Lettera aperta ai quattro cardinali dei “Dubia”
di Stephen Walford *
Eminenze, Signori Cardinali,
ho deciso di scrivere questa lettera aperta in risposta ai vostri ripetuti tentativi di avvicinamento al nostro Santo Padre, Papa Francesco, per le questioni originariamente sollevate nei vostri cinque “dubia”. Scrivo mosso dallo spirito d’amore per la Chiesa e, soprattutto, per la sua unità sotto la cura e protezione del nostro amato Papa. Desidero inoltre affermare che, in relazione alla questione dell’accesso ai Sacramenti per alcuni divorziati risposati, non ho alcun interesse diretto. Sono stato benedetto con un matrimonio di vent’anni e cinque figli, e non ho parenti o amici che rientrano in questa categoria molto delicata. La mia unica preoccupazione risiede nel benessere spirituale di queste anime speciali che il Signore ha messo accanto a me come fratelli e sorelle nella fede.
Vorrei cominciare affrontando le preoccupazioni espresse nei vostri “dubia”. Sembra che, in relazione al primo “dubium”, abbiate una certa difficoltà ad accettare i due autentici interventi di Papa Francesco nei quali afferma che, in alcuni casi, la disciplina dei sacramenti è stata cambiata: in primo luogo, in risposta alla domanda di Francis Rocca sul volo da Lesbo a Roma il 16 aprile 2016 e, in secondo luogo, il 5 settembre 2016, quando elogiò il documento contenente i criteri fondamentali presentato dai Vescovi Argentini che afferma che «non c’è altra interpretazione» del capitolo VIII di Amoris laetitia. Per quanto riguarda gli altri quattro “dubia”, sono confuso sul perché abbiate sentito la necessità di porre queste domande. In nessuna parte di Amoris laetitia Papa Francesco ha cambiato qualcuno di questi insegnamenti.
Permettetemi di fare qualche esempio. Al punto 295 di Amoris laetitia, il Santo Padre ripete l’insegnamento di San Giovanni Paolo II sulla «legge della gradualità» in contrapposizione alla «gradualità della legge» e inoltre afferma: «Perché anche la legge è dono di Dio che indica la strada, dono per tutti senza eccezione». Mentre al punto 311, Papa Francesco dice: «È vero che bisogna curare l’integralità dell’insegnamento morale della Chiesa», riferendosi al divorzio come ad un male (n. 246). Va anche notato che il Santo Padre ribadisce l’Humanae Vitae: «Dunque nessun atto genitale degli sposi può negare questo significato di generare una nuova vita».
Per quanto riguarda la coscienza, al punto 37, il Papa sostiene che le coscienze devono essere «formate» e aggiunge che più le coppie ascoltano Dio e seguono i suoi comandamenti facendosi accompagnare spiritualmente, «tanto più la loro decisione sarà intimamente libera da un arbitrio soggettivo e dall’adeguamento ai modi di comportarsi del loro ambiente» (p. 222). Al punto 303 si legge: «Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata». Se esiste uno sviluppo dottrinale in termini di coscienza, esso si riferisce all’insegnamento magisteriale del Papa (n. 303), e cioè al fatto che una persona può avere una «certa sicurezza morale» per quanto riguarda la «risposta generosa» che può dare a Dio in quel momento della sua vita, nel caso in cui non sia in grado di rispondere obiettivamente alla «proposta generale del Vangelo».
Anche qui per ben due volte, il Santo Padre fa riferimento al fatto che la «risposta generosa» non debba essere vista come ideale oggettivo. Al n. 305, Papa Francesco afferma l’esistenza di un peccato oggettivamente grave - definendolo «una situazione oggettiva di peccato» - tuttavia sceglie di affrontarla in relazione all’aspetto più importante della colpa soggettiva, così come aveva fatto la Congregazione per la Dottrina della Fede sotto il cardinale Joseph Ratzinger. Vorrei richiamare la vostra attenzione sui numerosi documenti chiave in cui questo concetto viene spiegato: La norma morale di Humanae Vitae e Il compito pastorale, Homosexualitatis problema, e Persona humana. In ogni caso, si può affermare che Papa Francesco non ha cambiato il magistero sul peccato grave.
Eminenze, un’attenta lettura di Amoris laetitia rivela tutto quello che avete chiesto nei “dubia”:
1) Gli insegnamenti sull’indissolubilità del matrimonio rimangono.
2) Ogni persona deve sforzarsi di seguire gli insegnamenti morali della Chiesa.
3) Il divorzio è un male e l’adulterio è sempre male. Anche se la colpa può essere ridotta o cancellata del tutto.
4) Le coscienze devono essere formate. Nessuna parte del testo può indurre chicchessia a giungere alla conclusione di poter fare come meglio crede.
5) In nessun modo Papa Francesco suggerisce che le unioni irregolari siano un’opzione alternativa “buona” al matrimonio originale. Tuttavia, non si può negare l’opera della grazia in atto in alcune di queste unioni.
Quindi, ciò che rimane è un disaccordo con il cambiamento apportato dal Papa in merito alla disciplina dei sacramenti. Papa Francesco ha forse cambiato la dottrina? No. È piuttosto chiaro che coloro i quali mostrano una situazione irregolare debbano essere convertiti. E anche se non lo dice, il presupposto è che queste anime si siano verosimilmente macchiate di peccato mortale.
Se il Papa stesse predicando una falsa misericordia, avrebbe accolto qualunque persona divorziata e risposata a ricevere il Signore, indipendentemente dallo stato spirituale. Al contrario, l’interesse del Papa e la sua preoccupazione pastorale sono per quelle anime che amano profondamente il Signore, ma si trovano in una situazione estremamente difficile; e per questo mi sento di dire che Francesco è un Papa molto coraggioso, inviato dallo Spirito Santo in questa epoca anche per affrontare la realtà di una Chiesa e un mondo feriti che non possono essere abbandonati.
Per quanto riguarda la richiesta di Giovanni Paolo II di «vivere come fratello e sorella», il realismo ci dice che questa situazione ideale non sempre è possibile. Ricordiamo il magnorum est di Papa Gregorio II, che afferma quanto questo sia possibile solo in caso di grande virtù morale. Tuttavia, anche nel caso di un completo fallimento in tal senso, l’autentica teologia morale ci dice che la colpa può essere minima o addirittura inesistente: «L’uomo infatti guarda all’apparenza, ma l’Eterno guarda al cuore» (Sam 16,7).
Eminenze,
vorrei richiamare la vostra attenzione sugli insegnamenti trovati in diversi documenti magisteriali di grande importanza. In Donum Veritatis (n. 17) leggiamo: «Si deve dunque tener conto del carattere proprio di ciascuno degli interventi del Magistero e della misura in cui la sua autorità è coinvolta, ma anche del fatto che essi derivano tutti dalla stessa fonte e cioè da Cristo che vuole che il suo Popolo cammini nella verità tutta intera. Per lo stesso motivo le decisioni magisteriali in materia di disciplina, anche se non sono garantite dal carisma dell’infallibilità, non sono sprovviste dell’assistenza divina, e richiedono l’adesione dei fedeli».
Nella sua enciclica Satis Cognitum Papa Leone XIII ha affermato: «Le parole metaforiche di legare e di sciogliere indicano il diritto di far leggi e insieme il potere di giudicare e di punire. Detto potere si afferma così ampio e di tanta virtù, che qualunque cosa venga da esso decretata verrà da Dio confermata. Pertanto esso è sommo e del tutto libero, come quello che non ha superiore in terra: abbraccia tutta la Chiesa e tutte le cose che ad essa furono affidate».
Suggerirei umilmente che non si può giungere ad altra conclusione se non quella che Papa Francesco – essendo il beneficiario del carisma dello Spirito Santo che lo assiste anche nel magistero ordinario (come ha insegnato San Giovanni Paolo II) - ha legittimamente reso possibile il ricevimento della Santa Comunione da parte dei divorziati risposati i cui casi sono stati attentamente considerati, nelle cui anime sia all’opera la grazia dello Spirito Santo, e ove sia presente un sincero sforzo verso la santità. Se non riusciamo ad accettare questa premessa, allora non stiamo accettando gli insegnamenti dei Papi precedenti. Se c’è una cosa che la Tradizione ci insegna è che esiste una ermeneutica della continuità nel comprendere l’autorità spirituale del papato in questioni di fede e di morale e, come sottolinea il Concilio Vaticano I: «Fu proprio questa dottrina apostolica che tutti i venerabili Padri abbracciarono e i santi Dottori ortodossi venerarono e seguirono, ben sapendo che questa Sede di San Pietro si mantiene sempre immune da ogni errore».
Nella Apostolicae Sedis Primatus Papa Innocenzo III affermò: «Il Signore insinua manifestamente che i successori di Pietro non devieranno mai, in nessun momento, dalla fede cattolica, ma piuttosto richiameranno gli altri e rafforzeranno anche gli esitanti». Mentre Papa Benedetto XVI disse: «Il ministero petrino è garanzia di libertà nel senso della piena adesione alla verità, all’autentica tradizione, così che il Popolo di Dio sia preservato da errori concernenti la fede e la morale» (Omelia per la solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 2010).
Nella lettera del 25 aprile 2017 avete dichiarato di respingere quelle affermazioni che non considerano Papa Francesco il vero successore di San Pietro – un’ammissione che induce a pensare che siate perfettamente a conoscenza dell’atteggiamento di molti che guardano a voi come una guida – e quindi, tenendo conto degli insegnamenti sopra esposti, non esiste la possibilità di una correzione formale. In termini di azioni personali come la correzione di San Paolo verso San Pietro, il cui comportamento, secondo San Paolo, era contrario a quello di un Papa, oppure alla peccaminosità dei Papi medievali, allora sì, è possibile una correzione, ma in relazione a questioni di fede o di morale insegnata come parte del magistero non è possibile.
Eminenze,
se non vi dispiace, vorrei porvi alcune domande che forse potrebbero aiutarvi a vedere il carisma di Papa Francesco in modo nuovo:
1) Era scandaloso il fatto che Dio usasse una prostituta pagana impenitente, Rahab, per aiutare «la storia della salvezza»?
2) Era scandaloso il fatto che Gesù rimanesse in attesa di una donna adultera presso il pozzo di Giacobbe e che le concedesse immediatamente la grazia dell’evangelizzazione? Era scandaloso il fatto che non le dicesse di lasciare l’uomo con cui stava o di vivere come fratello e sorella?
3) Era scandaloso il fatto che Gesù avesse inserito un nuovo canone nella legge di Mosè per salvare una donna adultera dalla sentenza che meritava? In questo caso, lo spirito della legge ha superato quello della legge scritta per portarla alla salvezza?
4) Che cosa otteniamo spiritualmente nel combattere contro quelle anime piene di grazia appartenenti ai divorziati e risposati che sinceramente desiderano l’unione sacramentale con Gesù? Crediamo che non sia possibile ottenere nulla per loro? Le parole di Gesù: «Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori» (Gv 6,37) non valgono dunque per loro?
5) Che cosa è cambiato dall’affermazione del Santo Papa Pio IX, secondo cui i matrimoni civili per i cattolici sono «nient’altro che un disonorevole e letale concubinaggio» (Allocuzione Acerbissimum vobiscum), a Papa Benedetto XVI che afferma che le sofferenze di queste persone sono un «dono per la Chiesa» (Incontro Mondiale delle Famiglie, 2 giugno 2012)?
Dobbiamo renderci conto che nel mondo reale - dove la maggioranza di noi laici vive e lavora - i vecchi metodi di conversione non funzionano più. La gente ha bisogno di testimoni di amore e misericordia in grado di offrire una ragione per credere. Non abbiamo altra scelta se non quella di incontrare le persone dove si trovano attualmente e cominciare a lavorare da lì. Non possiamo predicare l’inferno a persone che considerano l’eternità del paradiso come qualcosa di noioso e inutile. L’amore e la compassione sono le chiavi che il Signore ha usato per sbloccare i cuori, e questo Papa Francesco l’ha capito. Le dottrine sono inutili se le anime non sono prima toccate dalla grazia di Dio. Non vedo motivo di temere la veridicità di qualsiasi dottrina. Quello che vedo è un Papa mosso da un sincero realismo cristiano; un Papa che ha preso a cuore le parole narrate nella parabola del banchetto di nozze: «Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia” (Lc 14,23)». Questo è il tempo della misericordia, un tempo che richiede misure speciali, ma anche dei rischi. Credo fermamente che il Signore voglia questo da noi poiché così facendo affermiamo: «Signore, faremo tutto il possibile per aiutare le anime deboli e peccaminose a riempire la tua casa». E non dimentichiamoci mai che noi tutti siamo niente senza la Divina Misericordia.
Concludo chiedendovi umilmente di rivedere le vostre posizioni. Che ne siate a conoscenza o meno, ma esiste una frangia crescente di tradizionalisti e persino di alcuni cattolici conservatori che vi vedono a capo di coloro che rifiutano questo papato. So per esperienza che alcuni di essi sono profondamente inquietanti. L’abuso di molti, inclusi quelli che gestiscono siti web e blog tradizionalisti rivolti al Santo Padre e ai suoi fedeli, è a dir poco satanico. Voi siete i loro modelli e questa è una situazione intollerabile. In realtà, non c’è alcuna confusione ma solo un palese rifiuto e sfiducia verso il Papa legittimo e i suoi insegnamenti magisteriali. Se tutti i cardinali avessero accettato e difeso il chiaro insegnamento di Papa Francesco, il fuoco del dissenso non sarebbe stato alimentato. Nel desiderio di una Chiesa Unita intorno a Pietro, è fondamentale affermare che il Papa ha l’autorità, ratificata in cielo, per apportare modifiche disciplinari per il bene di alcune anime divorziate risposate e pertanto, vi chiedo di porre fine a questa situazione accettando la costante tradizione della Chiesa, che i Papi sono infallibili in questioni di fede e di morale, frutto incarnato di una specifica preghiera di Gesù stesso: «Ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno» (Lc 22,32).
Festa del Sacro Cuore di Gesù, 23 giugno 2017
* Stephen Walford è un teologo e vive a Southampton, in Inghilterra, con sua moglie Paula e cinque bambini. Ha studiato alla Bristol University e ha scritto due libri: “Heralds of the Second Coming: Our Lady, the Divine Mercy, and the Popes of the Marian Era from Bl Pius IX to Benedict XVI” (Angelico Press), e “Communion of Saints: The Unity of Divine Love in the Mystical Body of Christ” (Angelico Press). È autore di diversi articoli e pubblicazioni su temi escatologici e mariologici. È anche un insegnante e un pianista
(Fonte: Vatican Insider)
di Andrea Grillo
“La nostra coscienza ci spinge”: così si intitola il testo della lettera, stesa dal Card. Caffarra, a nome proprio e degli altri 3 cardinali dubbiosi. Gustoso è il fatto che la “coscienza cardinalizia” si mobiliti solo per escludere la rilevanza della coscienza personale ed ecclesiale. La coscienza dei cardinali sostituisce e scavalca la coscienza comune: decisamente contro il dettato di AL 37. Ma che cosa dice questa lettera? Possiamo riassumerla in 4 dichiarazioni:
a) si premette che i 4 cardinali sono fedeli alla autorità del Papa (andava detto, visto quello che segue);
b) si indicano Vescovi, pastori e intere Conferenze Episcopali come sostenitrici di affermazioni che “approvano ciò che il magistero della Chiesa non ha mai approvato” (ed è evidente che la abitudine alla censura del prossimo diventa paradossale quando pretende di sostituirsi alle autorità preposte…);
c) si esaltano “laici” – questi sì obbedienti e fedeli, non come i pastori, i Vescovi e le Conferenze episcopali inaffidabili – che vorrebbero garantiti i sacramenti contro questi “abusi”. E si segnala la prestazione dei 6 laici impegnati a maggio in un convegno nella “piccola sala di un hotel” (ma presentato come un evento epocale);
d) si domanda di essere ricevuti per discutere sui “dubia” già presentati e sulla “confusione” in cui AL avrebbe precipitato la Chiesa, e in primis i parroci;
Ciò che sorprende, in questa lettera, è la perdita completa di contatto tra i 4 cardinali e la realtà ecclesiale. Il cammino sinodale, il confronto tra le diverse opinioni, la elaborazione del testo di AL e la sua iniziale recezione: tutto viene risolto in una posizione risentita e negativa, autoreferenziale e senza respiro.
La coscienza dei cardinali li “spinge”: a che cosa? A resistere sulle posizioni acquisite, che vengono scambiate come le “verità di sempre”. E qui vorrei dire, con tutta la necessaria chiarezza, che sono davvero stupito di come questi 4 cardinali siano caduti nel peggiore errore di ciò che loro chiamano “modernismo”. Essi hanno talmente combattuto il moderno, che sono rimasti vittime di una vera e propria “sindrome di Stoccolma”: si sono lasciati talmente segnare dallo scontro con il pensiero soggettivistico, da averne assunto uno dei lati più problematici, ossia la identificazione della propria coscienza soggettiva con la realtà.
Questo è evidente almeno per tre motivi:
a) Con tutta la buona volontà, è ben difficile che Vescovi e intere Conferenze episcopali abbiano assunto decisioni erronee, mentre laici fedeli sarebbero custodi della verità. Questa è una rappresentazione caricaturale della dialettica ecclesiale. Ed è una sorta di “protesta sessantottina” – i laici liberi contro la struttura oppressiva – fatta propria da menti reazionarie. Ma è una assolutizzazione della (loro) coscienza soggettiva contro la evidenza della realtà;
b) La esaltazione del Seminario di studio tenuto a Roma da “6 laici di tutti i continenti” è a sua volta una preoccupante “campagna pubblicitaria” – nel peggior stile postmoderno – contro ogni evidenza teologica e pastorale. I “6 laici”, proprio con i loro discorsi tenuti al Seminario di studio, hanno dimostrato di essere teologicamente incompetenti e ecclesialmente irrilevanti, senza alcun vero collegamento con il cammino ecclesiale, con il dibattito teologico e con la logica del buon senso. Ed è allarmante (anzitutto per loro) che i 4 cardinali preferiscano i deliri infondati di 6 sconosciuti al cammino sinodale di una Chiesa.
c) Infine – e anche questo non può essere taciuto – la difesa che il card- Caffarra fa di quella che chiama “tradizione intangibile” – contro la quale si sarebbero mossi non solo Vescovi e Conferenze, ma lo stesso testo di AL – altro non è che la custodia ostinata della “collezione dei propri testi”: Familiaris Consortio e Veritatis Splendor sono infatti in buona misura il frutto del pensiero e della scrittura dello stesso Card. Caffarra. E se umanamente è comprensibile che ognuno si leghi a filo doppio ai propri testi, ci si affezioni e li veda come “passi insuperabili” nella storia del mondo, proprio per questo motivo ognuno, soprattutto se è un cardinale, dovrebbe anche considerare eccessivo che i propri testi pretendano di essere il punto di arrivo definitivo della Tradizione e della Scrittura. Una moderazione della coscienza e un supplemento di temperanza sarebbero auspicabili, per non compromettere non solo il giudizio sulla persona, ma anche quello sulla funzione cardinalizia, che non può mai ridurre la “voce della coscienza” alla testarda difesa dei propri diritti d’autore
(Fonte: dal blog "Come se non")
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