IL CARDINALE RAVASI:
«ESISTE ANCHE UNA PREGHIERA MUTA,
UNA DELLE PIÙ BELLE MAI ESISTITE»
Il porporato sulle radici bibliche della preghiera: «I Salmi e le orazioni della Vergine Maria non sono solo una lode al Signore ma rappresentano anche la totalità della nostra esperienza intrisa di sofferenza e gioia»
Gianfranco Ravasi è uno dei cardinali più colti ed eclettici della Chiesa cattolica. Biblista, teologo, poliglotta, volto mediatico (per cinque lustri ha portato le Scritture ogni domenica mattina nelle case degli italiani in quella che Aldo Grasso definì “l’ultima oasi nel deserto della Tv”), è stato presidente del Pontificio Consiglio della Cultura dal 2007 al 2022. È una miniera di citazioni, da Kierkegaard a Teresa d’Avila, da Lutero a Bonhoeffer a Nietzsche, attraverso le quali ci conduce a esplorare la preghiera, esperienza capitale della vita cristiana spesso trascurata o soffocata da quelli che il cardinale definisce «alienazioni e miracolismi».
L’occasione dell’intervista è il libro La preghiera della Bibbia (San Paolo) che apre la collana di volumi dedicati all’Anno della preghiera indetto da papa Francesco in vista del Giubileo. Nel volume, Ravasi si sofferma su due grandi polmoni della preghiera nella Bibbia: i Salmi, la voce orante per eccellenza della Scrittura, e le preghiere alla Vergine Maria.
Eminenza, cosa significa pregare?
«Partirei da due testimonianze molto suggestive. La prima è quella del filosofo dell’Ottocento Kierkegaard che diceva: “Perché io respiro? Perché altrimenti morrei. Così con la preghiera”. Essa è un elemento strutturale, quasi vitale dell’esperienza cristiana. La seconda è di un altro filosofo, Wittgenstein, il quale affermava lapidariamente che “pregare è pensare al senso della vita”, cogliendo un aspetto più laico, quello del momento del silenzio, del guardare nella coscienza. La preghiera, dunque, non ha solo un movimento verticale, quello del rivolgersi a Dio, ma anche uno orizzontale, entrare in sé stessi. La meditazione unisce preghiera e scavo nella coscienza».
Nel volume si parte dai Salmi dove s’intrecciano spiritualità e vita.
«Quello dei Salmi è il terzo libro biblico più ampio, dopo i testi di Geremia e della Genesi. Essi, da un lato, sono una rappresentazione profonda dell’esistenza umana e la loro preghiera non fa decollare dalla realtà verso cieli mitici, come invece accade in certe forme di devozione che sono alienazione e miracolismo. I Salmi, infatti, sono intrisi di lacrime, sorrisi, sofferenze, speranze, ringraziamenti. Un’anatomia dell’anima, secondo la definizione del riformatore Calvino. Dall’altro, permettono la contemplazione di Dio e di lodarlo. Non a caso, gli ebrei li definiscono telim, lodi a Dio. Uniscono, dunque, verticale e orizzontale. La selezione di diciassette Salmi presente nel libro è ben calibrata per offrire tutte le iridescenze e i colori del Salterio».
I Salmi rappresentano la forma più alta della preghiera biblica?
«Le rispondo con la citazione di un filosofo che ha respinto in maniera radicale il cristianesimo come Nietzsche, il quale affermava che “tra ciò che noi proviamo alla lettura di Pindaro o Petrarca e la lettura dei Salmi c’è la stessa differenza tra la terra straniera e la patria”. Mentre un grande teologo come Dietrich Bonhoeffer, ucciso sotto il nazismo, affermava questo: “Sorprende a prima vista che nella Bibbia ci sia un libro di preghiera. La Bibbia non è tutta una parola di Dio rivolta a noi? Le preghiere sono parole umane. Come mai si trovano nella Bibbia? Se la Bibbia contiene un libro di preghiera dobbiamo dedurre che la Parola di Dio non è solo quella che Lui vuole rivolgere a noi ma è anche quella che lui vuole sentirsi rivolgere da noi”».
Ma come si impara a pregare?
«Questo e gli altri libri che seguiranno hanno proprio lo scopo di insegnare a pregare restando radicati nella Scrittura. Gesù stesso durante la sua vita terrena è stato un modello di preghiera. L’evangelista Luca lo presenta alla vigilia della Passione, sotto le fronde del Getsemani, mentre prega in maniera drammatica perché è desolato e si rivolge al Padre nel momento del dolore. È legittimo che quando sei travolto dalla tempesta tu ti rivolga a Dio. Non per nulla un terzo dei Salmi del Salterio sono suppliche e lamenti. Addirittura, c’è uno che si lamenta perché ha la febbre e un altro dell’inappetenza affermando che il cibo che mette in bocca gli sembra cenere».
L’altro filone è quello della tradizione mariana.
«Nella vita della Vergine Maria la preghiera assume una forma esistenziale completa. Parto da un dato di fatto molto curioso. Nei Vangeli, la Madonna parla soltanto sei volte pronunciando 154 parole in tutto e sempre con frasi brevissime: “Avvenga di me come tu hai detto”, “Fate tutto quello che Egli vi dirà”. Ebbene, di queste 154 parole, ben 102 appartengono a una sola preghiera: il Magnificat. È un canto per solista e coro e un ottimo modello di preghiera personale e comunitaria perché da un lato c’è l’esperienza personale, contrassegnata dalla ripetizione dell’aggettivo possessivo “mio”, e dall’altro quella dei fedeli che elencano le sette azioni di Dio: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”. Infine, c’è un’altra preghiera di Maria che è senza parole e si svolge sul Calvario, ai piedi della Croce, dove parla solo Gesù e le dice: “Donna, ecco il tuo figlio”. Maria resta in silenzio. Questo significa che esiste anche una preghiera muta e Dio la ascolta quando sale a Lui nel momento estremo della desolazione e del dolore. Non a caso, Lutero, commentando il libro di Giobbe affermava che “Dio gradisce di più le bestemmie dell’uomo disperato che non le lodi compassate del benpensante la domenica mattina nel culto”».
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Antonio Sanfrancesco 10/04/2024)