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martedì 7 novembre 2017

Commemorazione defunti, card. Montenegro: "I morti in mare vanno pianti insieme ai nostri cari"

Commemorazione defunti, card. Montenegro: 
"I morti in mare vanno pianti insieme ai nostri cari"

Pubblichiamo il testo integrale (e il video) dell’omelia che l’arcivescovo di Agrigento, card. Francesco Montenegro ha pronunciato in occasione della Commemorazione dei fedeli defunti il 2 novembre al cimitero Bonamorone di Agrigento. 

“ Il giorno della Commemorazione dei defunti ritorna annualmente - ha esordito Cardinale - portando con sé ricordi, lacrime e nostalgia. Ma per noi credenti anche fiducia e speranza cristiana. È stato Gesù a dirci con la sua morte in croce - ha proseguito il cardinale - che l’uomo non è condannato alla morte ma è destinato alla vita quella del cielo. È dalla croce che si irradia quella luce che trasforma la morte da un assurdo che spaventa a un gesto di eterno amore di Dio per l’umanità. Se e quando ci si sente amati da Dio anche la sofferenza, la fatica, la morte acquistano un senso e un valore tali che superano i confini del tempo e raggiungono il cuore dell’eternità. Non è facile – ha detto l’Arcivescovo - parlare di morte soprattutto in un tempo bizzarro come il nostro. Si fa di tutto - ha proseguito - per nasconderla, evitiamo anche di chiamarla per nome. E poi la si banalizza addirittura la si spettacolarizza. Approfittiamo di questo giorno – ha detto ai presenti - per puntare lo sguardo, nel silenzio e anche con stupore, sulla croce e su Gesù che vi muore appresso. Con questo gesto Egli si compromette al massimo con noi e contemporaneamente ci svela il suo amore totale, estremo e scandaloso. Dinnanzi ad un Dio - ha proseguito il cardinale - che ama l’uomo fino a questo punto anche la morte acquista un volto nuovo. Se la croce è il metro dell’amore di Dio per noi, se egli ha attraversato e sconfitto la morte allora essa può fare meno paura perché è visitata da Dio.

Egli non può essere un Dio che ci ruba la vita dopo avercela donata.

Dal Golgota in poi la morte non può più essere intesa come un baratro che segna la fine dei sogni e delle speranze umane. Ma è attraversata da una luce particolare, che parla anche in un simile momento di vita. Questo significa – ha detto - il cero acceso vicino alla bara durante la celebrazione dei funerali. La morte di Cristo - ha continuato il cardinale - non è solo la dimostrazione del suo amore; essa modifica la condizione dell’umanità, la libera dal peccato, e noi perciò possiamo parlare di vita eterna. La morte - ha detto ancora il cardinale - ci obbliga ad una scelta o chiuderci nel nostro guscio, stretti da paura o aprirci, senza condizioni alla speranza e alla fiducia di Dio. Accettare questo significa dare fiducia a Dio e attendere la salvezza che lui ci offre ma anche attendere Lui.

Senza questo atteggiamento di fiducia in Dio, la nostra fede, resterà fragile.

I santi – ha proseguito - ci insegnano che questo abbandono totale vale proprio nel momento della morte quando le certezze umane vengono meno. Ora capiamo perché S. Francesco chiamava la morte “sorella” e Don Guanella “mamma”.

Abbiamo bisogno di guardare alla morte di Cristo in questo nostro camminare tra le tombe alla ricerca dei nostri cari. Mentre li ricordiamo e preghiamo per loro nello stesso tempo ripetiamo la nostra obbedienza e abbandono al Padre che è nei cieli. L’incontro con i nostri cari diventi incontro con Dio che ci parla di vita.

Il cardinale ha concluso la sua omelia ricordando le parole di Montale “ la morte odore di risurrezione”.

Inoltre l’arcivescovo ha voluto ricordare anche i defunti in mare che riposano nei nostri cimiteri. "Quei morti - ha detto - ci interessano sono fratelli nostri che, seppure col colore della pelle diversa, appartengono alla famiglia umana molti alla nostra Famiglia cristiana.

Sono morti che vanno pianti insieme ai nostri cari, che devono scuotere le nostre coscienze e farci riflettere che il paradiso resta lontano per noi se in questa terra non siamo in grado di annullare le differenze e le diversità. Il loro silenzio è grido che Dio ascolta, come ha ascoltato quello del suo popolo prigioniero del faraone. Chiediamo, ha concluso l’arcivescovo, perdono per il nostro egoismo e chiediamo al Signore che ci aiuti a comprendere cosa vuol dire vivere da cristiani, e ci aiuti a fare le scelte giuste, ad affrontare le situazioni soprattutto se difficili. Chiediamo al Signore di aumentare la nostra fede e di farci sentire sempre il profumo della sua Pasqua".
Carmelo Petrone

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(fonte: Vita Ecclesiale )