IL MESSAGGIO DEL PAPA PER DON MILANI,
LA RIPARAZIONE DI UNA FERITA DELLA STORIA
Ecco perché le parole di Papa Francesco sul priore di Barbiana sono un fatto di portata storica.
Il video-messaggio di Papa Francesco, inviato a Milano il 23 aprile 2017, in occasione della presentazione del volume della collana Meridiani (Mondadori) che raccoglie l'edizione critica dell'opera omnia di don Lorenzo Milani, non è solo, e sarebbe già tantissimo, il riconoscimento di un papa - il primo - a don Lorenzo Milani prete cristiano. È un atto di riparazione: la sutura di una ferita dolorosissima aperta nella storia. Tanto quanto il contenuto - carico di significati - pesa la forma, che poche volte come in questo caso è sostanza: il contenuto del video-messaggio infatti, come non a caso sottolinea lo storico della Chiesa Alberto Melloni coordinatore dell'edizione critica, ha la forma di una recensione. Una forma non a caso: non solo è la recensione di un papa, è la recensione di un papa gesuita. È un atto che ripara un altro atto: la recensione di padre Perego che Civiltà cattolica pubblicò il 20 settembre del 1958 all'uscita di Esperienze pastorali, il primo libro di don Milani, il suo più dirompente e attuale: una stroncatura durissima, quella di Civiltà cattolica, rivista dei Gesuiti, che segnò in quel momento la frattura dell'incomprensione tra don Milani e la Chiesa di Roma, di più tra don Milani e Papa Giovanni XXIII, che, influenzato da quella recensione negativa, prima da patriarca di Venezia e poi da papa qualificò don Lorenzo Milani di "pazzerello scappato di manicomio". Un giudizio durissimo in sé e ancor di più perché veniva dal papa che segnava la svolta nella dottrina sociale della Chiesa a un sacerdote cristiano che con quel libro squarciava alla Chiesa e ai sui pastori il velo sulla povertà materiale e culturale del suo gregge.
Da qualche anno, e per la precisione dal 2001, sappiamo che alla radice di quell'incomprensione c'era incontrovertibilmente la recensione di Civiltà cattolica: lo sappiamo dalla sofferta testimonianza di Mons. Loris Capovilla, già segretario particolare di Papa Giovanni XXIII, che in un appunto del 1997 pubblicato da Giorgio Pecorini nel volume I care ancora (potete leggere l'integrale nell'articolo collegato), ricostruì la vicenda degli anni Cinquanta e testimoniò che il papa conobbe Esperienze pastorali e don Milani solo da quella recensione, con Loris Capovilla che si rammaricava di avergliela letta e di essersene fidato, soffrendo per essere stato il tramite dell'empatia mancata tra il "papa buono" e il prete degli ultimi.
Civiltà cattolica, nel tempo, aveva completamente modificato il proprio punto di vista sul priore di Barbiana, come testimonia l'ampio e documentato ritratto di padre Piersandro Vanzan pubblicato nel 2007, quarantesimo anniversario della morte di Milani, quando ormai gli effetti di quella prima recensione avevano dato i loro frutti di sofferenza, non in tempo per dare a don Milani in vita la consolazione di sentire ricambiato l'amore per la sua Chiesa, come invece era accaduto in extremis all'altro ribelle obbedientissimo, don Primo Mazzolari, che a un mese dalla morte si sentì accogliere proprio da Papa Giovanni XXIII, come la "Tromba dello Spirito Santo in terra mantovana". Ecco, alla luce di tutto questo, oggi sentire un Papa gesuita che esordisce citando «"Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati, e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa". Così scrisse don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, il 10 ottobre 1958», per poi proseguire: «Vorrei proporre questo atto di abbandono alla Misericordia di Dio e alla maternità della Chiesa come prospettiva da cui guardare la vita, le opere, il sacerdozio di don Lorenzo Milani» significa riconoscerlo, una volta per tutte e per sempre, non solo maestro, non solo anticipatore dell'obiezione di coscienza, non solo precursore della dottrina sociale della Chiesa, ma nella dignità e nell'ortodossia del suo sacerdozio cristiano, la cosa cui più teneva, la cosa più importante, a fronte della quale anche la "ruvida schiettezza" del linguaggio milaniano assume un significato diverso: «Si capisce - dice il papa a proposito di quel linguaggio - questo ha creato qualche attrito, qualche scintilla, come pure qualche incomprensione con le strutture ecclesiastiche e civili, a causa della sua proposta educativa, della sua predilezione per i poveri e della difesa dell'obiezione di coscienza. La storia si ripete sempre. Mi piacerebbe che lo ricordassimo soprattutto come credente, innamorato della Chiesa anche se ferito ed educatore appassionato con una visione della scuola che mi sembra risposta alla esigenza del cuore e dell'intelligenza dei ragazzi e dei giovani».
Ps. Davanti alla portata storica di questo messaggio di papa Francesco, sottolineata dalla visibile commozione di Valeria Milani Comparetti, figlia di Adriano fratello di don Lorenzo presente all'incontro (e alla qualità scientifica di questa opera editoriale monumentale), riprende - finalmente - il posto che merita, nel nulla della propria gratuita inconsistenza, anche la piccolezza delle polemiche montate attorno alla figura del priore di Barbiana negli ultimi giorni da una volgare operazione di marketing, che solo chi si fosse accostato superficialmente alla breve ma complessa e intensa storia di don Lorenzo Milani poteva insufflare nella pochezza del dibattito editorial-culturale di un Paese in cui 57 persone su 100 non aprono neppure un libro all'anno.
(fonte: Famiglia Cristiana)
VIDEOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLA PRESENTAZIONE DELL'OPERA OMNIA DI DON MILANI ALLA FIERA DELL'EDITORIA ITALIANA
(MILANO, 19-23 APRILE 2017)
«Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati, e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa». Così scrisse don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, il 10 ottobre 1958. Vorrei proporre questo atto di abbandono alla Misericordia di Dio e alla maternità della Chiesa come prospettiva da cui guardare la vita, le opere ed il sacerdozio di don Lorenzo Milani.
Tutti abbiamo letto le tante opere di questo sacerdote toscano, morto ad appena 44 anni, e ricordiamo con particolare affetto la sua “Lettera ad una professoressa”, scritta insieme con i suoi ragazzi della scuola di Barbiana, dove egli è stato parroco. Come educatore ed insegnante egli ha indubbiamente praticato percorsi originali, talvolta, forse, troppo avanzati e, quindi, difficili da comprendere e da accogliere nell’immediato. La sua educazione familiare, proveniva da genitori non credenti e anticlericali, lo aveva abituato ad una dialettica intellettuale e ad una schiettezza che talvolta potevano sembrare troppo ruvide, quando non segnate dalla ribellione. Egli mantenne queste caratteristiche, acquisite in famiglia, anche dopo la conversione, avvenuta nel 1943, e nell’esercizio del suo ministero sacerdotale. Si capisce, questo ha creato qualche attrito e qualche scintilla, come pure qualche incomprensione con le strutture ecclesiastiche e civili, a causa della sua proposta educativa, della sua predilezione per i poveri e della difesa dell’obiezione di coscienza. La storia si ripete sempre. Mi piacerebbe che lo ricordassimo soprattutto come credente, innamorato della Chiesa anche se ferito, ed educatore appassionato con una visione della scuola che mi sembra risposta alla esigenza del cuore e dell’intelligenza dei nostri ragazzi e dei giovani.
Con queste parole mi rivolgevo al mondo della scuola italiana, citando proprio don Milani: «Amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà. Almeno così dovrebbe essere! Ma non sempre riesce ad esserlo, e allora vuol dire che bisogna cambiare un po’ l’impostazione. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E questo è bellissimo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato ad imparare – è questo il segreto, imparare ad imparare! –, questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà! Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano che era un prete: Don Lorenzo Milani». Così mi rivolgevo all’educazione italiana, alla scuola italiana, il 10 maggio 2014.
La sua inquietudine, però, non era frutto di ribellione ma di amore e di tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che, talvolta, veniva negata. La sua era un’inquietudine spirituale, alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come “un ospedale da campo” per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati. Apprendere, conoscere, sapere, parlare con franchezza per difendere i propri diritti erano verbi che don Lorenzo coniugava quotidianamente a partire dalla lettura della Parola di Dio e dalla celebrazione dei Sacramenti, tanto che un sacerdote che lo conosceva molto bene diceva di lui che aveva fatto “indigestione di Cristo”. Il Signore era la luce della vita di don Lorenzo, la stessa che vorrei illuminasse il nostro ricordo di lui. L’ombra della croce si è allungata spesso sulla sua vita, ma egli si sentiva sempre partecipe del Mistero Pasquale di Cristo, e della Chiesa, tanto da manifestare, al suo padre spirituale, il desiderio che i suoi cari “vedessero come muore un prete cristiano”. La sofferenza, le ferite subite, la croce, non hanno mai offuscato in lui la luce pasquale del Cristo Risorto, perché la sua preoccupazione era una sola, che i suoi ragazzi crescessero con la mente aperta e con il cuore accogliente e pieno di compassione, pronti a chinarsi sui più deboli e a soccorrere i bisognosi, come insegna Gesù (cf Lc 10,29-37), senza guardare al colore della loro pelle, alla lingua, alla cultura, all’appartenenza religiosa.
Lascio la conclusione, come l’apertura, ancora a don Lorenzo, riportando le parole scritte ad uno dei suoi ragazzi. A Pipetta, il giovane comunista che gli diceva “se tutti i preti fossero come Lei, allora …”, Don Milani rispondeva: “Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, istallato la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo: Beati i poveri perché il regno dei cieli è loro. Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso” (Lettera a Pipetta, 1950). Accostiamoci, allora, agli scritti di don Lorenzo Milani con l’affetto di chi guarda a lui come a un testimone di Cristo e del Vangelo, che ha sempre cercato, nella consapevolezza del suo essere peccatore perdonato, la luce e la tenerezza, la grazia e la consolazione che solo Cristo ci dona e che possiamo incontrare nella Chiesa nostra Madre.
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