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mercoledì 9 dicembre 2015

"Il Giubileo e la sua grazia" di Massimo Toschi

Il Giubileo e la sua grazia
di Massimo Toschi

Da Bangui a san Pietro, e poi in tutto il mondo, questo cammino di conversione è la risposta della Chiesa al tempo che stiamo vivendo, alla dominante culturale della guerra e della violenza


Il Giubileo arriva a Roma, a San Pietro, arriva nella Chiesa italiana, arriva nelle periferie di questa Chiesa e la chiama alla grande conversione. Una conversione che la aiuti a liberarsi delle sue ossessioni, in particolare quella del potere, che per decenni l’ha attraversata e che è figlia di quella cultura pelagiana che papa Francesco ha più volte criticato in modo lucido e severo.

La grazia di questo Giubileo sarà di prendere sul serio il grande discorso che il papa ha fatto a Firenze e che le sintesi dei cinque gruppi sorprendentemente ignorano, mostrando una cecità spirituale che lascia stupefatti.

Siamo chiamati a discernere il tempo della guerra e della violenza che oggi viviamo. Ecco, il Giubileo della misericordia è la risposta della Chiesa al tempo che stiamo vivendo, alla dominante culturale della guerra e della violenza, che sembra alimentare il cuore di molti.

Di fronte ai giacimenti di odio la Chiesa ha la medicina inesauribile della misericordia, come diceva papa Giovanni nel grande discorso di apertura del Concilio.

Se il concilio, al suo inizio, nel 1962, voleva rispondere alle cicatrici della tragedia della Seconda guerra mondiale e se papa Giovanni lo convocava per fare la pace nel tempo della guerra fredda, oggi papa Francesco, con la convocazione del Giubileo straordinario della misericordia, vuole reagire spiritualmente alla Terza guerra mondiale fatta a pezzi, come ha più volte definito questa stagione di conflitti, che ha il suo cuore nel Medio Oriente e nel Mediterraneo, e dall’Europa arriva all’Africa per giungere a toccare la grande Asia.

Rispetto a questo orizzonte, il convegno della Chiesa italiana ha mostrato una grande cecità, come dicevo, e una grande sottovalutazione di quello che accade nelle nostre città e periferie, ma soprattutto nella nostra storia. Le cinque parole si sono fermate alla retorica, ma non c’è stato un effettivo discernimento della storia, dei suoi processi, dei suoi conflitti.

Una Chiesa che rimane spettatrice di fronte alla sofferenza del mondo e delle sue vittime. Proprio su questo punto la predicazione del papa in Africa è stata fortissima. Ha ribadito con forza che «nella vita della sequela di Gesù non c’è posto per la propria ambizione, né per le ricchezze, né per essere una persona importante nel mondo… perché la Chiesa non è un’impresa, non è una ong. La Chiesa è un mistero: il mistero dello sguardo di Gesù su ognuno di noi, a cui dice “seguimi”».

Il papa chiede a tutta la Chiesa e a tutte le Chiese locali di essere mistero e non ong, e non un’impresa: ecco il grande passaggio dalla porta della purificazione e della misericordia che il Giubileo vuole donare a tutti i credenti e tutte le persone di buona volontà. Ecco, la Chiesa che è mistero, perché non ha né oro né argento, ma si piega su chi è ferito e violato.

Se, come dice il papa, la grazia del Giubileo è l’elemosina della pace, essa è ottenibile nella forza inerme del mistero e non nel calcolo del potere e dell’interesse. Siamo mendicanti di pace e possiamo entrare nel mistero della porta che è Gesù, la porta che è stata aperta tra i poveri e le vittime di Bangui e che continua ad essere aperta come porta della cella dei carcerati, porta della camera dei moribondi, porta insopportabile dei poveri dell’OPG.

Una porta privilegiata dei poveri, che Dio sceglie e preferisce sempre. Una porta speciale per donare e tutti l’elemosina della pace, di una pace che non è firmare un accordo o un documento, ma un incontro con l’altro nella tenerezza dell’amore dei nemici e del perdono, di cui papa Francesco ci chiede di essere artigiani e artisti.

Ecco il frutto del giubileo per la nostra Chiesa italiana: diventare artigiani del perdono e non giustificatori della violenza; diventare specialisti della riconciliazione e non alimentatori di conflitti; gli esperti della misericordia e non della durezza della legge, che si vuole sempre imporre sulle spalle degli altri.

La Chiesa italiana uscirà dalla cultura della paura, per vivere la mitezza e la gioia del Vangelo e dell’incontro, dove la dignità di ciascun credente starà nella mano del Signore, che raduna attorno a sé la folla dei poveri e dei pacifici. 

In questo modo ci convertiremo dal fondamentalismo cristiano, che ha sempre alimentato e giustificato la guerra, come ha detto il papa, conversando con i giornalisti al ritorno dall’Africa, quando la parola non rivela il mistero dell’altro, ma lo nega alla radice.

Il dialogo interreligioso diventerà la cifra del rinnovamento spirituale dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam, e il Giubileo diventerà il tempo di una nuova convivenza, in cui lo sguardo di Dio illuminerà il cammino di ciascuno per arrivare tutti insieme al grande banchetto di Dio, che nessuno esclude e tutti accoglie alla sua mensa.
(fonte: Città Nuova)