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sabato 1 aprile 2017

A Gerusalemme. Paolo in catene, legato al Vangelo e all’umanità: At 21,17-23,11 (Gregorio Battaglia)

A Gerusalemme. 
Paolo in catene, legato al Vangelo e all’umanità:
 At 21,17-23,11 
a cura di p. Gregorio Battaglia
(VIDEO INTEGRALE)



Settimo incontro dei 
MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2017
promossi dalla

Fraternità Carmelitana 
di Barcellona Pozzo di Gotto 




15.03.2017

          Questa sezione degli Atti degli Apostoli sembrerebbe, a prima vista, la meno interessante del libro. Il racconto si ferma in modo prolungato sulla carcerazione di Paolo e sulle sue vicende processuali. Si tratta di una carcerazione non prevista, perché Paolo, avendo fatto tesoro dell’esperienza precedente, una volta giunto a Gerusalemme si era limitato ad incontrare i fratelli della comunità, ai quali aveva “raccontato nei particolari quello che Dio aveva fatto tra i pagani per mezzo del suo ministero” (At 21,19). Sono proprio questi fratelli, che da una parte “danno gloria Dio” per l’opera compiuta tra i pagani, ma dall’altra avanzano un sospetto nei confronti di Paolo, se, forse, nella foga di evangelizzare i pagani non abbia ritenuto opportuno invitare “i Giudei sparsi tra i pagani ad abbandonare Mosé, dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le usanze tradizionali” (At 21,21).
La diffidenza nei confronti di Paolo, prima di essere fuori, è dentro la stessa comunità di Gerusalemme, che ritiene pericolosa la scelta di mettere insieme giudei e pagani, perché tutto questo potrebbe portare all’abbandono delle tradizioni giudaiche. Ma questi fratelli sanno bene che questo non è l’insegnamento di Paolo, perché egli è fermamente convinto che il giudeo che accoglie l’Evangelo del Signore crocifisso e risorto non smette di essere giudeo, anzi si realizza in pienezza, ma che allo stesso tempo si deve sottolineare che la gratuità del Vangelo annunziata ai pagani, non può tradursi in una costrizione per loro a vivere alla maniera giudaica.
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22,1: “Fratelli e padri, ascoltate ora la mia difesa davanti a voi”. Paolo è in piedi sui gradini ed ha la possibilità di poter raccontare al suo popolo come la sua vita sia cambiata a motivo dell’incontro con il mistero del Dio vivente, che lo ha illuminato sulla strada di Damasco. Paolo parla alla folla, ma in effetti sente il bisogno di ritornare su quel momento che ha determinato la sua vita da allora in poi. E così Paolo non può fare a meno di ricordare il volto di Stefano, perché “quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch’io ero presente e approvavo e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano”(At 22,20). In quel volto luminoso, perché aperto al perdono, Paolo ha incontrato il Vangelo, la gratuità dell’amore.

Egli per primo si è sentito amato gratuitamente nella testimonianza benedicente di Stefano. E adesso Paolo può richiamare questa visione per comprendere ancora meglio quale sia la radice del Vangelo e che non vi è altro modo di evangelizzare se non attraverso una presenza che sia capace di un amore gratuito. Qui non si tratta di cercare la gloria del martirio come una variante del proprio desiderio di affermazione, ma di lasciare affiorare quella corrente di amore gratuito, che il Signore Gesù ha versato in abbondanza una volta per tutte.

Ricordando Stefano, Paolo può meglio chiarire a se stesso cosa possa significare testimoniare il vangelo nella nuova condizione di uomo legato con doppia catena. Si tratta di un vero discernimento, che conduce Paolo a rendersi conto che quel che conta è lasciare affiorare questa corrente di gratuità, che sgorga dal Cristo Crocifisso e Risorto e sempre operante, con la forza del suo Santo Spirito, nella storia degli uomini. E così le catene acquistano sempre più il valore simbolico del suo essere incatenato dallo Spirito alla parola del Vangelo, ma anche il suo legame sempre più stringente ad un’umanità, che va alla deriva e che nella sua condizione infernale anela a poter ritornare al vero senso della vita.

Nell’animo di Paolo si va facendo strada la convinzione che l’annuncio del Vangelo non richieda necessariamente il versamento del sangue, quanto piuttosto una vita, che nella sua apparente normalità lascia trasparire la luce della Resurrezione, la forza rinnovatrice di un amore, che si fa accoglienza dell’altro nella sua diversità e nella sua miseria. Tutto questo lo porta a far valere i suoi diritti di “cittadino romano”, che non può essere flagellato o giustiziato senza un vero processo, in cui l’imputato abbia la possibilità di potersi difendere.

Paolo, nel suo discernimento, sta davvero affrontando il grosso problema del rapporto del cristiano nei confronti dei poteri di questo mondo e quale debba essere l’atteggiamento da assumere. Si tratta di subire da rassegnati o di poter portare l’altro a prendere coscienza delle proprie responsabilità? Rivendicando il proprio diritto ad essere trattato da cittadino romano Paolo costringe il centurione a fermare una violenza gratuita come la flagellazione preventiva ed a rivolgersi al tribuno per mettere in atto le procedure del caso.
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