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giovedì 11 luglio 2013

Il Papa a Lampedusa - Un profeta che scuote le coscienze di Giuseppe Savagnone


Un profeta che scuote le coscienze 
di Giuseppe Savagnone

A Lampedusa Papa Francesco ha testimoniato a tutti che la profezia non è, come spesso si crede, la capacità di prevedere il futuro ma indica, nella Bibbia, lo sguardo con cui si comprende, nel suo vero significato, il presente. Profeta è chi va oltre gli angusti confini delle esigenze e degli interessi contingenti, su cui si sbranano le fazioni umane, e guarda al mondo e alla storia con gli occhi di Dio.
In un contesto in cui c’è chi ha considerato il suo viaggio a Lampedusa come una inaccettabile legittimazione del reato di clandestinità (Magdi Allam su «Il Giornale» di ieri) e chi vi ha visto un’apertura verso le posizioni della sinistra sull’immigrazione, Francesco ha parlato, semplicemente, come un profeta.
La voce era dimessa, l’italiano a tratti un po’ maccheronico, ma le sue parole sono piombate come un macigno su una società consumistica abituata a considerare tutto – la gioia e il dolore, la vita e la morte degli esseri umani, il cristianesimo, questo stesso viaggio – come oggetti su cui gettare uno sguardo annoiato, gridando, in nome di Dio, che tutto questo è disumano e tradisce alla radice il senso dell’esistenza. Perché queste parole non erano rivolte agli immigrati, ma a noi. E il colore dei paramenti della messa, il viola, utilizzato dalla liturgia sia per le cerimonie funebri che per quelle penitenziali, non era appropriato solo agli stranieri morti in mare, ma anche agli italiani e, in generale, agli europei vivi e tranquilli nelle proprie belle case, incapaci non solo di muovere un dito per aiutare i disperati che chiedevano aiuto, ma perfino di piangere sulla loro tragica fine. «Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle?», si è chiesto il papa. Senza dire che forse tanti di questi educati e civili cittadini hanno dato man forte, almeno col loro silenzio, a un sistema perverso che, per tutelare i ricchi, condanna a morte i poveri.
«Signore», ha detto Francesco durante l’omelia, «in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza chiediamo perdono per l'indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo perdono per chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere che porta all'anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi»...

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