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lunedì 18 gennaio 2021

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 18-25 gennaio 2021 - PRESENTAZIONE e INTRODUZIONE TEOLOGICO-PASTORALE

Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
18-25 gennaio 2021


Il materiale per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2021 è stato preparato dalla Comunità monastica di Grandchamp . Il tema scelto dalla Commissione Internazionale del Pontificio Consiglio dell'Unità dei Cristiani e dalla Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, tratto dal Vangelo di Giovanni 15, 1-17 è: “Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto”.
L’Istituto di Studi Ecumenici ha accolto, con gioia, l’invito del Gruppo di lavoro delle Chiese cristiane in Italia per la redazione di un “sussidio” con il quale accompagnare la preghiera per l’unità durante l’anno 2021


PRESENTAZIONE 
“Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” (cfr Giovanni 15, 5-9) 

1. Nell’ora del dolore: la vite ed i tralci 

Il Signore Gesù aveva rivolto queste sue parole (cfr Gv 15, 5-9) ai discepoli in un’ora di preoccupazione, incertezza per il futuro e sofferenza, subito prima della sua Passione. Siamo all’interno di alcune parole di Gesù che Giovanni raccoglie tra il racconto della cena con i suoi (Gv 13) e l’ora della Passione nel capitolo 18. Egli è preoccupato per i suoi discepoli, per ciò che avverrà dopo la sua Passione. Sono parole che volgono quindi lo sguardo e il cuore al futuro loro e nostro. Oggi l’umanità intera sta attraversando ancora una stagione di grande sofferenza, colpita nel profondo dall’epidemia di Covid-19 e dalle sue devastanti conseguenze sociali, economiche e morali. Non c’è stata nazione che non abbia avuto i suoi dolori ed anche coloro che sono stati risparmiati devono fare i conti con la crisi che ne è scaturita. Come reagire davanti a tutto questo? C’è ancora un futuro insieme? Potremo portare frutto? C’è chi ha scelto di ignorare le richieste di soccorso dei malati (pensiamo ai tanti anziani morti negli istituti!), chi ha deciso di chiudere ulteriormente i propri confini ed il proprio cuore, chi si è lasciato andare all’inerzia, chi ha espresso la propria frustrazione e rabbia incolpando gli altri. 

La risposta di Gesù nell’ora della prova è totalmente differente. Egli pronuncia un discorso carico di autorevolezza e allo stesso tempo di misericordia, indicando una strada inedita, che, allo stesso tempo, ha le sue radici più profonde nella Parola di Dio. “Io sono la vite, voi i tralci” è la prima affermazione, che probabilmente sorprese i discepoli riuniti intorno alla tavola con lui. L’immagine della vite, lo sappiamo, non è nuova nel Primo Testamento: essa rappresenta il bene più prezioso per i contadini israeliti, fonte di sostentamento e di gioia, causata dalla produzione del vino. La vite coltivata compare significativamente per la prima volta nella Genesi (Gn 9,20), piantata da Noè proprio dopo il diluvio, quasi a marcare la chiusura del disastro e l’inizio di un’era diversa, in cui si può ricominciare a popolare la terra e a lavorare il suolo. Altrove, come nel Cantico dei Cantici o nei profeti, la vigna indica la sposa e diviene immagine del popolo di Israele in rapporto col Dio dell’Alleanza. Riprendendo questo sostrato della tradizione, Gesù opera un cambiamento inaspettato: Egli stesso diventa la vite del Padre, mentre i suoi discepoli sono i tralci. Si fa garante cioè di un rapporto con Dio stesso destinato, attraverso la sua morte e risurrezione, a rimanere stabile, saldo, portatore di vita e di speranza, come la linfa che scorre dal centro della pianta verso le sue estremità, senza escludere quelle più periferiche. È un’immagine chiara e rivoluzionaria, cui farà eco quella utilizzata in 1 Corinzi 12 dall’Apostolo Paolo, che presenta la Chiesa come il rapporto tra Cristo capo e le membra in un unico corpo. Gesù vuole rassicurare tutti noi tralci, ci chiede di non temere davanti alle difficoltà e ai tempi bui: la forza, l’energia vitale proviene da lui, non la dobbiamo cercare in noi stessi, o altrove. Il Signore non dimentica nessuno, neanche i rametti più piccoli e lontani, oppure quelli più nodosi e incalliti dal tempo; di tutti si prende cura. È un’indicazione davvero preziosa per noi, cristiani di diverse confessioni. Ogni fronda, ogni tralcio non è mai uguale all’altro, ha avuto un suo sviluppo, produce foglie e frutti in quantità diversa, ma non è questo che importa al Signore. L’importante, infatti, è rimanere in lui. E noi lo possiamo fare insieme, proprio in questo tempo difficile. 

2. Rimanere uniti in Cristo 

C’è, in queste parole di Gesù, una precisa insistenza, un appello urgente rivolto ai suoi: “Rimanete in me”. Il verbo greco ménein è tipico del linguaggio giovanneo (su 118 occorrenze nel Nuovo Testamento, ben 40 sono nel quarto vangelo). Ha una valenza doppia, come ha ben evidenziato Bultmann: esso indica infatti la permanenza in un luogo, ma anche una stabile durata temporale. Qui si potrebbe tradurre con: “aderire fedelmente”. Il rapporto che il Signore chiede, e quasi esige dai suoi, è un rapporto di fedeltà stabile. Gesù chiede a ciascuno di noi di non fuggire via, arroccati sulle nostre posizioni, presi dalle nostre idee, dalla tentazione di ripiegarci e chiuderci in noi stessi. Ci chiede non un’agitazione sterile, un attivismo sfrenato, ma innanzitutto un rapporto saldo e vivificante con la sua Parola. “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi…”. Rimanere discepoli del Risorto vuol dire meditare ogni giorno la Parola di Dio, origine di amore, di misericordia, di unità. Questo rapporto personale intenso con le Sacre Scritture è garanzia perché ogni nostra preghiera venga esaudita: “Chiedete quello che volete e vi sarà fatto”. E oggi la nostra preghiera sale intensa perché il Signore preservi l’umanità dalla forza del male, dalla divisione e ci doni l’unità tra noi. La preghiera stessa diventa a sua volta fonte di unità. Ignazio di Antiochia ricorda ai cristiani di Efeso nei suoi scritti: “Quando infatti vi riunite crollano le forze di Satana e i suoi flagelli si dissolvono nella concordia che vi insegna la fede”. Rimanere in Gesù, infine, come ci svela Egli stesso, vuol dire rimanere nel suo amore. Quell’amore ci fa uscire, ci spinge verso gli altri, specialmente verso i più deboli, i periferici, i poveri ed i sofferenti, come Gesù stesso ci ha insegnato uscendo e percorrendo le strade del suo tempo. 

3. Portare frutto 

Il risultato della lotta per vincere il male e la divisione, rimanendo saldi in Gesù, è portare frutti abbondanti. Quante volte abbiamo sentito, come Pietro dopo una notte di pesca infruttuosa (Lc 5) o come alcune donne della Bibbia, come Sara (Gn 17), Anna (1 Sm 1) o Elisabetta (Lc 1) il peso della sterilità nella nostra vita quotidiana o nella missione che il Signore ci ha affidato! La divisione, frutto amaro del male, vanifica gli sforzi per ottenere risultati concreti. Da soli, non possiamo nulla! In questo tempo abbiamo scoperto quanto siamo connessi, quanto davvero apparteniamo tutti all’unica famiglia umana, pur nelle nostre differenze. Già nei vangeli sinottici un raccolto sovrabbondante è il segno dell’efficacia della Parola di Dio in quanti la accolgono, come nella parabola del seminatore. Qui il frutto abbondante è la manifestazione della gloria divina, cioè della presenza tangibile e vittoriosa del Signore in mezzo all’umanità. Sì, noi possiamo vedere la sua gloria, la sua presenza di vita, che ci fa guardare al futuro con speranza nonostante le avversità e la paura che ancora sembra opprimerci. “Rimaniamo” in lui e troveremo ristoro e pace per la nostra vita e potremo comunicare questo tesoro prezioso al mondo intero, perché possiamo “tutti essere una cosa sola in lui” (Gv 17, 21).


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TESTO BIBLICO 
(Giovanni 15, 1-17) 

“Io sono la vera vite. Il Padre mio è il contadino. Ogni ramo che è in me e non dà frutto, egli lo taglia e getta via, e i rami che danno frutto, li libera da tutto ciò che impedisce frutti più abbondanti. Voi siete già liberati grazie alla parola che vi ho annunziato. Rimanete uniti a me, e io rimarrò unito a voi. Come il tralcio non può dar frutto da solo, se non rimane unito alla vite, neppure voi potete dar frutto, se non rimanete uniti a me. 

Io sono la vite. Voi siete i tralci. Se uno rimane unito a me e io a lui, egli produce molto frutto; senza di me non potete far nulla. Se uno non rimane unito a me, è gettato via come i tralci che diventano secchi e che la gente raccoglie per bruciarli. Se rimanete uniti a me, e le mie parole sono radicate in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. La gloria del Padre mio risplende quando voi portate molto frutto e diventate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi: rimanete nel mio amore! Se metterete in pratica i miei comandamenti, sarete radicati nel mio amore; allo stesso modo io ho messo in pratica i comandamenti del Padre mio e sono radicato nel suo amore. Vi ho detto questo, perché la mia gioia sia anche vostra, e la vostra gioia sia perfetta. 

Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici se fate quel che io vi comando. Io non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa che cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto sapere tutto quel che ho udito dal Padre mio. 

Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho destinati a portare molto frutto, un frutto duraturo. Allora il Padre vi darà tutto quel che chiederete nel nome mio. Questo io vi comando: amatevi gli uni gli altri. 

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INTRODUZIONE TEOLOGICO-PASTORALE

“Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” (cfr Giovanni 15, 5-9)
 
Il materiale per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2021 è stato preparato dalla Comunità monastica di Grandchamp1 . Il tema scelto, tratto dal Vangelo di Giovanni 15, 1-17 è: “Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” (cfr Giovanni 15, 5-9) ed esprime la vocazione alla preghiera, alla riconciliazione e all’unità della Chiesa e del genere umano che caratterizza la Comunità di Grandchamp. 
Negli anni ‘30 alcune donne di tradizione riformata della Svizzera di lingua francese, appartenenti ad un gruppo conosciuto come le Dames de Morges, riscoprirono l’importanza del silenzio nell’ascolto della parola di Dio e, allo stesso tempo, ripresero la prassi dei ritiri spirituali per nutrire la vita di fede, sull’esempio di Cristo, che si ritirava nei luoghi deserti per pregare. Queste donne furono presto raggiunte da altre, che presero a frequentare regolarmente i ritiri spirituali a Grandchamp, un piccolo villaggio nei pressi del lago di Neuchâtel, in Svizzera. Fu dunque necessario provvedere a una presenza stabile che offrisse preghiera e accoglienza al crescente numero di ospiti e di persone desiderose di ritirarsi in preghiera. 
Oggi la Comunità conta cinquanta membri, tutte donne di diversa età, tradizione ecclesiale, paese e continente: in questa loro diversità, le suore sono una parabola vivente di comunione. Fedeli alla vita di preghiera, alla vita comunitaria e all’accoglienza dei visitatori, le suore condividono la grazia della vita monastica con gli ospiti e con i volontari che si recano a Grandchamp per trascorrervi un periodo di ritiro e di silenzio, di ricerca di guarigione e di significato. 
Le prime suore sperimentarono il dolore della divisione tra le chiese cristiane. Ma in questo loro travaglio furono sostenute dall’amicizia con il padre Paul Couturier, uno dei pionieri della celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e tale preghiera fu, perciò, fin dal principio, il cuore della vita della Comunità. 
Questo impegno della Comunità di Grandchamp, insieme alla sua fedeltà ai tre pilastri della preghiera, della vita comunitaria e dell’ospitalità, costituiscono il fondamento del materiale presentato. 

Rimanere nell’amore di Dio 
significa essere riconciliati con se stessi 

Il termine francese per “monaco” o “monaca” – moine/moniale – deriva dal greco μόνος che significa “solo” e “uno”. I nostri cuori, i nostri corpi, le nostre menti, però, lungi dall’essere uno, sono spesso dispersi, spinti in direzioni opposte. Il monaco e la monaca desiderano essere uno nel proprio io, e uniti a Cristo. Gesù ci dice: “Rimanete uniti a me, e io rimarrò unito a voi” (Gv 15, 4a). Una vita integrata presuppone un percorso di autoaccettazione, di riconciliazione con la storia personale e con quella che abbiamo ereditato. 
Gesù disse ai suoi discepoli: “Rimanete nel mio amore” (Gv 15, 9). Egli rimane nell’amore del Padre (cfr Gv 15, 10) e non desidera altro che condividere questo amore con noi: “Vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto sapere tutto quel che ho udito dal Padre mio” (Gv 15, 15b). Innestati nella vite, che è Gesù stesso, il Padre diviene il vignaiolo che ci pota per farci crescere. È la descrizione di quanto avviene nella preghiera: il Padre è il centro della nostra vita, Colui che ci ricentra, ci pota e ci rende un tutt’uno e, un’umanità resa tutt’uno, rende gloria al Padre. 
Rimanere in Cristo è un atteggiamento interiore che mette radici in noi nel tempo, che richiede uno spazio per crescere e che può essere sopraffatto dalla quotidiana lotta per le necessità della vita, e minacciato dalle distrazioni, dal rumore, dalle troppe attività e dalle sfide della vita. 
Nella difficile situazione dell’Europa del 1938, Geneviève Micheli, che sarebbe divenuta poi Madre Geneviève, la prima Madre della Comunità, scrisse queste righe, ancora oggi rilevanti: 

“Viviamo in un’epoca che è allo stesso tempo problematica e magnifica, un’epoca pericolosa in cui nulla protegge l’anima, in cui i traguardi rapidi e pienamente umani sembrano spazzar via gli esseri umani... e io penso che la nostra civiltà troverà la morte in questa follia collettiva di rumore e di velocità, in cui nessun essere può pensare... noi cristiani, che conosciamo il pieno valore della vita spirituale, abbiamo una responsabilità enorme e dobbiamo rendercene conto, unirci e aiutarci vicendevolmente per creare forze di pace e rifugi di serenità, centri vitali dove il silenzio della gente richiama la parola creatrice di Dio. È una questione di vita o di morte”. 

Rimanere in Cristo per produrre molto frutto 

“La gloria del Padre mio risplende quando voi portate molto frutto” (Gv 15, 8). Non possiamo portare frutti da noi stessi. Non possiamo produrre frutto separati dalla vigna. È la linfa, la vita di Gesù che scorre in noi, che produce frutto. Rimanere nell’amore di Gesù, rimanere un tralcio della vite, è ciò che permette alla sua vita di scorrere in noi. Quando ascoltiamo Gesù, la sua vita scorre in noi; Egli ci invita a lasciare che la sua parola dimori in noi e allora qualsiasi nostra richiesta sarà esaudita (cfr Gv 15, 7). Per la sua parola portiamo frutto. Come persone, come comunità, come Chiesa desideriamo unirci a Cristo per il conservare il suo comandamento di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati (cfr Gv 15, 12). 

Rimanendo in Cristo, sorgente di ogni amore, 
cresce il frutto della comunione 

La comunione in Cristo richiede la comunione con gli altri; Doroteo di Gaza, un monaco della Palestina del VI secolo, lo esprime con queste parole:

“Immaginate un cerchio disegnato per terra, cioè una linea tracciata come un cerchio, con un compasso e un centro. Immaginate che il cerchio sia il mondo, il centro sia Dio e i raggi siano le diverse strade che le persone percorrono. Quando i santi, desiderando avvicinarsi a Dio, camminano verso il centro del cerchio, nella misura in cui penetrano al suo interno, si avvicinano l’un l’altro e più si avvicinano l’uno all’altro più si avvicinano a Dio. Comprendete che la stessa cosa accade al contrario, quando ci allontaniamo da Dio e ci dirigiamo verso l’esterno. Appare chiaro, quindi, che più ci allontaniamo da Dio, più ci allontaniamo gli uni dagli altri e che più ci allontaniamo gli uni dagli altri, più ci allontaniamo da Dio”. 

Avvicinarci agli altri, vivere insieme in comunità con altre persone, a volte molto diverse da noi, costituisce una sfida. Le suore di Grandchamp conoscono questa sfida e perciò l’insegnamento di fratel Roger di Taizé è per loro prezioso: “Non vi è amicizia senza sofferenza purificatrice, non vi è amore per il prossimo senza la croce. Solo la croce ci permette di conoscere l’imperscrutabile profondità dell’amore”. 
Le divisioni tra i cristiani, il loro allontanamento gli uni dagli altri, è uno scandalo perché significa anche allontanarsi ancor di più da Dio. Molti cristiani, mossi dal dolore per questa situazione, pregano ferventemente Dio per il ristabilimento dell’unità per la quale Gesù ha pregato. La sua preghiera per l’unità è un invito a tornare a lui e, conseguentemente, a riavvicinarci gli uni gli altri, rallegrandoci della nostra diversità. 
Come impariamo dalla vita comunitaria, gli sforzi per la riconciliazione costano e richiedono sacrifici. Siamo sostenuti, però, dalla preghiera di Cristo che desidera che noi siamo una cosa sola, come lui è con il Padre, perché il mondo creda (cfr Gv 17, 21).

Rimanendo in Cristo cresce il frutto 
della solidarietà e della testimonianza 

Sebbene come cristiani noi dimoriamo nell’amore di Cristo, viviamo anche in una creazione che geme mentre attende di essere liberata (cfr Rm 8). Nel mondo siamo testimoni del male provocato dalla sofferenza e dal conflitto. Mediante la solidarietà con coloro che soffrono permettiamo all’amore di Cristo di dimorare in noi. Il mistero pasquale produce frutto quando offriamo amore ai nostri fratelli e alle nostre sorelle e coltiviamo nel mondo la speranza. 
La spiritualità e la solidarietà sono intrinsecamente unite. Rimanendo in Cristo, noi riceviamo la forza e la sapienza per agire contro le strutture di ingiustizia e di oppressione, per riconoscerci pienamente come fratelli e sorelle nell’umanità, ed essere artefici di un nuovo modo di vivere nel rispetto e nella comunione con tutto il creato. 
Il fulcro della regola di vita che le suore di Grandchamp recitano insieme ogni giorno comincia con queste parole: “Prega e lavora affinché Dio possa regnare”. La preghiera e la vita quotidiana non sono due realtà disgiunte, ma sono fatte per stare insieme. Tutto ciò di cui facciamo esperienza è teso a diventare un incontro con Dio. 

Durante gli Otto giorni della Settimana per l’unità del 2021 proponiamo un itinerario di preghiera:
Giorno 1: Chiamati da Dio: “Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15, 16a)
Giorno 2: Maturare interiormente: “Rimanete uniti a me, e io rimarrò unito a voi” (Gv 15, 4a) 
Giorno 3: Formare un solo corpo: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15, 12b) 
Giorno 4: Pregare insieme: “Io non vi chiamo più schiavi [...]. Vi ho chiamati amici” (Gv 15, 15) 
Giorno 5: Lasciarsi trasformare dalla parola: “Voi siete già liberati grazie alla parola che vi ho annunziato” (Gv 15, 3) 
Giorno 6: Accogliere gli altri: “Vi ho destinati a portare molto frutto, un frutto duraturo” (Gv 15, 16b) 
Giorno 7: Crescere in unità: “Io sono la vite. Voi siete i tralci” (Gv 15, 5a) 
Giorno 8: Riconciliarsi con l’intera creazione: “Perché la mia gioia sia anche vostra, e la vostra gioia sia perfetta” (Gv 15, 11)




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