Il tremendo mistero del venerdì santo, del momento cioè in cui Gesù muore, è tale da farci temere di incrinarlo pronunciando parole proprio quando la Parola tace. Possiamo però lasciarci guidare dai testi biblici che vengono letti nella liturgia della Passione.
– I primi due brani sono tratti dal profeta Isaia:
«Il Signore mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola», cioè una lingua propria di chi ascolta cose sconosciute per poterle manifestare ad altri. «Il Signore mi ha aperto l’orecchio e io non mi sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso» (50,4-7).
Isaia sta parlando di un personaggio misterioso, il Servo di JHWH, che accetta dolori e persecuzioni fidandosi di Dio. Di un Servo che prefigura in sé i segni e le vicende della Passione di Gesù. E continua:
«Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori, che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia. Era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Isaia 53,3-5).
Queste parole, che ci colpiscono, ci sgomentano e che affermano come un messaggero respinto sia capace di salvare l’umanità intera, sono una chiave interpretativa della storia di Gesù e raggiungono il loro massimo di intensità nella morte di Cristo. Esse ci aiutano a cogliere il significato del fuoco della croce, la dimensione interiore dell’evento della Passione. Gesù è il misterioso Servo del Signore che si offre, con piena e libera obbedienza, a un destino di sofferenza e di morte. Il Cristo sofferente, di cui leggiamo nel racconto evangelico di Matteo (cfr. 27, 1-55), è colui che prega il Padre e gli si affida. Questo profondo affidamento di Gesù, che traspare da alcuni momenti e parole del vangelo, è bene illustrato dalle letture profetiche. Il Servo sofferente che si affida al Padre non è soltanto un segno luminoso dell’amore di Dio per tutti gli uomini, bensì diventa il rappresentante degli uomini davanti a Dio. E l’uomo vero, obbediente, riconciliato con il suo Signore; l’uomo che soffre per la tragedia del peccato, che dischiude agli altri uomini il cammino del ritorno a Dio. Ancora, il Servo di JHWH appare solidale con tutto il popolo, prende su di sé tutti i peccati, coinvolge gli uomini nello stesso cammino di amore doloroso ed espiatore.
– Del lungo racconto della passione di Gesù, tratto dal vangelo di Matteo, racconto che bisognerebbe leggere per intero e con grande attenzione, considero soltanto l’ultima parte:
«Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono… Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”» (Matteo 27,50-54).
Il velo che si squarcia, la terra che si scuote, le rocce che si spezzano, i sepolcri che si aprono sono il simbolo di un grande sconvolgimento cosmico e di un’immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra la vita e la morte. Fin dall’inizio la storia umana è storia di peccato, è segnata dal succedersi di tanti mali personali, sociali, cosmici. A un certo punto tutto il male si condensa nella passione di Gesù. Egli è schernito, deriso, oltraggiato, percosso, flagellato perché vuole vivere l’angoscia dell’umanità, la solitudine dell’uomo, vuole sentire su di sé le violenze, le crudeltà, i soprusi, gli inganni, le maldicenze che si compiono nel mondo. Gesù vuole anzi vivere l’abbandono del Padre come il dolore più grande dell’uomo, per espiare tutti i peccati. È il suo amore per noi che lo porta al confine della desolazione umana così da riscattarla in se stesso e da ricondurre l’uomo all’amore del Padre. Per questo muore, arrestando per così dire la morte che diventa il trionfo dell’amore di Dio.
Cerchiamo di immedesimarci nello stato d’animo del centurione romano che, di fronte allo sconvolgimento cosmico avvenuto dopo la morte di Gesù e, soprattutto, avendo visto di persona l’atteggiamento di inermità e di mitezza con cui Gesù muore, esclama: «Davvero costui era Figlio di Dio!». È la prima professione di fede davanti alla croce; una strana professione se pensiamo che viene da parte di un uomo incaricato ufficialmente di condurre a morte il Signore. Eppure noi stessi, come quell’antico soldato, siamo implicati nella morte e nel calvario di Gesù; noi stessi siamo protagonisti e non solo spettatori di questo evento. E, come il centurione, sentiamo di non avere le disposizioni adatte a comprendere ciò che sta accadendo.
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Il suo, in fondo, è il cammino di tutti noi che contempliamo il Crocifisso, compresi coloro che non fossero pienamente partecipi della vita della Chiesa o, addirittura, venissero da sponde lontane, proprio come il centurione pagano. Il venerdì santo è destinato a ogni uomo, a ogni persona di questo mondo e ciascuno di noi, anche se cristiano, deve rifare il cammino di contemplazione della croce, guardando negli occhi Gesù. Perché ciascuno di noi, oggi, può maturare nel cuore questa esclamazione, quasi fosse la prima volta: Tu sei, Gesù, il Figlio di Dio!
Come il centurione, guardiamo il volto di Gesù e vediamo i passanti che scuotono il capo e che non credono alla sua divinità. Sono tanti i nostri contemporanei che vanno frettolosamente, senza fermarsi davanti a lui. Forse hanno altri impegni, altre mete da raggiungere, e l’evento Gesù sembra marginale per loro. Per alcuni, la Settimana santa e la Pasqua sono semplicemente date del calendario, che hanno riferimento alla primavera, alle vacanze, alle feste. Forse, persino in noi c’è qualcosa di superficiale; per un verso, ci scopriamo un poco passanti che vanno frettolosi davanti a Gesù che muore. Forse abbiamo nel cuore pensieri, desideri, impegni, preoccupazioni, che sono al di fuori della salvezza che oggi ci viene donata. Gesù però ci invita a sostare e a guardarlo crocifisso, a fare come il centurione che non passa oltre ma si ferma a fissarlo, si pone di fronte a lui e diventa in tal modo capace di vivere quel grande venerdì santo di salvezza.
L’antico soldato finisce con il comprendere anche gli eventi che accadono intorno a Gesù – le tenebre, il terremoto – come legati alla sublime maestà di colui che muore con amore e per amore. Perché è questo amore che il centurione pagano ha colto, ben al di là dei fatti straordinari che avrebbero potuto spaventarlo soltanto. Egli, invece, rimane inchiodato davanti al crocifisso e intuisce il mistero dell’amore di quell’uomo che va incontro alla morte come mai nessun altro uomo ha fatto. Lo intuisce da tante piccole circostanze: il modo con cui Gesù raccoglie le offese, i brevi gesti e segni del capo verso chi gli allunga la spugna con l’aceto, la preghiera gemente e santa al Padre, il grido potente con cui, passa dalla vita alla morte. È davvero troppo grande il mistero di amore che la persona di Gesù rivela in ogni suo palpito dalla croce, perché chiunque abbia il coraggio di sostare un momento in silenzio davanti a lui non se ne senta coinvolto nel profondo dell’essere. Da questo punto, non conta tanto chi siamo, chi pensiamo di essere; conta ciò che guardiamo, conta il sublime mistero del Crocifisso.
Il centurione diventa un simbolo della verità del credente: avendo posto i suoi occhi su Gesù crocifisso, il resto si è offuscato, non conta più, ed egli rimane solo con colui che è salvatore di tutti.
– Il messaggio di Gesù crocifisso è molto chiaro. Dio, che avrebbe potuto annientare il male annientando tutti i malvagi, preferisce entrare in esso con la carne del suo Figlio, in Gesù, proclamando il perdono e il ritorno e subendo su di sé le conseguenze del male per redimerlo nella propria carne crocifissa. E' la legge della croce, il principio secondo cui il male non viene eliminato, ma trasformato in bene sull’esempio e per la forza della morte di Cristo.
In questo modo la croce diviene la suprema legge dell’amore e chi vuol far parte del cammino di rigenerazione inaugurato da Gesù deve entrare nel male del mondo per trame il bene della fede, della speranza, della carità, dell’amore per i nemici. La legge della croce è formidabile, ha un’efficacia sovrana nel regno dello spirito ed è applicabile a tutte le vicende umane; è il mistero del regno di Dio, è il mistero del Vangelo. Non è una legge accettabile dalla semplice intelligenza umana naturale, non la si può dimostrare prescindendo da Cristo. L’intelligenza umana naturale la rifiuta, non riesce a coglierla fino a quando non si è decisa per la fede.
Tuttavia il Signore crocifisso è centro di attrazione per ogni uomo e donna che viene in questo mondo, centro di attrazione per la storia, centro di attrazione per tutte le religioni del mondo. Ogni religione trova in questa croce il suo punto di arrivo, il suo termine, la fine di un suo eventuale mandato provvisorio; perché tutto culmina nella regalità universale ed eterna di Cristo Gesù, nell’alleanza di Dio con l’umanità, per sempre. Nel cuore del crocifisso, tutto ciò che è “no” può diventare “sì” e dal tradimento può nascere l’amicizia, dal rinnegamento il perdono, dall’odio l’amore, dalla menzogna la verità.
Questa è la forza di Gesù nella e dalla croce.
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Vedi anche i post precedenti: “UN PERCORSO QUARESIMALE” - Settimana Santa / 5 Cristo muore crocifisso
- “UN PERCORSO QUARESIMALE” - Verso la passione e la risurrezione di Gesù di Carlo Maria Martini
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