La quarta via
Una nuova fattispecie nell’iter processuale delle canonizzazioni
Con il motuproprio Maiorem hac dilectionem sull’offerta della vita, Papa Francesco ha aperto la via alla beatificazione di quei fedeli che, spinti dalla carità, hanno offerto eroicamente la propria vita per il prossimo accettando liberamente e volontariamente una morte certa e prematura con l’intento di seguire Gesù: «Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Giovanni 3, 16).
Come si sa, ormai da secoli le norme della Chiesa cattolica prevedono che si possa procedere alla beatificazione di un servo di Dio percorrendo una di queste tre vie.
1) La via del martirio che è la suprema imitazione di Cristo e la testimonianza più alta della carità. Il concetto classico di martirio comprende: a) l’accettazione volontaria della morte violenta per amore di Cristo, da parte della vittima; b) l’odium del persecutore per la fede, o per un’altra virtù cristiana; c) la mitezza e il perdono della vittima che imita l’esempio di Gesù, il quale sulla croce invocò la misericordia del Padre per i suoi uccisori.
2) La via delle virtù eroiche, esercitate «speditamente, prontamente, piacevolmente e sopra il comune modo di agire, per un fine soprannaturale» (Benedetto XIV) e per un congruo periodo di tempo, ossia fino a farle diventare un modo abituale di essere e di agire conforme al Vangelo. Si tratta delle virtù teologali (fede, speranza, carità), cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) e “annesse” (povertà, obbedienza, castità, umiltà).
3) C’è, poi, una terza via, meno conosciuta e meno battuta, che, però, conduce allo stesso risultato delle altre due. È la via dei cosiddetti casus excepti, così chiamati dal Codice di diritto canonico del 1917 (cfr. cann. 2125-2135). Il loro riconoscimento porta alla conferma di un culto antico, cioè successivo al pontificato di Alessandro III († 1181) e antecedente al 1534, così come stabilì Urbano VIII (1623-1644), il grande legislatore delle cause dei santi. La conferma del culto antico è chiamata anche “beatificazione equipollente”.
Queste tre vie sono tuttora aperte e percorribili, ma non sembra che siano sufficienti per interpretare tutti i casi possibili di santità canonizzabile. Infatti, ultimamente, la Congregazione delle cause dei santi si è posta la domanda «se non siano meritevoli di beatificazione quei servi di Dio che, ispirati dall’esempio di Cristo, abbiano liberamente e volutamente offerto e immolato la propria vita per i fratelli in un supremo atto di carità, che sia stato direttamente causa di morte, mettendo così in pratica la parola del Signore: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15, 13)» (Positio peculiaris, p. 3).
Si tratta di introdurre una quarta via, che potremmo chiamare dell’offerta della vita. Pur avendo alcuni elementi che la fanno assomigliare sia alla via del martirio che a quella delle virtù eroiche, è una via nuova che intende valorizzare una eroica testimonianza cristiana, finora senza una procedura specifica, proprio perché non rientra del tutto nella fattispecie del martirio e neppure in quella delle virtù eroiche.
La via dell’offerta della vita, infatti, assomiglia parzialmente a quella del martirio perché c’è l’eroico dono di sé, fino alla morte inclusa, ma se ne differenzia perché non c’è un persecutore che vorrebbe imporre la scelta contro Cristo. Similmente, la via dell’offerta della vita assomiglia a quella delle virtù eroiche perché c’è un atto eroico di carità (dono di sé), ispirato dall’esempio di Cristo, ma se ne differenzia perché non è l’espressione di un prolungato esercizio delle virtù e, in particolare, di una carità eroica. Si richiede, comunque, un esercizio ordinario di vita cristiana, che renda possibile e comprensibile la decisione libera e volontaria di donare la propria vita in un atto supremo di amore cristiano, che superi il naturale istinto di conservazione, imitando Cristo, che si è offerto al Padre per il mondo, sulla croce.
È chiaro, pertanto, che tutte le vie alla santità canonizzata debbono avere un denominatore comune nella carità, che è “vincolo della perfezione”, “pienezza della legge” e “anima della santità”. Anche l’offerta della vita, quindi, non può prescindere dalla perfezione della carità, che in questo caso, però, non è il risultato di una prolungata, pronta e gioiosa ripetizione di atti virtuosi, ma è un unico atto eroico che per la sua radicalità, irrevocabilità e persistenza usque ad mortem esprime pienamente l’opzione cristiana. I teologi, poi, insegnano che, in forza della “connessione” tra le virtù, dove c’è un atto eroico di carità non può mancare un corrispondente atto di fede, speranza, prudenza, fortezza e così via. Va pure detto che il fattore tempo, ossia la durata dell’offerta ha una sua rilevanza. Infatti, se l’atto eroico dell’offerta si protrae negli anni, potrebbe alla fine rientrare nella fattispecie delle virtù eroiche, che diventano tali non solo perché sono l’espressione di comportamenti straordinariamente perfetti, ma anche perché protratti per un tempo notevole, che la giurisprudenza canonica indica in una decina di anni di pratica nei casi ordinari. Per delimitare questo aspetto il motuproprio parla molto opportunamente di “morte a breve termine”, il che non vuol dire immediata ma neppure così lontana da trasformare l’atto eroico in virtù eroica. Nel qual caso muterebbe la fattispecie. Qualora si verifichi la compresenza della offerta eroica della vita con l’esercizio eroico delle virtù cristiane, è ovvio, che l’iter giuridico preferirà la fattispecie delle virtù eroiche, che esprimono più compiutamente la personalità del servo di Dio, la santità e la sinfonia delle sue ricchezze spirituali. Se fosse possibile tracciare una graduatoria dei percorsi giuridici per l’accertamento della santità canonizzabile, potremmo concludere che al primo posto sta il martirio, al secondo le virtù eroiche, al terzo l’atto eroico dell’offerta della vita fino alla morte inclusa. Per concludere il ragionamento possiamo tranquillamente asserire che chi sigilla la sua vita con un atto eroico di carità, può essere considerato perfetto discepolo di Cristo e, come tale, meritevole di essere proposto quale modello di vita cristiana, qualora Dio stesso ne garantisca l’autenticità e l’esemplarità mediante la fama di santità, la prova dei miracoli e il giudizio favorevole della suprema autorità della Chiesa.
L’offerta della vita usque ad mortem, finora non costituiva una fattispecie a sé stante, ma, se c’era, veniva incorporata, solo come dettaglio, nella fattispecie delle virtù eroiche, oppure in quella del martirio. È ormai chiaro che questa incorporazione non rendeva giustizia a una vera e, per molti aspetti, toccante espressione di santità. Già Benedetto XIV, il magister, non escludeva dagli onori degli altari quelli che avevano dato la vita in un estremo atto di carità, come ad esempio, l’assistenza degli appestati che, scatenando il contagio, diventava causa certa di morte.
Tutta questa problematica cominciò a diventare oggetto di esplicita riflessione della Congregazione delle cause dei santi, a partire dal congresso ordinario del 24 gennaio 2014. Il prefetto, cardinale Angelo Amato, portò la questione all’attenzione del Santo Padre Francesco nell’udienza del 7 febbraio successivo. Il Papa «approvò e incoraggiò» lo studio di questa nuova fattispecie, per cui il dicastero allestì una Positio peculiaris, con i contributi complementari di cinque studiosi delle cause dei santi: un biblista, un docente di teologia dogmatica, uno specialista in teologia spirituale, un giurista e uno storico.
Il 2 giugno 2016 la Congregazione tenne sull’argomento un congresso peculiare composto da 15 esperti (10 consultori e 5 postulatori), diversi da quelli della Positio peculiaris. Presiedette la riunione il vescovo Enrico dal Covolo, soprattutto nella sua qualità di postulatore. La discussione si svolse sulla traccia di cinque quesiti, comunicati fin dalla convocazione del congresso e così formulati: «1. L’offerta della vita, seguita dalla morte, può essere giudicata come espressione di suprema ed eroica imitazione di Cristo? 2. Quali caratteristiche psicologiche e teologiche dovrebbe avere l’offerta della vita per essere un eroico atto di carità? 3. L’offerta della vita deve maturare nel contesto di una consolidata vita cristiana, oppure può essere una decisione improvvisa, senza cioè una preparazione remota? 4. È opportuno che l’offerta della vita sia una fattispecie distinta da quella del martirio e delle virtù eroiche? 5. La procedura giuridica per l’eventuale beatificazione per viam vitae oblationis, oltre l’inchiesta diocesana super vita, virtutibus, oblatione vitae, fama sanctitatis... deve comprendere anche la prova di un miracolo?» (Relatio et vota congressus peculiaris, p. 8).
A ogni domanda fu risposto per iscritto dai quindici consultori e postulatori che poi si confrontarono in una riunione collegiale (congresso). Come è noto, le conclusioni dei congressi peculiari della Congregazione delle cause dei santi sono sempre importanti, perché esprimono il motivato parere di studiosi e di esperti che hanno esaminato a fondo la materia. Tuttavia, il loro voto non è deliberativo e vincolante. Nel nostro caso, l’ampio e sereno approfondimento del congresso portò a queste conclusioni: a) l’offerta della vita, seguita dalla morte, può essere giudicata come espressione di suprema ed eroica imitazione di Cristo, come emerge dal Nuovo Testamento, dalla tradizione dei martiri e dei confessori della fede, dal magistero dei Papi, dal concilio Vaticano IIe dalla riflessione teologica, soprattutto a proposito della carità; b) l’offerta della vita, nella stragrande maggioranza dei casi, matura in un contesto di pratica delle virtù cristiane; c) circa il quesito se l’offerta della vita debba essere una fattispecie distinta da quella del martirio e della virtù eroiche, la maggioranza dei voti sostenne l’idea di configurare una fattispecie distinta, mentre una minoranza non lo ritenne opportuno; d) circa la procedura giuridica per l’eventuale beatificazione per viam vitae oblationis, oltre l’inchiesta diocesana super vita, virtutibus, oblatione vitae, fama sanctitatis, la maggioranza dei consultori e dei postulatori ritenne necessario, per la beatificazione, un miracolo formalmente approvato.
Con questi pareri, il 27 settembre 2016, si andò alla sessione plenaria dei cardinali e vescovi, membri della Congregazione delle cause dei santi. Anche in questa sede, i vari aspetti della questione furono messi a fuoco con profondità di dottrina e ampiezza di considerazioni pastorali. In conclusione i cardinali e i vescovi diedero voto favorevole a una nuova via per la beatificazione di chi ha offerto la vita con esplicite e riconosciute motivazioni cristiane. Fu pure evidenziata la necessità di un miracolo, formalmente approvato, quale conferma divina del giudizio umano sull’offerta della vita. Queste conclusioni furono sottoposte dalla Congregazione delle cause dei santi al Santo Padre Francesco con lettera del 28 novembre 2016 (Prot. Num. VAR 7454/14). Il 17 gennaio di quest’anno la Segreteria di Stato informava il cardinale Amato che Sua Santità «in data 10 gennaio corrente ha benevolmente approvato la proposta di procedere alla beatificazione di quei Servi di Dio la cui libera e volontaria offerta della vita sia divenuta causa della loro morte». Veniva pure richiesto alla Congregazione di «redigere il testo del pronunciamento pontificio» per presentarlo alla definitiva approvazione del Santo Padre. Il testo del citato pronunciamento pontificio è ora il motuproprio Maiorem hac dilectionem, firmato da Papa Francesco. Questo documento pontificio molto opportunamente all’art. 2 precisa: «L’offerta della vita, affinché sia valida ed efficace per la beatificazione di un Servo di Dio, deve rispondere ai seguenti criteri: a. offerta libera e volontaria della vita ed eroica accettazione propter caritatem di una morte certa e a breve termine; b. nesso tra l’offerta della vita e la morte prematura; c. esercizio, almeno in grado ordinario, delle virtù cristiane prima dell’offerta della vita e, poi, fino alla morte; d. esistenza della fama sanctitatis et signorum, almeno dopo la morte; e. necessità del miracolo per la beatificazione, avvenuto dopo la morte del Servo di Dio e per sua intercessione». L’art. 3 del motuproprio aggiunge come regolarsi nell’indagine canonica sull’offerta della vita e nella preparazione del relativo dossier (positio) da sottoporre ai consultori teologi e ai cardinali: «La celebrazione dell’inchiesta diocesana o eparchiale e la relativa positiosono regolate dalla Costituzione apostolica Divinus perfectionis magister del 25 gennaio 1983 [...] e dalla Normae servandae [...] del 7 febbraio dello stesso anno». Questa nuova normativa sull’offerta della vita dovrà raccordarsi, logicamente, anche con l’Istruzione Sanctorum mater del 17 maggio 2007, la quale intende agevolare la corretta applicazione della legislazione del 1983. Infine, il motuproprio ha deciso che il dubium, ossia l’oggetto dell’accertamento delle cause sull’offerta della vita, fosse così formulato: An constet de heroica oblatione vitae usque ad mortem propter caritatem necnon de virtutibus christianis, saltem in gradu ordinario, in casu et ad effectum de quo agitur (“se risultano provate l’offerta della vita fino alla morte a motivo della carità nonché le virtù cristiane esercitate almeno in grado ordinario, nel caso e per le finalità di cui si tratta”). Il Santo Padre ha anche disposto che questo suo atto legislativo fosse promulgato mediante «L’Osservatore Romano» e che entrasse in vigore lo stesso giorno della pubblicazione.
Con questo provvedimento la dottrina sulla santità cristiana canonizzabile e la procedura tradizionale della Chiesa per la beatificazione dei servi di Dio non soltanto non sono state alterate, ma si sono arricchite di nuovi orizzonti e opportunità per l’edificazione del popolo di Dio, che nei suoi santi vede il volto di Cristo, la presenza di Dio nella storia e l’esemplare attuazione del Vangelo.
(fonte: articolo di Marcello Bartolucci in L'Osservatore Romano 11/07/2017)