Dimora per l’avvento di Cristo
di Manuel Nin
Nel calendario delle Chiese di tradizione bizantina le feste della Madre di Dio hanno nei titoli appellativi spesso presi dall’Antico Testamento e basati su una lettura cristologica che collega la Madre di Dio al mistero della salvezza nell’incarnazione del Verbo di Dio. La festa del 21 novembre, l’Ingresso della Madre di Dio nel tempio, ha un’origine legata alla dedicazione di una chiesa nella città santa di Gerusalemme. Molti aspetti della festa, presenti nei testi liturgici, vengono dal Protovangelo di Giacomo, un apocrifo che ha avuto un influsso notevole nella liturgia sia in oriente che in occidente.
Il titolo Madre di Dio in uno dei tropari viene abbinato a un altro titolo: «Celebriamo spiritualmente una festa solenne, e piamente acclamiamo la Vergine, figlia di Dio e Madre di Dio, che viene condotta al tempio del Signore. O Davide, che cos’è questa festa? Non è per colei che un tempo hai celebrata nel libro dei Salmi come divina figlia di Dio e vergine?».
Nella festa il titolo più usato è quello di tempio, perché la liturgia, celebrando l’ingresso della Madre di Dio nel tempio contempla colei che diventa tempio di Cristo: «Vergini recanti lampade, facendo lietamente strada alla sempre vergine, realmente profetizzano in spirito ciò che avverrà: la Madre di Dio, che è tempio di Dio, con gloria verginale è introdotta nel tempio, ancora bambina. Oggi è condotto al tempio del Signore il tempio che accoglie Dio, la Madre di Dio. Oggi il tempio vivente della santa gloria del Cristo Dio nostro, la pura, la sola benedetta tra le donne, è presentata al tempio della Legge per dimorare nel santo dei santi. È posto all’interno del tempio di Dio il tempio che accoglie Dio. Tu, divenuta più elevata dei cieli, o tutta pura, tempio e reggia, sei riposta nel tempio di Dio, per essergli preparata come divina abitazione per il suo avvento».
Altri tropari la invocano come santuario di Dio, tabernacolo di Cristo, dimora, casa: «Il grande sacerdote Zaccaria lieto l’accoglie come tabernacolo di Dio. Entra nei penetrali, apprendi i misteri e preparati a divenire amabile e splendido tabernacolo di Gesù. Santuario glorioso e sacra offerta, la Vergine purissima, riposta oggi nel tempio di Dio, qui è custodita, come egli solo sa, per divenire dimora del re dell’universo, unico Dio nostro». Ben nove volte la liturgia della festa adopera per Maria il titolo di sposa di Dio o colei che è a Dio sposata, un titolo molto usato nella tradizione bizantina, specialmente nell’inno Akàthistos: «Nutrita fedelmente con pane celeste, o Vergine, nel tempio del Signore, tu hai generato al mondo il Verbo, pane di vita; come suo tempio eletto e tutto immacolato, fosti misticamente fidanzata allo Spirito, sposata a Dio Padre, colei che da madre sterile è prodigiosamente nata, la sposa di Dio, Madre del Creatore».
L’esegesi cristologica e mariologica del testo di Ezechiele 43-44 introduce il titolo di porta invalicabile, porta del Signore, termine che si trova nella liturgia: «Ecco, la porta che guarda a oriente, consacrata come dimora di Dio, è condotta oggi al tempio. Zaccaria a lei esclama: Porta del Signore, io ti apro le porte del tempio». Sempre sulla scia di una lettura allegorica dei testi veterotestamentari, la liturgia chiama Maria lampada, arca, reggia, tesoro, urna, talamo: «Tra lampade luminose affidata al tempio divino sin dall’infanzia, in tutta purezza, come vero tempio divino, sei apparsa ricettacolo della luce divina e inaccessibile».
Uno dei tropari del mattutino diventa una vera e propria sintesi della fede cristiana. Nell’incarnazione il Verbo assume da Maria la nostra natura umana: «Il creatore di tutte le cose, l’artefice e sovrano, piegandosi con ineffabile compassione, solo per il suo amore per gli uomini ha avuto pietà di colui che con le sue mani aveva formato e che vedeva caduto, e si è compiaciuto di rialzarlo, riplasmandolo in modo più divino, con il proprio annientamento, perché per natura è buono e misericordioso. Egli prende pertanto Maria, vergine e pura, come mediatrice del mistero, per assumere da lei, secondo il suo disegno, ciò che è nostro: essa è celeste dimora».
(fonte: L'Osservatore Romano)