Dio in questo libro è fatto oggetto di ricerca e di tensione. Bern alterna momenti di scettismo assoluto con momenti di professione di fede ardente ma non abbandona mai la ricerca. Le esistenze di questi quattro ragazzi che stanno ormai affacciandosi dolorosamente all'età adulta si intersecano con altri personaggi ed eventi. Sempre presenti deboli figure paterne non sempre all'altezza e alla delicatezza del compito che imporrebbe il loro ruolo e madri comunque più forti anche se relegate in secondo piano. In queste sequenze di incontri di persone e eventi trascorrono le loro vite. A rendere più bella la vita dei protagonisti nel libro compaiono due bambine, due promesse di un futuro. Una bambina che si chiama Ada e poi c'è la figlia cui Teresa rivolge parecchi racconti del suo incontro con Bern. Certo che questo vedere nei figli una promessa di un futuro è qualcosa che qui in Occidente si è proprio dimenticato e si vive come se la giovinezza dovesse durare per sempre. A questo ci ha portato il consumismo nihilista da cui siamo afflitti. Pertanto siamo grati a Paolo Giordano che ha sottolineato questo importante aspetto dell'esistenza. Il romanzo è attraversato da una tensione continua. La tensione di cercare di conoscere i nostri fratelli in umanità. Tensione che sfocia in una ricerca perenne. Infatti nel libro è detto “si impiega moltissimo tempo a capire qualcosa di una persona” troppo tempo, la verità sulle persone, su chiunque semplicemente non esiste. Eppure nonostante questa difficoltà quasi insormontabile i due continueranno senza tregua a cercarsi fino alla conclusione del romanzo.
Certamente trovo maturato lo stile di Paolo Giordano rispetto alla “Solitudine dei numeri primi”. Anche quest'opera come la precedente comunque parla di solitudine. Una solitudine spesso condivisa con altri ma sempre solitudine. Dalla solitudine si esce unicamente con la ricerca. Ricerca di cui nessuno nega la difficoltà che fanno in modo diverso parte delle esperienze di ciascuno di noi. La ricerca di un qualche assoluto, assoluto che alla fine si rivela ogni volta che ricerchiamo in profondità i nostri fratelli di umanità che incontriamo lungo il cammino della nostra vita.