Pasqua insieme, pasque diverse
di Enzo Bianchi
Quest’anno i cristiani di tutte le chiese e confessioni festeggiano la Pasqua alla stessa data. Ma non la festeggiano certo allo stesso modo. Non solo perché liturgie, riti e tradizioni sono diverse fin dai primi secoli, ma ancor più perché a essere profondamente diversa è la condizione in cui i cristiani vivono nelle diverse parti del globo. In Egitto, dove i cristiani sono circa il 10% della popolazione, quest’anno più che mai i fedeli partecipano alle celebrazioni del mistero centrale della loro fede – la morte e risurrezione di Gesù Cristo – a rischio della loro stessa vita, come tragicamente ci hanno ricordato le vittime di Tanta e di Alessandria solo domenica scorsa. In Siria, in Iraq e nel martoriato Medioriente, l’ancor più esigua e variegata presenza cristiana – sopravvissuta a guerre, rappresaglie, attentati, bombardamenti, carestie, emigrazioni ed esili forzati – vive ormai da tempo l’ecumenismo del sangue e ha imparato a stringersi come un unico corpo al di là delle diverse confessioni per celebrare il Signore della vita nonostante l’incombente orizzonte di morte. A livello mondiale, mentre il papa apre il triduo pasquale lavando i piedi ai detenuti di un carcere del Lazio e chiedendo con forza dalle pagine di un giornale laico di “fermare i signori della guerra”, il presidente – cristiano – della più grande potenza atomica mondiale ordina di sganciare una bomba “convenzionale” di potenza inaudita e di utilità ignota.
In Italia, invece, dove quasi il 90% della popolazione è battezzata, a Pasqua saranno tranquillamente aperti molti centri commerciali, non certo per facilitare a lavoratori e clienti la partecipazione alle celebrazioni dei misteri cristiani. Così, mentre nelle aree più provate del mondo i discepoli di Cristo pagano un caro prezzo per la loro fede, nel nostro paese che si vanta delle sue radici cristiane la festa di Pasqua è vissuta ormai nella distrazione: la debolezza della fede impedisce a molti cristiani di comprendere che senza questa festa, senza la risurrezione di Gesù di Nazareth, il cristianesimo non solo non si regge, ma rende i cristiani i più miserabili di tutti. Non è mai stato facile credere a ciò che la Pasqua significa e annuncia: che la morte non ha l’ultima parola né è l’ultima realtà, che oltre la morte c’è una vita altra, che l’uomo di Nazareth è il primo risorto da morte ma è anche colui che trascina ogni morto in una vita nuova senza fine. Eppure da sempre i poveri, i sofferenti, gli esclusi, le vittime della storia hanno saputo cogliere la dirompente novità di questo annuncio pasquale.
Sappiamo bene che all’alba del terzo giorno dopo quel 7 aprile della sua morte, le discepole di Gesù andarono a visitare la tomba dove il loro rabbi era stato sepolto la sera della sua crocifissione: la trovarono vuota, fatto che gli stessi avversari di Gesù poterono constatare. Quelle discepole però iniziarono a dire che era risorto da morte, destando stupore e sospetto persino negli stessi discepoli di Gesù e derisione da parte dei capi religiosi. Tuttavia, pur tra paure e incomprensioni, le donne e i discepoli non temettero di affermare che Gesù era vivente perché Dio lo aveva risuscitato dai morti, che quel Gesù che avevano amato e seguito era l’immagine decisiva di Dio, l’unica via per conoscere Dio.
Discorsi insignificanti per il mondo: Gesù era uno sconosciuto personaggio della periferia dell’impero ma per i suoi discepoli era “figlio di Dio”: lo hanno cantato, adorato, ne hanno fatto memoria a caro prezzo, fino a essere perseguitati e a dare la vita per lui. È questo lo straordinario cristiano: un uomo che è Dio, un Dio che si è fatto uomo e ha vinto la morte per sempre, con il suo amore, con la vita spesa nel servizio degli altri, nell’amore del prossimo, fino all’amore per il nemico. Allora lasciamoci rievangelizzare da quei cristiani copti che non hanno pronunciato una sola parola di odio e vendetta nei confronti di chi li ha brutalmente privati di padri, madri, figli e sono ritornati ad affollare quei luoghi dove risuona per loro e per tutti una parola di vita. Pasqua sarà così anche per noi la festa dell’amore più forte dell’odio: una festa di cui il mondo oggi sembra avere molto bisogno.
(fonte: Monastero di Bose - Articolo pubblicato su La Stampa)