Una comunione priva di carità?
di Enzo Bianchi
di Enzo Bianchi
Nella chiesa oggi è tornata a farsi udire la presenza dei “tradizionalisti”, cattolici che non hanno accolto come una grazia alcuni messaggi del Vaticano II e della riforma liturgica che i padri conciliari avevano voluto e indicato e che Paolo VI, con coraggio e audacia, operò e portò a completezza, anche se va ricordato che ogni riforma della liturgia non può che prepararne una successiva. Questa riluttanza nell’accogliere le decisioni conciliari ha anche aperto uno scisma nella chiesa cattolica, attraverso mons. Lefebvre e i vescovi che si unirono a lui: scisma che è stato oggetto della sollecitudine pastorale di tutti i papi succeduti a Paolo VI.
Oggi questi tradizionalisti sono meno di un milione in tutto il mondo, su quasi un miliardo e trecento milioni di cattolici, ma riescono ad avere una presenza significativa in alcuni paesi europei. Ma ci sono anche altri cattolici, in comunione con il successore di Pietro, che hanno assunto la stessa critica, gli stessi riti presenti prima della riforma liturgica, le stesse posizioni dottrinali segnate da una continuità senza dinamica né sviluppo della dottrina, presentata insieme alla morale cattolica con spirito intransigente.
Giovanni Paolo II concesse un indulto per questi figli della chiesa: potevano celebrare “straordinariamente” secondo il rito preconciliare la messa di san Pio V, solo ritoccata in alcuni punti da Giovanni XXIII. Tuttavia questo parve insufficiente per una “pace” liturgica, sicché papa Benedetto XVI “liberalizzò” il vecchio rito, riconoscendo il diritto di celebrare senza tener conto della riforma liturgica a ogni presbitero e a ogni gruppo di fedeli che lo richiedesse. Questo fu un atto di misericordia al quale la chiesa, a cominciare dai vescovi, ha fatto obbedienza anche in mancanza di accordo entusiasta sulla disposizione contenuta nella Summorum pontificum. Eppure nemmeno con questo provvedimento è tornata la pace liturgica: l’eucaristia, che nella chiesa cattolica dovrebbe essere segno e vincolo di unità, è diventata il luogo della contrapposizione e della discussione, con grave scandalo di molti. Perché?
Dobbiamo dirlo con libertà e parresia: perché in realtà la maggior parte dei tradizionalisti non si accontentano della libertà loro concessa e dunque della pluralità di forme di celebrazione ammesse di diritto dalla chiesa cattolica, ma continuano ad attaccare la “messa della riforma conciliare” dichiarandola protestante, non spiritualmente efficace come il rito di san Pio V, incapace di esprimere il mistero che si celebra, depauperata della pienezza della dottrina cattolica riguardo alla messa. E così il vecchio rito viene esibito qua e là, con celebranti che si spostano di città per presiederlo là dove vengono chiamati, senza perdere l’occasione per attaccare la forma ordinaria dell’eucaristia cattolica, per denigrarla e affermare la necessità non di una riforma successiva – come è sempre logico attendersi – bensì una “riforma della riforma” che ripristini parti ed elementi del rito precedente.
Personalmente amo il rito antico. Ho servito come chierichetto alla messa quotidiana delle 6 di mattina nel mio paese dall’età di sei anni fino ai diciannove: con quella messa ho ricevuto la grazia e ho avuto accesso al mistero pasquale; ancora oggi sul mio comodino resta il “messalino” Feder, dal quale attingo la mia eucologia prima di addormentarmi. Eppure mi rattrista che questa “guerra” liturgica continui da oltre quarant’anni.
Sembra che papa Francesco, dopo tanti gesti e segni di attenzione manifestati verso la Fraternità sacerdotale San Pio X, stia per ammetterla pienamente nella comunione cattolica concedendo che alla guida ci sia un vescovo direttamente dipendente dalla santa Sede. Se così avverrà, papa Francesco mostrerà ancora una volta che il suo principio “il tempo è superiore allo spazio” è reale ed efficace. Ma occorrerà, e lo dico con forza, che questa porzione di chiesa, rientrando nell’unità, smetta di denigrare e condannare la forma ordinaria della messa cattolica e la consideri valida e legittima quanto il vecchio rito. Sui temi conciliari che fanno difficoltà – come la libertà di coscienza e il dialogo interreligioso – si possono avere interpretazioni diverse, ma sulla santità dell’eucaristia occorre essere tutti capaci di confessare che essa è il memoriale della passione, morte e risurrezione del Signore, sacramento di salvezza come è celebrato secondo la forma datale dalla chiesa. E si richiede non certo di evitare di discutere la parola del papa – limitatamente a quando non proclami la fede cattolica – ma di rispettare la sua persona e di non giungere a disprezzarlo o delegittimarlo. Purtroppo mai un papa nell’epoca contemporanea è stato così accusato, calunniato, deriso, contestato come papa Francesco. È ora che questo abbia fine e, anche se il papa “lascia fare”, i cattolici sappiano dire una parola chiara a questi nostri fratelli e sorelle: senza la carità, la comunione è solo tolleranza di riti
(Fonte: Comunità di Bose)