Quando pregate dite "Padre Nostro",
l'intervista a Francesco diventa libro
Da una trasmissione televisiva, ad un libro di 137 pagine, ossia, da un'intervista rilasciata da Papa Francesco a don Marco Pozza, per il programma Padre Nostro, in onda su TV2000, al testo "Quando pregate dite Padre Nostro".
Un "percorso è inverso", rispetto a quanto succede di solito e a spiegarci il perchè, è proprio don Pozza: "A differenza di altri grandi progetti editoriali, questo non è stato studiato a tavolino e, di conseguenza, che sia venuta prima la parte televisiva e poi quella scritta, e non viceversa, non è dipeso da noi ma è semplicemente stato il frutto della fantasia di Dio. Strada facendo - prosegue don Marco - quella conversazione, che era nata per andare sul piccolo schermo di TV2000, uscì con una freschezza tale che ci siamo guardati e ci siamo detti: “Ma perché non metterla anche dentro ad un testo, un libro?"
Il testo, per i tipi della Rizzoli in collaborazione con la Libreria Editrice Vaticana, permette ad ognuno di noi di "ruminare" la preghiera che Gesù ci ha insegnato anche alla luce delle parole del Vicario di Cristo. Non a caso, ogni capitolo si chiude con dei testi del Pontefice che approfondiscono e sviluppano argomenti e temi cruciali come la paternità o il perdono.
Per vivere come veri figli
La prefazione del Pontefice
Pubblichiamo la prefazione del Santo Padre e una parte delle conclusioni del cappellano del carcere di Padova al libro Quando pregate dite Padre Nostro copubblicato dalle edizioni Rizzoli e dalla Libreria editrice vaticana (Segrate, Città del Vaticano, 2017, pagine 144, euro 16) uscito il 23 novembre.
«Padre»: senza dire, senza sentire questa parola non si può pregare. Chi prego? Il Dio Onnipotente? Troppo lontano, non riesco a sentirlo vicino: neppure Gesù lo sentiva. Chi prego? Il Dio cosmico? Va di moda, in questi giorni, pregare il Dio cosmico: è la modalità politeista tipica di una cultura light...
Tu devi pregare il Padre! È una parola forte, «padre». Tu devi pregare quello che ti ha generato, che ti ha dato la vita. L’ha data a tutti, certo; ma «tutti» è troppo anonimo. L’ha data a te, l’ha data a me. Ed è anche colui che ti accompagna nel tuo cammino: conosce tutta la tua vita, ciò che è buono e ciò che non è così buono. Se non incominciamo la preghiera con questa parola, detta non dalle labbra ma dal cuore, non possiamo pregare «in cristiano».
Abbiamo un Padre. Vicinissimo, che ci abbraccia. Tutti questi affanni, tutte le preoccupazioni che possiamo avere, lasciamoli al Padre: Lui sa di cosa abbiamo bisogno. Ma in che senso «Padre»?Padre mio? No: Padre nostro! Perché io non sono figlio unico, nessuno di noi lo è, e se non posso essere fratello, difficilmente potrò diventare figlio di questo Padre, perché è un padre di tutti.
Mio, di sicuro, ma anche degli altri, dei miei fratelli. E se io non sono in pace con i miei fratelli, non posso dire «Padre» a Lui. Non si può pregare con nemici nel cuore, con fratelli e nemici nel cuore. Non è facile, lo so. «“Padre”, io non posso dire “Padre”, non mi viene». È vero, lo capisco. «Non posso dire “nostro”, perché il mio fratello, il mio nemico mi ha fatto questo, quello e... Devono andare all’inferno, non sono dei miei!» È vero, non è facile. Ma Gesù ci ha promesso lo Spirito Santo: è Lui che ci insegna, da dentro, dal cuore, come dire «Padre» e come dire «nostro». Chiediamo allo Spirito Santo che ci insegni a dire «Padre» e a poter dire «nostro», facendo la pace con tutti i nostri nemici. Questo libro contiene il mio dialogo con don Marco Pozza sul Padre nostro. Gesù non ci ha consegnato questa preghiera perché fosse semplicemente una formula con cui rivolgersi a Dio: con essa ci invita a rivolgerci al Padre per scoprirci e vivere come veri figli suoi e come fratelli tra di noi. Gesù ci fa vedere cosa vuol dire essere amati dal Padre e ci rivela che il Padre desidera riversare su di noi lo stesso amore che dall’eternità ha per il suo Figlio.
Spero che ognuno di noi, allora, mentre dice «Padre nostro», sempre più si scopra amato, perdonato, bagnato dalla rugiada dello Spirito Santo e sia così capace di amare e perdonare a sua volta ogni altro fratello, ogni altra sorella. Avremo così un’idea di cosa sia il paradiso.
(fonte: L'Osservatore Romano)
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Nel libro del Pontefice (Rizzoli-LEV) riflessioni inedite sul Padre Nostro
Páter hemōn. Simone Weil lo recitava ogni mattina nell’originale greco, «questa preghiera contiene tutte le domande possibili, non se ne può concepire una sola che non via sia racchiusa». Eppure, spiega Francesco, «ci vuole coraggio per pregare il Padre nostro». In un mondo «malato di orfanezza», le parole trasmesse da Gesù ai discepoli («Signore, insegnaci a pregare») mostrano un Dio che si fa dare del tu, e chiamare «papà». Il pontefice ne parla con don Marco Pozza, teologo e cappellano del carcere di Padova, un dialogo versetto per versetto che TV2000 ha cominciato a trasmettere ogni settimana ed ora esce per intero nel libro Quando pregate dite Padre nostro, con le riflessioni inedite di Francesco alternate a quelle di Angelus e udienze. Ci vuole coraggio, ripete il Papa. «Dico: mettetevi a dire “papà” e a credere veramente che Dio è il Padre che mi accompagna, mi perdona, mi dà il pane, è attento a tutto ciò che chiedo, mi veste ancora meglio dei fiori di campo. Credere è anche un grande rischio: e se non fosse vero?».
Il Padre nostro dice l’essenziale, al piccolo Bergoglio lo insegnò la nonna. «A me dà sicurezza», racconta. «Ho un papà davanti al quale mi sento sempre un bambino. Un padre che ti accompagna, ti aspetta». Che stia «nei cieli» indica l’onnipotenza, non la distanza. Santificare il suo nome significa essere coerenti e il nome è misericordia. Un’anziana che si voleva confessare, ricorda il Papa, gli disse: «Se Dio non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe». Così «protagonista della storia è il mendicante», materiale e spirituale, «dire “venga il tuo regno” è mendicare». La sua volontà è che «nulla vada perduto». Il pane quotidiano, la remissione dei debiti. La durezza dei Dottori della legge sta nel sentirsi giusti, «potrai perdonare se hai avuto la grazia di sentirti perdonato». Di qui le riflessioni vertiginose sulla sorte di Giuda e il male. Non è mai Dio a tentarci, quell’«indurci» è «una traduzione non buona», dice Francesco, nell’ultima versione Cei si legge «non abbandonarci». Il senso è: «Quando Satana ci induce in tentazione, tu, per favore, dammi la mano, dammi la tua mano».
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Nel racconto della passione di Gesù ci sono tre episodi che ci parlano della vergogna. Tre persone che si vergognano.
La prima è Pietro. Pietro sente cantare il gallo e in quel momento prova qualcosa dentro di sé e vede Gesù che esce e lo guarda. La vergogna è tale che piange amaramente (cfr. Luca 22,54-62).
Il secondo caso è quello del buon ladrone: «Noi siamo qui» dice all’altro compagno di sventura «perché abbiamo fatto cose brutte e ingiuste, ma questo povero innocente non ha colpe...». Si sente colpevole, si vergogna, e così, sostiene sant’Agostino, con questa vergogna ha rubato il paradiso (cfr. Luca 23,39-43).
La terza, quella che mi commuove di più, è la vergogna di Giuda. Giuda è un personaggio difficile da capire, ci sono state tante interpretazioni della sua personalità. Alla fine, però, quando vede cosa ha fatto, va dai «giusti», dai sacerdoti: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Quelli gli rispondono: «Che ci riguarda? Veditela tu» (cfr. Matteo 27,3-10). Così lui se ne va con la colpa che lo soffoca. Forse se avesse trovato la Madonna le cose sarebbero cambiate, ma il poveretto se ne va, non trova una via d’uscita e si impicca.
Ma c’è una cosa che mi fa pensare che la storia di Giuda non finisca lì... Magari qualcuno penserà: «Questo Papa è un eretico...». Invece no! Andate a vedere un capitello medievale nella basilica di Santa Maria Maddalena a Vézelay, in Borgogna. Gli uomini del Medioevo facevano la catechesi per mezzo delle sculture, delle immagini. In quel capitello, da una parte c’è Giuda impiccato, ma dall’altra c’è il Buon Pastore che se lo carica sulle spalle e lo porta via con sé. Sulle labbra del Buon Pastore c’è un accenno di sorriso non dico ironico, ma un po’ complice. Dietro la mia scrivania tengo la fotografia di questo capitello diviso in due sezioni perché mi fa meditare: ci sono tanti modi di vergognarsi; la disperazione è uno, ma dobbiamo cercare di aiutare i disperati affinché trovino la vera strada della vergogna, e non percorrano quella che finisce con Giuda.
Questi tre personaggi della passione di Gesù mi aiutano tanto. La vergogna è una grazia. Da noi in Argentina una persona che non sa comportarsi e fa del male è un «senza vergogna». (...)
Le seduzioni del male
Questo è il male. Il male non è qualcosa di impalpabile che si diffonde come la nebbia di Milano. È una persona, Satana, che è anche molto furba. Il Signore ci dice che quando viene scacciato se ne va, ma dopo un certo tempo, quando uno è distratto, magari dopo alcuni anni, torna peggiore di prima. Lui non entra con invadenza in casa. No, Satana è molto educato, bussa alla porta, suona, entra con le sue tipiche seduzioni e i suoi compagni. Alla fine è questo il senso del versetto: «non lasciarci cadere nel male». Bisogna essere furbi nel senso buono della parola, essere svelti, avere la capacità di discernere le bugie di Satana con il quale, ne sono convinto, non si può dialogare.
Come si comportava Gesù con Satana? O lo cacciava via o, come ha fatto nel deserto, si serviva della Parola di Dio. Nemmeno Gesù ha mai avviato un dialogo con Satana, perché se incominci a dialogare con lui sei perduto. È più intelligente di noi, e ti rovescia, ti fa girare la testa e alla fine sei perduto. No, «vattene, vattene!».
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Vedi anche il nostro post precedente: