II Sinodo in sole quattro parole:
discernimento, ascolto, cammino, condivisione
di Matteo Liut, Giordano Goccini, Alberto Gastaldi, Margherita Anselmi, Gioele Anni
Adesso è ufficiale: la XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale» si terrà dal 3 al 28 ottobre 2018.
La notizia è stata data al termine della terza riunione del XIV Consiglio ordinario della Segreteria Generale, che nei giorni scorsi ha fatto il punto sul cammino di preparazione verso il Sinodo. Un itinerario, quindi, che ora ha anche un orizzonte temporale definito e che, come sottolineato nel comunicato diffuso ieri, è sbarcato anche sui social network attraverso i canali ufficiali attivati dalla Segreteria per permettere a tutti di partecipare.
Ora lo sguardo è rivolto alle prossime tappe ufficiali: la riunione presinodale dal 19 al 24 marzo 2018 e la stesura dell’Instrumentum laboris. Il documento raccoglierà anche le risposte al questionario inviato alle Chiese locali di tutto il mondo. Un contributo poi arriverà anche dal questionario online aperto a tutti i giovani: la chiusura di questo canale è stata posticipata di un mese. Sarà possibile rispondere quindi fino al prossimo 31 dicembre.
La strada, insomma, prosegue seguendo soprattutto quei binari indicati dal Documento preparatorio. Da lì sono tratte le quattro 'sfide' che in questa pagina vengono declinate da alcuni giovani ed educatori: discernimento, ascolto, cammino e condivisione.
Discernimento
Navigare un’arte che va trasmessa di Giordano Goccini
La differenza tra un veliero e un relitto è piuttosto sottile e non sta nell’integrità delle sue parti ma nell’avere un equipaggio. Il relitto è abbandonato a se stesso e in balìa delle correnti: sono esse a portarlo a spasso dove vogliono, ad affondarlo e farlo riemergere a seconda dei loro capricci. Il veliero invece ha un equipaggio, una rotta e un capitano: anche se le correnti sono avverse, esso cercherà di addomesticarle stendendo e ritirando con ingegno le proprie vele, per trasformare quella potenza negativa in spinta verso l’approdo. Un buon equipaggio non perde tempo a sognare il vento in poppa e lamentarsi delle correnti avverse: sfrutta con caparbia intelligenza il loro potenziale cinetico.
L’arte del discernimento si colloca esattamente lì, in quella sottile differenza tra il relitto e il veliero: tra l’abbandono alle correnti e la ricerca della rotta da seguire.
È un’arte che oggi si è fatta più difficile e ardita, dal momento che le rotte esistenziali già tracciate hanno perso di interesse e di smalto. Se le generazioni che ci hanno preceduto avevano ben chiare le traiettorie da seguire, come 'si fa' a stare al mondo, i nostri figli oggi godono di una varietà immensa di opportunità senza trovare una direzione, un 'senso' che ne possa valorizzare il potenziale. I loro percorsi somigliano a un relitto in balìa delle correnti. La prima cosa di cui avvertono la mancanza è proprio la vocazione: qualcuno che li chiami, che dica loro: «Cresci! Abbiamo bisogno di te!». Incontrano più spesso un mondo adulto che li trattiene nel limbo della giovinezza: «Beato te che sei giovane!». Da questa deriva non siamo immuni nemmeno nella Chiesa. La vocazione è anzitutto la chiamata alla vita piena, a dare una forma compiuta alla propria esistenza umana, a condurla verso una pienezza di bene unica e originale. È un processo dialogico: richiede comunità adulte e accoglienti. Poi c’è la voce di Dio, l’immensa imprevedibilità dei suoi piani, la potenza dei suoi suggerimenti al cuore dell’uomo: «Non abbiate paura di ascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci, non indugiate quando la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro» (lettera ai giovani di papa Francesco, 13 gennaio 2017). Solo la nostalgia del mare insegna l’arte di navigare.
Ascolto
Adulti pazienti e nessuna ricetta pronta di Alberto Gastaldi
L’ascolto è una pro-vocazione: se ci lasciamo guidare dalla suggestione di questa parola possiamo cogliere la sfida dell’accompagnamento dei giovani.
Saper attendere, starci con fiducia e mettersi in discussione sono alcuni degli elementi indispensabili per incontrare i ragazzi. Un ascolto sincero e attento esige la consapevolezza, fin dall’inizio, di non conoscere dove il tempo speso in questa direzione potrà condurci. Non bisogna temere di essere destabilizzati. Sarebbe sbagliato porsi l’obiettivo funzionale di consegnare delle ricette preconfezionate. A noi adulti occorre una continua conversione per dare spazio al dialogo senza premettere i 'se' e i 'ma'. È una strada per conoscere i giovani: quali sono le loro attese, le loro paure, che cosa cercano giorno dopo giorno, chi sono disposti a seguire.
Per comprenderli non è secondario scoprire i loro linguaggi: le parole utilizzate rivelano un modo di pensare e di agire che rischia di sfuggirci. In questi anni, di fronte alla crescita dell’utilizzo dei social, abbiamo sempre ribadito ai ragazzi la priorità di un ascolto 'faccia a faccia', dobbiamo, allo stesso tempo, essere consapevoli che frequentare l’ambiente digitale può essere un’opportunità da non liquidare velocemente con lo slogan «intanto lì non passano le relazioni reali». Ponendosi con autenticità e serietà, si incrociano storie, si aprono emozioni, si accolgono domande.
Dobbiamo inoltre moltiplicare i luoghi di condivisione nei quali i giovani siano accolti senza essere giudicati, vivano la dimensione della 'casa'. L’ascolto cresce anche con l’impegno del 'fare insieme'. Il tempo speso per pulire un’aula dopo una serata, il viaggio in macchina per raggiungere i poveri, la preparazione del doposcuola per i piccoli, sono opportunità per l’ascolto in modo informale. Passa tanto di prezioso, se sappiamo metterci la testa e il cuore. L’ascolto è un primo passo in un cammino che sacerdoti ed educatori sono chiamati a compiere per rendere protagonisti i giovani nelle comunità cristiane. Il Signore ci chiama continuamente a uscire da noi stessi attraverso le domande che l’ascolto suscita in noi e ci sprona alla ricerca di un senso per cui vale la pena vivere il Vangelo.
Cammino.
I compagni vanno scelti con cura di Margherita Anselmi
Mettersi in cammino è una scelta, è un impegno, è mettersi in gioco per esplorare. Se il cammino ha una meta si trasforma in viaggio, se la meta non si conosce si corre il rischio di peregrinare invano. Scegliere la destinazione del proprio cammino di vita è certamente ancora più impegnativo, per il comprensibile timore di sbagliare: dove andrò, riuscirò a trasformare il mio cammino in viaggio? E quando avrò scelto la destinazione, quali difficoltà incontrerò lungo il percorso, chi mi accompagnerà? Nel linguaggio comune, espressioni come bivio, strada, salita, meta, sono utilizzate come metafore del cammino della vita, di quel viaggio misterioso di cui noi siamo esploratori e cartografi contemporaneamente.
Camminare presuppone l’andare, il movimento, la dinamicità, lo spostamento. Presuppone anche una meta, un desiderio di ricerca, una necessità di allontanarsi, un bisogno di cambiamento. La vita di ogni uomo è in divenire, per i giovani è ancora più impegnativo e talvolta «spaventoso» mettersi in cammino, perché si abbandonano porti sicuri per esplorare luoghi sconosciuti.
L’attenzione posta dal Papa e, su sua indicazione, dalla Chiesa ai giovani è un’attenzione che mette al centro l’affiancamento al loro cammino di fede e di vita. Il Sinodo stesso si inserisce in questa logica di ricerca, ascolto e cambiamento. Un qualsiasi viaggio trasforma chi si lascia coinvolgere, per i vescovi sarà importante che in questo Sinodo si lascino rinnovare dall’ascolto dei giovani. Iniziare un cammino ha insita la scelta della meta, ma non è sufficiente. Infatti, «una bussola ti indica il nord dal punto in cui ti trovi, ma non può avvertirti delle paludi, dei deserti e degli abissi che incontrerai lungo il cammino» (Lincoln). Quando ci si mette in viaggio, nonostante si conosca la meta, è fondamentale avere accanto persone che ti sostengano, ti aiutino e ti siano semplicemente accanto per ricordarti che puoi rialzarti quando attraversi paludi, percorri deserti e ti perdi negli abissi. La figura del padre spirituale, sottolineata nel Sinodo come essenziale per l’aiuto al discernimento vocazionale, sostiene nella indicazione della meta ma soprattutto sostiene durante il percorso. Il timore del giovane di perdersi nel peregrinare ha un forte bisogno di testimoni coerenti e coraggiosi, dove il continuo movimento disorientato si trasforma in un cammino illuminato da valori certi che rendono la scelta della via della felicità per la realizzazione del proprio progetto di vita un compimento del «sì».
Condivisione
La meta: spendersi per gli altri di Gioele Anni
«Nell’accompagnamento delle giovani generazioni, la Chiesa accoglie la sua chiamata a collaborare alla gioia dei giovani piuttosto che tentare di impadronirsi della loro fede». Poche parole del Documento preparatorio al prossimo Sinodo definiscono il rapporto di condivisione che la Chiesa vuole stringere con i giovani. C’è l’idea della vita come un cammino, una strada da percorrere insieme, che tu ti definisca credente, in ricerca o ateo. Per ognuno il viaggio ha una meta: la felicità che si compie nel realizzare i propri sogni. Chi vive un’esperienza di fede riconosce in questa felicità una vocazione da compiere.
Tanti giovani magari non legano questo desiderio a una visione religiosa della vita, ma si sentono chiamati a dare il meglio di sé per trovare il proprio posto nel mondo. E che cosa vuol fare la Chiesa, in questo tempo di grazia verso il Sinodo? «Collaborare alla gioia», cioè condividere le esperienze della vita senza imporsi ma accettando il dialogo, il confronto, anche la critica. Questo «condividere la vita» passa dal farsi prossimi, dall’essere presenti nelle esperienze che segnano i giovani, che li spingono a mettersi in gioco per fare il bene.
Pensiamo a tante realtà di volontariato attive a vario titolo nel nostro Paese. Secondo alcuni studi sono almeno un milione i giovani italiani che s’impegnano gratuitamente in vari settori, dall’educazione alla carità. Quello che fanno non è altro che «condividere » una parte della loro vita con altre persone. E c’è un segreto: spendersi per gli altri fa bene, fa sentire concretamente che «c’è più gioia nel dare che nel ricevere». Capita spesso di sentire giovani che dicono: «Ho fatto un’esperienza di servizio e all’inizio ero preoccupato, perché pensavo a quello che avrei dovuto fare per gli altri. Invece mi sono ritrovato a ricevere dalle persone che ho incontrato molto più di quello che ho dato». «Condividere», oggi, non è solo l’azione base di tutti i social network, il verbo che invita a diffondere nel Web una frase o una foto. «Condividere» è prima di tutto uno stile di cura e vicinanza. Da allenare giorno per giorno nei mesi che ci porteranno verso il Sinodo, ma soprattutto dopo e in ogni situazione, nel cammino della vita.
(fonte: “Avvenire” del 22/11/2017 )