Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



sabato 2 gennaio 2021

Per non limitarci a sperare di sopravvivere di Giuseppe Savagnone

Per non limitarci a sperare di sopravvivere 
di Giuseppe Savagnone


La corsa al vaccino, per sopravvivere

Le cronache degli ultimi giorni di questo drammatico 2020 sono state piene delle notizie sui vaccini, a cui sembrano appigliarsi tutte le speranze del nostro pianeta. Ed è perfettamente comprensibile che, in un contesto in cui ancora nel mondo i contagi, i ricoveri in terapia intensiva e i decessi si contano a migliaia, il problema della sopravvivenza fisica sia in primo piano.

Qualcosa di analogo vale sul piano dell’economia. Anche qui il vaccino viene visto come una possibilità di salvezza per un sistema profondamente scosso dalla pandemia, che ha dovuto realisticamente sostituire alle rosee previsioni di crescita, ancora credibili nel gennaio scorso, con l’amaro bilancio delle perdite degli ultimi mesi e si aggrappa disperatamente ad ogni promessa di ritorno alla normalità per poter contare su un recupero.

Ritornare alla normalità

Al di là del problema sanitario e di quello economico, alla base di questa ansiosa attesa della vaccinazione di massa ce n’è anche uno più ampiamente umano che riguarda le condizioni di vita imposte dal coronavirus. Soprattutto per quanto riguarda la sfera delle relazioni umane, siamo stati tutti pesantemente penalizzati e non vediamo l’ora, dopo aver fatto una vera e propria scorpacciata di rapporti puramente virtuali sul web, di poter riprendere dei rapporti “in presenza”. Anche questo ritorno alla normalità in fondo è una questione di sopravvivenza. Non ce la facciamo più.

Benvenuti, allora i vaccini, pur con tutti i problemi e le polemiche che stanno segnando l’inizio della loro distribuzione. Augurandoci che i tempi – già abbastanza lunghi – previsti per la loro somministrazione alle diverse fasce della popolazione, non si dilatino per disfunzioni organizzative e cattiva gestione.

Foto di ooceey da Pixabay
Vivere e sopravvivere

Detto ciò, non possiamo fare a meno di constatare che il 2021 si apre all’insegna della rinunzia a qualsiasi cosa vada oltre la mera sopravvivenza. E questo, come già notava Aristotele, può andare bene per le altre specie animali, ma non per gli esseri umani. Perché noi non possiamo accontentarci di sopravvivere, vogliamo vivere. E questo è molto di più.

Dobbiamo chiederci onestamente, però, se sia stato il covid ad aver ridimensionato così drammaticamente le nostre legittime aspirazioni a una vita piena, o se, in fondo, la “normalità” a cui eravamo abituati, e che la pandemia ha improvvisamente scardinato, non fosse già segnata da questa rassegnazione. In altri termini, se, a prescindere dal coronavirus, gli uomini e le donne del progredito Occidente non si trovassero già da tempo nella condizione di sopravvivere, piuttosto che di vivere.

«L’uomo a una dimensione»

Ritorna alla mente un libro che fu quasi un manifesto per i movimenti studenteschi del Sessantotto, «L’uomo a una dimensione», di Herbert Marcuse. Vi si denunciava l’appiattimento delle persone sull’esistente – e la loro conseguente incapacità di immaginare alternative radicali ad esso – determinati da un sistema neocapitalistico che il progresso tecnologico ha reso sempre più capace di controllare le coscienze e di orientare le scelte, nascondendo questo sostanziale asservimento degli individui dietro un’apparente libertà.

Sappiamo tutti delle intemperanze di questa stagione, del suo fallimento, del “riflusso” che esso, per contraccolpo, determinò. Eppure non ci si può non chiedere se il libro di Marcuse, oggi totalmente dimenticato, non contenesse un’anima di verità, forse troppo inquietante per non essere rimossa dalla coscienza collettiva.

Davvero sono morte tutte le ideologie?

Qualcuno obietterà che quello era ancora il tempo delle ideologie e che esse sono morte per sempre. Ma siamo così sicuri che il nostro attuale modo di pensare e di vivere – fondato sul primato assoluto dell’individuo e dei suoi diritti, sulla logica del possesso, sulla corsa alla soddisfazione di bisogni creati in buona parte dalla pubblicità – non sia ideologico?

Immaginiamo, per un momento, che tutte le ideologie siano state sconfitte da una tra loro, la più potente, e che questa sia stata e continui ad essere così potente da far credere di non essere un’ideologia, ma semplicemente la verità delle cose, il loro inevitabile corso, a cui sarebbe vano opporsi.

E se questo clima culturale ci soffocasse?

Immaginiamo – sempre per ipotesi – che le certezze di cui sopra si diceva e che oggi sono dominanti tra gli intellettuali, siano “di destra” o “di sinistra” – tanto che chi osa metterle in dubbio appare come un reazionario oscurantista, da commiserare –, non siano così indiscutibili come (quasi) tutti credono, ma si reggano su un conformismo di massa che esonera dalle domande.

Immaginiamo che crescere nel clima di questo individualismo narcisistico e possessivo, che rende i rapporti umani, anche i più significativi (penso al matrimonio) inevitabilmente provvisori, che sostituisce la ricerca sempre insoddisfatta del benessere a quella della felicità (perché benessere e felicità non sono la stessa cosa!), che impedisce di cooperare insieme in vista di un bene comune anteposto agli interessi dei singoli, spenga l’aspirazione a dare alla propria vita un senso più pieno, la capacità di desiderare e di sperare qualcosa di più grande che l’appagamento immediato.

Immaginiamo – solo per un momento – che questa sia la “normalità” a cui ci eravamo abituati prima del coronavirus. Non sarebbe quello che chiamavamo “sopravvivere” e che contrapponevamo a un più pienamente umano “vivere?

«L’attimo fuggente»

Se tutto questo fosse vero, se non si trattasse solo di ipotesi immaginarie, si capirebbe perché in questo tempo – a differenza che nelle epoche precedenti – i sogni più audaci dei giovani non vadano oltre le tappe della loro realizzazione individuale, sul modello di quel film, bello quanto fuorviante, che è «L’attimo fuggente», non erano mai nemmeno menzionati i poveri, le ingiustizie sociali, la discriminazione razziale, perché ciò che contava era «succhiare il midollo della vita», ognuno per conto suo. In passato i ragazzi avevano degli ideali – anche sbagliati – per cui vivere e morire. Oggi è difficile trovarne uno che sia disposto a donarsi a una causa più grande di lui e del suo successo nella vita.

Auguri di Capodanno

Dobbiamo sperare, certamente, che il nuovo anno ci porti, col vaccino, la vittoria sul coronavirus. Ma questo ci basterebbe solo per tornare a sopravvivere, come facevamo prima. Forse non è troppo che coltiviamo una speranza più grande e più ambiziosa. E che, in questo capodanno, ci auguriamo di riscoprire, nel 2021, orizzonti più vasti, che ci permettano di assaporare di nuovo, sfidando il conformismo, la pienezza della vita.