Siamo nel tempo pasquale, nel quale la Chiesa ci invita a proclamare la buona notizia per eccellenza: “Cristo è risorto, è veramente risorto!”. Immersi in questa gioia possiamo volgerci indietro, al cammino quaresimale percorso, per verificare se è stato un cammino di conversione e di crescita spirituale, oppure se non abbiamo mosso un passo per fare ritorno al Signore, o addirittura abbiamo finito per cedere ancora di più agli idoli mondani che sempre ci tentano. Nel fare questo esame di coscienza non possiamo dimenticare che all’inizio della Quaresima Benedetto XVI ha indirizzato alla chiesa un messaggio volto a farla riflettere sul fine della sequela: l’amore, la carità. Per questo il papa di Roma ci ha fornito la traccia di una ricerca, di una riflessione, di un impegno quotidiano da assumere, quello riguardante la correzione fraterna.
Ammorbati come siamo da una vera e propria patologia quale è l’indifferenza gli uni verso gli altri, la mancanza di prossimità, non sappiamo neppure più che la correzione fraterna è uno degli atteggiamenti cristiani più decisivi per la salvezza del singolo e per la stessa comunità cristiana, la chiesa. Se non ci si sente custodi, responsabili del fratello, della sorella, dell’altro (cf. Gen 4,9: «Sono forse io il custode di mio fratello?»), allora si vive nel proprio autismo, senza guardare agli altri, senza avvicinarsi all’altro, senza praticare il volto contro volto. In questo modo non nasce mai l’occasione per la correzione reciproca, e di fatto si incoraggia la crescita del male, che sarà sempre più dilagante in quanto non viene mai giudicato: e così, lo si voglia o no, si autorizza chi compie il male a commetterlo senza essere frenato, richiamato...
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