Tornare ad Assisi: perché?
di Christian Albini
Assisi 2016 non è solo un anniversario. Ci sono avvenimenti che hanno un sapore di ritualità convenzionale. Non può essere così per il nuovo incontro interreligioso ad Assisi, a cui parteciperà papa Francesco, dopo quello iniziale con Giovanni Paolo II nel 1986, da lui ripetuto nel 2002 e anche da Benedetto XVI nel 2011.
Può sembrare un fatto dovuto che in un momento di nuovo segnato dal terrorismo fondamentalista, i rappresentanti delle grandi religioni mondiali si ritrovino per condividere gesti e parole di pace, ma non è solo una questione di buoni rapporti tra le fedi.
Tra genitori capita di avere scambi sui rispettivi figli e ultimamente, in momenti del genere, più di un padre e di una madre mi hanno fatto notare che nell'immaginario dei giovanissimi sempre più spesso la religione si associa al sangue, alla violenza, alla morte. «Se fa succedere queste cose, è meglio farne a meno», scuote la testa un preadolescente coetaneo del mio figlio maggiore.
Qualcuno penserà subito che bisogna dirgli che sono "gli altri" a uccidere, non noi cristiani. Sono distinzioni che, di fatto, hanno un effetto labile. Le nostre società di cui alcuni rivendicano l'identità cristiana, traboccano di violenza che accettiamo fin troppo facilmente contro le donne, i bambini, i poveri... E molti sedicenti cristiani che abitano le piazze virtuali si distinguono proprio per la loro aggressività verbale. O comunque sono quelli che fanno più rumore.
E allora chiediamoci: qual è la vera impronta che la presenza cristiana lascia nella nostra società? Qui non pesano la rilevanza e l'influenza pubblica su cui hanno puntato pesantemente alcuni ambienti ecclesiali in tempi recenti. Anzi, queste ultime possono finire con l'occultare il vangelo e aprire spazi a scandali e forme di controtestimonianza.
Il punto è: per che cosa i credenti sono riconoscibili in quanto tali? L'impatto della violenza terrorista è un'esplosione anti-spirituale che solleva un'ombra tanto oscura che non fa vedere più altro. E qui siamo rimandati ad Assisi: senza gesti forti e netti che vanno in senso opposto, non è possibile far capire che uccidere in nome di Dio è contrario a un autentico spirito religioso, ma è "satanico" come ha detto papa Francesco nella messa di suffragio per padre Jacques Hamel.
L'essere cristiani oggi, l'essere chiesa oggi non può non passare da Assisi.
Certo, c'è chi storce il naso - per non parlare delle critiche più dure e insultanti - come è già successo con la presenza musulmana alle messe di alcune settimane fa per solidarietà ai cattolici, parlando di rischi di confusione e sincretismo. Ma sporcarsi le mani e fare dei passi non è meglio del niente, in un momento di emergenza planetaria? Là dove i diversi s'incontrano e si toccano necessariamente ci sono rischi e possibilità d'incidenti. L'unica condizione assolutamente neutra è l'isolamento sterile delle provette in cui non c'è incontro. Papa Francesco nell'Evangelii gaudium: «preferisco una chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze» (n. 49).
D'altra parte, già Giovanni Paolo II (nel discorso alla curia romana del 22 dicembre 1986) ha ricordato la coerenza fra la giornata di Assisi e l'insegnamento del Vaticano II sull'unità del genere umano che li ha trovato un'espressione visibile. Ha infine affidato a Gesù stesso «il seguito da dare alla Giornata e agli impegni che a questo scopo tutti nella chiesa dovremo assumere o stiamo già assumendo per rispondere alla vocazione fondamentale della chiesa tra gli uomini di essere sacramento di redenzione universale e germe validissimo di unità e speranza di tutta l'umanità».
Sì, tornare ad Assisi significa persistere nel coraggio della fratellanza dimostrato e insegnato da padre Jacques, un uomo buono, mite, che sempre cercava di fare la pace. Che questo incontro sia sotto il suo segno!
(fonte: Vino Nuovo)
Lo spirito di Lesbo
di Giorgio Bernardelli
L'altro giorno su questo sito l'amico Christian Albini si domandava perché oggi tornare ad Assisi. E spiegava bene il motivo per cui è quanto mai urgente rideclinare l'intuizione avuta trent'anni fa da Giovanni Paolo II e che oggi papa Francesco - insieme al patriarca Bartolomeo al primate anglicano Justin Welby e ai leader di tante altre confessioni religiose - rilanciano chiedendo a tutti di pregare per la pace.
Spero però che non me ne vorranno gli amici della Comunità di Sant'Egidio se in questa giornata mi permetto di lanciare una piccola provocazione. Mi chiedo infatti lo stesso se oggi - proprio a causa dell'urgenza che il tema della pace ha assunto in questo nostro tempo - basti ancora ripetere lo stesso schema. Per esempio se di fronte a una notte drammatica come quella che ha appena vissuto Aleppo - con le tenui speranze suscitate da un cessate il fuoco fragile, subito soffocate di nuovo da una pioggia di fuoco - bastino ancora i panel, i discorsi, le dichiarazioni che scandiscono questo appuntamento.
Lo dico senza nessun intento denigratorio: ho partecipato a tanti di questi incontri, ho ascoltato e conosciuto lì voci importanti, sono assolutamente convinto che tutto questo serva. E poi lo so che il cuore dell'evento è lo sguardo rivolto verso l'alto in preghiera; e che quella non può essere misurata con il nostro sguardo.
Però ugualmente mi chiedo se - come per gli alberi che a un certo punto, se si vuole che continuino a crescere, hanno bisogno di un innesto - non occorra oggi andare oltre la semplice rievocazione e chiedere un passo in più anche agli uomini delle religioni che si incontrano per invocare la pace.
Provo con questo spirito a lanciare due idee. La prima: c'è una cosa che mi stupisce sempre un po' quando si rievoca il 27 ottobre 1986. Tutti ricordano sempre la preghiera per la pace convocata da Giovanni Paolo II; ma quel giorno Wojtyla chiese anche un altro gesto: domandò a tutti - e ai leader religiosi in primis - di accompagnare l'invocazione con il digiuno. Non era un fatto da poco: pochi gesti come il digiuno accomunano le diverse tradizioni religiose. E pochi gesti come il digiuno esprimono l'idea che la conversione personale è il primo passo per costruire la pace. Perché allora il digiuno lo abbiamo lasciato cadere? E non è che lasciandolo cadere abbiamo perso un ingrediente importante dello spirito di Assisi? Non è che è diventato un posto per far vedere quanto sono buone le religioni anziché un'occasione per ricordare che la pace richiede fatica ed è una fatica che chiama in causa ciascuno di noi?
È bello che i leader religiosi - come succederà oggi ad Assisi - si trovino insieme intorno a una stessa tavola; ma non sarebbe un gesto più forte, e anche profondamente politico nel mondo di oggi, se in questo giorno proprio - come nel 1986 - digiunassero insieme?
Seconda idea: lo spirito di Assisi è importante. Ma in questo 2016 scandito dal Giubileo della misericordia c'è stato un altro momento ecumenico che dobbiamo custodire: la visita di papa Francesco insieme al patriarca Bartolomeo e all'arcivescovo ortodosso di Atene Christoduolos a Lesbo, l'isola dei migranti. Sono andati insieme nel campo profughi di Moria che proprio stanotte ha vissuto il dramma di un incendio, dopo una giornata di nuove tensioni accompagnata dalla protesta dei migranti e da una contro-manifestazione della destra nazionalista greca.
La Comunità di Sant'Egidio lo sa benissimo: oltre allo spirito di Assisi oggi c'è anche uno spirito di Lesbo da custodire. Per questo è nata l'iniziativa dei Corridoi umanitari. E per questo una donna di Aleppo arrivata in Italia grazie a questa iniziativa oggi parlerà nella cerimonia conclusiva prima del Papa.
Ma anche in questo caso mi chiedo: bastano le parole? Perché non pensare anche a un'opera di misericordia vissuta insieme dagli uomini delle religioni riuniti ad Assisi? Non sarebbe un esempio fortissimo di unità? Non sarebbe un modo per riconsocere insieme che è solo la misericordia vissuta comunitariamente a trasformare noi stessi e - di conseguenza - anche il mondo?
Lo confesso: sogno un'edizione 2017 di Uomini e religioni un po' diversa: saltiamo per un anno i venti panel in cui ciascuno pronuncia il proprio discorso; sostituiamoli con venti luoghi di una grande città dove leader religiosi, intellettuali, uomini di governo provano a vivere insieme la misericordia. Invitando chiunque lo desideri a unirsi a loro, magari organizzando qualcosa di simile nella propria città.
Lo spirito di Assisi e lo spirito di Lesbo insieme. Proviamo a pensarci?
(fonte: Vino Nuovo)