Teresa nasce ad
Alençon il 2 gennaio del 1873,
da Luigi
Martin
e da Zélie
Guerin. I coniugi
Martin
ebbero
nove
figli:
Maria, Paolina,
Leonia,
Celina, Teresa;
e
altri
quattro
figli,
due
femmine
e
due
maschi che
morirono
in tenera
età.
«Tutto mi
sorrideva
sulla terra,
trovavo fiori sotto ogni passo e
anche il mio carattere
felice
contribuiva
a
rendermi
piacevole
la
vita»[1].
Anche se coccolata,
molte
volte il
suo
carattere sarà messo a dura prova dalla morte della
mamma
avvenuta
il
28 agosto
1877. Teresa,
anche se
piccola,
è
toccata da
questo distacco
affettivo. Lei stessa riconosce: «A
partire dalla morte
della Mamma il mio
carattere felice cambiò completamente;
io così vivace,
così espansiva, diventai
timida e dolce, sensibile all'eccesso»
(Ms A 45).
L'ambiente familiare era molto sereno,
cattolico
praticante,
in famiglia viene educata all’esperienza di fede. Per cui in lei matura il
desiderio di unirsi a Dio nella fede e in un rapporto d’amore, questo suo
desiderio lo esprimerà continuamente nei suoi scritti.
e) Si fa loro “compagna” e mangia il pane della prova
Teresa vive questa
“notte” come condivisione di vita con Gesù e con gli increduli. Visto che gli
increduli esistono, Teresa si fa loro “compagna”. Lei vuole mangiare alla loro
tavola. Da quando conosce l'esistenza degli increduli, Teresa li guarda, non
dall'alto, come la maggior parte delle sue consorelle che si facevano vittime
per i peccatori e diventavano così come delle madri, che li partorivano alla
vita della fede: Teresa li guarda come fratelli e si preoccupa soltanto di sedere
alla loro stessa “tavola”: «Signore, la tua figlia l’ha capita la tua luce
divina! Ti chiede perdono per i suoi fratelli. Accetta di mangiare per quanto
tempo vorrai il pane del dolore» (Ms C 277). La sua preoccupazione è di restare
con quelli che mangiano il pane dell'incredulità: «non vuole alzarsi da quella
tavola piena di amarezza» (Ms C 277); è pronta a restarvi per ultima finché
«tutti coloro che non sono illuminati dalla fiaccola luminosa della Fede la
vedono finalmente brillare» (Ms C 277), Teresa dice: «Accetto di mangiarvi da
sola il pane della prova fino a quando ti piaccia di introdurmi nel tuo regno
luminoso. La sola grazia che ti domando è di non offenderti mai!» (Ms C 277).
E da sola – in sorprendente somiglianza con l'Amato! che si ritrova come
"fallito" in croce – Teresa, come aveva sperato, si ritrova a
misurarsi con la morte "a mani vuote", come "fallita" anche
lei nel suo desiderio che “tutti quelli che non sono rischiarati dalla fiaccola
luminosa della fede la vedano infine brillare”
La vita di Teresa,
come quella dell'amato, è vita sprecata, come lei stessa canta, il 19 maggio
1897, in una poesia:
«Nel
suo fulgor la rosa fa bella la festa
Bambino
amabile
Ma
la rosa sfogliata la si getta al
vento
semplicemente;
Una
rosa sfogliata si dona incurante
per non più
esistere
Come
questa, con gioia io a te m’abbandono,
Gesù
piccino» (P 51,3).
Teresa, rosa sfogliata, con la sua esperienza di
radicale povertà, ricorda a tutti noi, ammalati di protagonismo gratificante,
rinchiusi nello spazio dell'"io", che l'incontro con Dio, qui sulla
terra, non si esaurisce nella cultura del "sentire", ma si esprime in
un itinerario di fede che chiede un consenso maturo a tutto il vissuto
dell'Amato e alla storia dei fratelli, soprattutto dei fratelli dal volto
"sfigurato". Teresa, con il suo vissuto, è memoria che indica alla
chiesa un modo nuovo di essere presente al mondo dell'incredulità, non più con
il proselitismo e la lotta, ma con la comunità d'esistenza, con amore,
tenerezza e umiltà.
[1] S. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Opere Complete, Libreria Editrice Vaticana-Edizioni OCD, Città del Vaticano-Roma 1997, Ms A 41. D’ora in poi citerò, all’interno del testo, con queste abbreviazioni: Manoscritti A, B, C = Ms, segue il numero al margine della pagina; Lettere = L; Poesie = P; Preghiere = Pre.
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