"Un cuore che ascolta - lev shomea"
"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino
V DOMENICA DI PASQUA ANNO B
Vangelo:
Gv 15,1-8
«IO-SONO» è la forma di rivelazione, tanto cara all'evangelista Giovanni, che richiama l'impronunciabile Nome di Dio (YHWH) rivelato a Mosè sul Sinài e che Gesù applica a se stesso rivelando in questo modo la sua uguaglianza con Yahweh. La cosa diverrà per Lui fonte di guai (Gv 8,58-59) e pretesto, per la classe sacerdotale, della sua condanna a morte (Gv 19,7). Il brano del Vangelo ci presenta una delle metafore utilizzate dall'evangelista, ricca di suggestioni e richiami veterotestamentari: «IO-SONO la vite vera». La vite è la pianta che richiama la terra promessa, dal frutto della quale si ottiene il vino, simbolo della gioia e dell'amore sponsale. Nei profeti è figura di Israele, che alle attenzioni e alla fedeltà di Dio, contrappone l'infedeltà dell'idolatria. La vite/vigna ora è impersonata da Gesù, la vite vera, quella fedele al progetto d'amore e di misericordia del Padre, la vite che non produce più «acini acerbi di vigna bastarda» (Is 5,2 ; Ger 2,21), ma uva deliziosa dalla quale si ottengono «vini eccellenti e raffinati» (Is 25,6). Solo rimanendo uniti a Gesù, solo dimorando nel suo amore, solo nutrendoci della sua Parola, linfa divina che dona la vita, saremo capaci di produrre anche noi frutti dolcissimi e vino inebriante per la gioia dei fratelli. Se così non vogliamo, saremo solo dei parassiti, sfruttatori inutili dell'amore del Padre, degli autentici falliti, buoni soltanto per essere tagliati e gettati nel fuoco della Geenna come spazzatura.
«IO-SONO» è la forma di rivelazione, tanto cara all'evangelista Giovanni, che richiama l'impronunciabile Nome di Dio (YHWH) rivelato a Mosè sul Sinài e che Gesù applica a se stesso rivelando in questo modo la sua uguaglianza con Yahweh. La cosa diverrà per Lui fonte di guai (Gv 8,58-59) e pretesto, per la classe sacerdotale, della sua condanna a morte (Gv 19,7). Il brano del Vangelo ci presenta una delle metafore utilizzate dall'evangelista, ricca di suggestioni e richiami veterotestamentari: «IO-SONO la vite vera». La vite è la pianta che richiama la terra promessa, dal frutto della quale si ottiene il vino, simbolo della gioia e dell'amore sponsale. Nei profeti è figura di Israele, che alle attenzioni e alla fedeltà di Dio, contrappone l'infedeltà dell'idolatria. La vite/vigna ora è impersonata da Gesù, la vite vera, quella fedele al progetto d'amore e di misericordia del Padre, la vite che non produce più «acini acerbi di vigna bastarda» (Is 5,2 ; Ger 2,21), ma uva deliziosa dalla quale si ottengono «vini eccellenti e raffinati» (Is 25,6). Solo rimanendo uniti a Gesù, solo dimorando nel suo amore, solo nutrendoci della sua Parola, linfa divina che dona la vita, saremo capaci di produrre anche noi frutti dolcissimi e vino inebriante per la gioia dei fratelli. Se così non vogliamo, saremo solo dei parassiti, sfruttatori inutili dell'amore del Padre, degli autentici falliti, buoni soltanto per essere tagliati e gettati nel fuoco della Geenna come spazzatura.