Con la meraviglia negli occhi
Il racconto di un giorno speciale: davanti al Papa senza parole
di Marina Corradi
L'appuntamento è alle 11 del primo maggio in piazza Sant'Uffizio, sotto a una pioggia fina.
Giornalisti, impiegati, tecnici di Avvenire, ciascuno con la sua famiglia. Strano vederci qui, le facce di ogni giorno sotto le maestose geometrie di San Pietro; con il coniuge accanto, e i bambini che sfuggono dalle mani e svolazzano, vivi come passeri, e qualche nonno emozionato. L'altra metà della vita dei nostri colleghi, solitamente ignota, ci si rivela davanti alla cancellata custodita dalle Guardie Svizzere. La mia famiglia poi è calata da Milano al gran completo, marito, tre figli e perfino il cane, il mio caro bastardino, che solo con rammarico ho lasciato in albergo. (Secondo me, una carezza Francesco l'avrebbe fatta anche a lui).
Siamo in tanti in questo cinquantesimo anniversario di Avvenire, forse in quattrocento, in una gaia confusione di giornata di festa e abiti buoni, i bambini pettinati e incravattati. Al figlio maggiore la cravatta noi l'abbiamo comprata di corsa stamattina in via Cola di Rienzo, non senza bruschi rimbrotti, perché se l'era dimenticata. E adesso eccoci che varchiamo la soglia del Vaticano e zittiamo, presi da quella soggezione che questi palazzi monumentali esercitano sui visitatori.
Vedo dipinta negli occhi dei miei figli la meraviglia; e mi osservo camminare accanto a loro, ormai più alti di me, e rivedo trent'anni di lavoro ad Avvenire, i viaggi, le partenze, e loro tre piccoli, a casa. Una vita intera mi passa davanti mentre insieme alle altre famiglie procediamo in silenzio verso la Sala Clementina. Qui, con Avvenire, venni quando il primogenito era piccolissimo, e il Papa era Giovanni Paolo II. Poi, molti anni dopo, ci ricevette Benedetto XVI: mia figlia, che aveva dieci anni, se ne ricorda ancora la carezza su una guancia. E quest'oggi loro grandi, e io quasi vecchia. Mi stringo al braccio di mio marito, con una lieve vertigine.
La Sala Clementina ci accoglie con la sua armonia sfarzosa. Noi con il naso in su, a contemplare gli affreschi e gli ori seicenteschi, e poi a allinearci timidamente nelle sedie. Ci salutiamo cameratescamente fra colleghi che vediamo ogni mattina, eppure tutti siamo visibilmente, sotto i vestiti belli, emozionati.
Quando arriva, il Papa? I bambini eccitati non riescono a star fermi, un brusio acuto di note infantili colma la immensa sala. Solo il più piccolo, neonato, dorme fra le braccia della mamma, ignaro. (Gli diranno, un giorno: avevi tre mesi, e ti ha benedetto il Papa). «Ma ce lo faranno salutare ad uno ad uno?», ci si domanda tra le sedie, ansiosi. Un messo in livrea promette di sì. L'emozione sale. Ed ecco al fondo della sala s'affaccia una veste bianca. L'aula zittisce e scatta in piedi, poi esplode in un applauso.
Il cardinale Bassetti, presidente della Cei, il direttore Marco Tarquinio, monsignor Galantino e monsignor Semeraro accolgono Francesco a nome di tutti noi, che allunghiamo il collo per vedere e cerchiamo di tenere a bada i bambini. Ma si sa, a Francesco le voci dei bambini piacciono. Ce n' è uno che strilla pervicace per tutta l'udienza, ma il Papa sorride serafico.
Giornalisti, impiegati, tecnici di Avvenire, ciascuno con la sua famiglia. Strano vederci qui, le facce di ogni giorno sotto le maestose geometrie di San Pietro; con il coniuge accanto, e i bambini che sfuggono dalle mani e svolazzano, vivi come passeri, e qualche nonno emozionato. L'altra metà della vita dei nostri colleghi, solitamente ignota, ci si rivela davanti alla cancellata custodita dalle Guardie Svizzere. La mia famiglia poi è calata da Milano al gran completo, marito, tre figli e perfino il cane, il mio caro bastardino, che solo con rammarico ho lasciato in albergo. (Secondo me, una carezza Francesco l'avrebbe fatta anche a lui).
Siamo in tanti in questo cinquantesimo anniversario di Avvenire, forse in quattrocento, in una gaia confusione di giornata di festa e abiti buoni, i bambini pettinati e incravattati. Al figlio maggiore la cravatta noi l'abbiamo comprata di corsa stamattina in via Cola di Rienzo, non senza bruschi rimbrotti, perché se l'era dimenticata. E adesso eccoci che varchiamo la soglia del Vaticano e zittiamo, presi da quella soggezione che questi palazzi monumentali esercitano sui visitatori.
Vedo dipinta negli occhi dei miei figli la meraviglia; e mi osservo camminare accanto a loro, ormai più alti di me, e rivedo trent'anni di lavoro ad Avvenire, i viaggi, le partenze, e loro tre piccoli, a casa. Una vita intera mi passa davanti mentre insieme alle altre famiglie procediamo in silenzio verso la Sala Clementina. Qui, con Avvenire, venni quando il primogenito era piccolissimo, e il Papa era Giovanni Paolo II. Poi, molti anni dopo, ci ricevette Benedetto XVI: mia figlia, che aveva dieci anni, se ne ricorda ancora la carezza su una guancia. E quest'oggi loro grandi, e io quasi vecchia. Mi stringo al braccio di mio marito, con una lieve vertigine.
La Sala Clementina ci accoglie con la sua armonia sfarzosa. Noi con il naso in su, a contemplare gli affreschi e gli ori seicenteschi, e poi a allinearci timidamente nelle sedie. Ci salutiamo cameratescamente fra colleghi che vediamo ogni mattina, eppure tutti siamo visibilmente, sotto i vestiti belli, emozionati.
Quando arriva, il Papa? I bambini eccitati non riescono a star fermi, un brusio acuto di note infantili colma la immensa sala. Solo il più piccolo, neonato, dorme fra le braccia della mamma, ignaro. (Gli diranno, un giorno: avevi tre mesi, e ti ha benedetto il Papa). «Ma ce lo faranno salutare ad uno ad uno?», ci si domanda tra le sedie, ansiosi. Un messo in livrea promette di sì. L'emozione sale. Ed ecco al fondo della sala s'affaccia una veste bianca. L'aula zittisce e scatta in piedi, poi esplode in un applauso.
Il cardinale Bassetti, presidente della Cei, il direttore Marco Tarquinio, monsignor Galantino e monsignor Semeraro accolgono Francesco a nome di tutti noi, che allunghiamo il collo per vedere e cerchiamo di tenere a bada i bambini. Ma si sa, a Francesco le voci dei bambini piacciono. Ce n' è uno che strilla pervicace per tutta l'udienza, ma il Papa sorride serafico.
Ci parla, Francesco, del nostro lavoro, e già dalle prime parole ci provoca, indicando a modello san Giuseppe lavoratore, "uomo del silenzio": «Potrebbe perfino sembrare l'antitesi del comunicatore. In realtà, solo spegnendo il rumore del mondo e le nostre stesse chiacchiere è possibile l'ascolto, che rimane la condizione prima di ogni comunicazione», dice il Papa. E ancora: «Una Chiesa che vive della contemplazione del volto di Cristo non fatica a riconoscerlo nel volto dell'uomo... Lasciatevi interrogare da quello che accade. Ascoltate, approfondite, confrontatevi... Nessuno detti la vostra agenda, tranne i poveri, gli ultimi, i sofferenti».
E tu che in questo giornale sei da trent'anni pensi a mille riunioni di redazione, e discussioni, e ai pezzi scritti di corsa a tarda ora con le parole che si affastellano veloci - al dubbio, sempre, che una di quelle parole sia sbagliata; alla nostra ignota fatica, mentre la tipografia urge, e i treni devono partire. Oppure, adesso, alla giostra del web, alle parole che corrono, ai giovani colleghi che scrivono online sul filo dei secondi. Quanta fatica, quanta ansia, anche quanti errori. Che il vero dono sia il silenzio interiore di Giuseppe?
Ma adesso Francesco vuole fare la foto con i bambini. Con tutti i bambini che corrono a raggrupparglisi attorno, fieri, in posa. Poi sciamano via verso le mamme, e tocca ai grandi, salutare il Papa. Io mi trovo davanti a lui e mi scopro assolutamente senza parole: ma stringo la sua mano, e percepisco in quella stretta una gran forza. Mi volto e commossa osservo i miei figli accanto a Francesco, come me ammutoliti. Ce ne usciamo assorti, passando davanti alle Guardie Svizzere immobili, cercando di decifrare le nostre emozioni.
Salutiamo i volti cari dei colleghi e quelli dei loro figli, come vedendo i compagni di lavoro per la prima volta nella loro interezza. Poi, ci disperdiamo per Roma. Noi cinque, in auto, impiegheremo nove ore in colonna sull'Autosole, sotto la pioggia battente, il cane in braccio, per tornare a casa. Un'odissea. Ma non ci lamentiamo. La mano destra conserva ancora, cara, la memoria di quella stretta forte.
E tu che in questo giornale sei da trent'anni pensi a mille riunioni di redazione, e discussioni, e ai pezzi scritti di corsa a tarda ora con le parole che si affastellano veloci - al dubbio, sempre, che una di quelle parole sia sbagliata; alla nostra ignota fatica, mentre la tipografia urge, e i treni devono partire. Oppure, adesso, alla giostra del web, alle parole che corrono, ai giovani colleghi che scrivono online sul filo dei secondi. Quanta fatica, quanta ansia, anche quanti errori. Che il vero dono sia il silenzio interiore di Giuseppe?
Ma adesso Francesco vuole fare la foto con i bambini. Con tutti i bambini che corrono a raggrupparglisi attorno, fieri, in posa. Poi sciamano via verso le mamme, e tocca ai grandi, salutare il Papa. Io mi trovo davanti a lui e mi scopro assolutamente senza parole: ma stringo la sua mano, e percepisco in quella stretta una gran forza. Mi volto e commossa osservo i miei figli accanto a Francesco, come me ammutoliti. Ce ne usciamo assorti, passando davanti alle Guardie Svizzere immobili, cercando di decifrare le nostre emozioni.
Salutiamo i volti cari dei colleghi e quelli dei loro figli, come vedendo i compagni di lavoro per la prima volta nella loro interezza. Poi, ci disperdiamo per Roma. Noi cinque, in auto, impiegheremo nove ore in colonna sull'Autosole, sotto la pioggia battente, il cane in braccio, per tornare a casa. Un'odissea. Ma non ci lamentiamo. La mano destra conserva ancora, cara, la memoria di quella stretta forte.
(fonte: Avvenire 3 maggio 2018)
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Vedi anche il saluto iniziale rivolto a papa Francesco dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei e arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, in apertura dell’udienza concessa martedì 1° maggio dal Pontefice al personale di Avvenire con i familiari in occasione dei cinquant’anni del quotidiano dei cattolici italiani.
Leggi tutto: Bassetti: Avvenire punto di riferimento per le nostre comunità