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venerdì 23 giugno 2017

“I care”, come Don Milani curiamoci degli altri ma senza buonismi - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)

“I care”, come Don Milani 
curiamoci degli altri 
ma senza buonismi
Papa Francesco 

S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
22 giugno 2017
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.




Appassionato, capace di discernere e di denunciare, soprattutto i mercenari: quelli cioè che, vedendo venire il lupo, abbandonano il gregge o che «per attirarsi l’ammirazione dei fedeli» lasciano fare con quel «buonismo dei compromessi che non va». È il ritratto del vero pastore tracciato dall’apostolo Paolo e riproposto da Papa Francesco nella messa celebrata a Santa Marta la mattina di giovedì 22 giugno.

Una riflessione scaturita dall’ascolto delle parole della prima lettura — tratta dalla seconda lettera ai Corinzi (11, 1-11) — che al Pontefice hanno fatto tornare alla mente quanto «il Signore ha detto nel capitolo decimo del vangelo di Giovanni: “Il Buon Pastore dà la sua vita per le sue pecore. Il mercenario, invece, che non è pastore, vede venire il lupo e le abbandona”». Di conseguenza «Paolo è un pastore vero, non è mercenario. Un vero pastore». Ecco allora le «tre caratteristiche», i «tre tratti dello stile pastorale di Paolo, che è lo stile pastorale di un buon pastore», sottolineati dal Papa.

La prima riguarda «il pastore appassionato. Appassionato fino al punto di dire alla sua gente, al suo popolo: “Io provo, infatti, per voi una specie di gelosia divina”». Un pastore dunque «geloso. Ma divinamente geloso». E dietro a questa definizione Francesco ha ritrovato un «passo del sesto capitolo del Deuteronomio, quando Mosé dice al popolo: “Il vostro Dio, che sta in mezzo a noi, è un Dio geloso”». Allo stesso modo la gelosia divina di Paolo» porta l’apostolo delle Genti «a questa pazzia, a questa stoltezza. È un uomo appassionato», il quale «ha quell’atteggiamento che può sembrare una pazzia. Zelante pastore. E questo è quel tratto che noi chiamiamo “lo zelo apostolico”: non si può essere un vero pastore senza questo fuoco dentro. Anche arrivando a qualche pazzia, qualche stoltezza». Questo, dunque, «è il primo tratto di Paolo come pastore».

Facendo poi riferimento alla seconda caratteristica, il Pontefice ha definito l’apostolo «un uomo che sa discernere, perché continua: “Temo, però, che come il serpente con la sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo”». Dunque Paolo «sa che c’è nella vita la seduzione. Il padre della menzogna è un seduttore. Il pastore, no. Il pastore ama. Ama» ha ribadito con forza il Papa. «Invece il serpente, il padre della menzogna, l’invidioso è un seduttore, che cerca di allontanare dalla fedeltà, perché quella gelosia divina di Paolo era per portare il popolo a un unico sposo, per mantenere il popolo nella fedeltà al suo sposo». Del resto, ha commentato Francesco, «nella storia della salvezza, nella Scrittura tante volte troviamo l’allontanamento da Dio, le infedeltà al Signore, l’idolatria come se fossero un’infedeltà matrimoniale». Il riferimento è «a Ezechiele 16, per esempio, e tanti altri, ma lì c’è. E lui vuol portare all’unico sposo, che non vengano altri a sedurre il cuore del popolo. E con il discernimento lui aiuta: “State attenti a questo, state attenti, andate...”».

Dunque, riassumendo: «prima caratteristica del pastore, che sia appassionato, che abbia lo zelo, che sia zelante; seconda caratteristica, che sappia discernere: discernere dove ci sono i pericoli, dove ci sono le grazie... dove è la vera strada». E ciò vuol dire che il pastore vero «accompagna le pecore sempre: nei momenti belli e anche nei momenti brutti, anche nei momenti della seduzione», portandole «con la pazienza all’ovile».

Infine “la terza caratteristica” è «la capacità di denunciare. Un apostolo — ha avvertito il Papa — non può essere un ingenuo: “Ah, è tutto bello, andiamo avanti, eh?, è tutto bello... Facciamo una festa, tutti... tutto si può...”. Anche «perché c’è la fedeltà all’unico sposo, a Gesù Cristo, da difendere. E lui sa condannare» con «quella concretezza» che gli permette di «dire: “questo no”, come i genitori dicono al bambino quando incomincia a gattonare e va alla presa elettrica a mettere le dita: “Questo no! È pericoloso!”». E in proposito Francesco ha confidato che gli «viene in mente tante volte quel tuca nen» (non toccare nulla) che i suoi genitori e nonni gli «dicevano in quei momenti dove c’era un pericolo». Insomma, ha osservato il Papa, «il buon pastore sa condannare, con nome e cognome, e per questo Paolo parla dei giudaizzanti e denuncia i giudaizzanti; parla degli gnostici e denuncia gli gnostici; parla degli idolatri e denuncia gli idolatri; parla dei mercenari e denuncia i mercenari».

Per ricapitolare il senso dell’omelia, da ultimo il Pontefice ha ricordato la visita compiuta il 20 giugno a Bozzolo e a Barbiana, dove hanno svolto il loro ministero don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. «L’altro giorno, quando sono andato ai posti di quei due bravi pastori italiani — ha spiegato — a Barbiana ho visto che il parroco insegnava ai suoi ragazzi». E quel parroco, don Milani, «aveva un motto un po’ pericoloso, contrario a quello che si usava nel tempo: I care».

«Cosa significa?» si è chiesto Francesco. La risposta è stata che il priore di Barbiana «voleva dire “mi importa”», ovvero «insegnava che le cose si dovevano prendere sul serio, contro il motto di moda in quel tempo che era “non mi importa”, ma detto in altro linguaggio, che io non oso qui» ripetere (il riferimento del Papa è al «me ne frego» che fu tra i motti del regime fascista). E in tal modo don Milani «insegnava ai ragazzi ad andare avanti. Prenditi cura della tua vita, e “Questo no!”: saper denunciare quello che va contro la tua vita». Mentre, ha ammonito il Pontefice, «tante volte perdiamo questa capacità di condanna e vogliamo portare avanti le pecore un po’ con quel buonismo che non solo è ingenuo: non va. E fa male. Quel buonismo dei compromessi, per attirarsi l’ammirazione o l’amore dei fedeli lasciando fare».

Ecco allora la conclusione riassuntiva di Francesco: «Lo zelo apostolico di Paolo, appassionato, zelante: prima caratteristica. Uomo che sa discernere perché conosce la seduzione e sa che il diavolo seduce: seconda caratteristica. Un uomo con capacità di condanna delle cose che faranno male alle sue pecore: terza caratteristica». Con l’invito a pregare «per tutti i pastori della Chiesa, perché san Paolo interceda davanti al Signore», affinché «tutti noi pastori possiamo avere queste tre tracce» per servirlo
(Fonte: L'Osservatore Romano)


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