25 aprile Festa della Liberazione
DAVIDE MARIA TUROLDO
COME RICORDARE
PERCHÈ RICORDARE
CHE COSA RICORDARE
Il testo che qui pubblichiamo è un estratto dell'intervento di Padre Davide Maria Turoldo, tenuto il 31 maggio 1985 presso l'Istituto Tecnico Industriale Statale "Benedetto Castelli" di Brescia, in occasione di un ciclo di conferenze organizzato dalla Fondazione Clementina Calzari Trebeschi sul tema La lotta di liberazione in Italia: la vicenda storica e l'eredità etico-civile.
Nel ventesimo anniversario della scomparsa di Padre Turoldo, abbiamo ritenuto opportuno far conoscere il suo messaggio: un'appassionata testimonianza, nutrita di una schietta colloquialità, il cui esito più accattivante è certamente quello di mettere in luce con estrema chiarezza, sottraendolo a ogni rischio di oblio o di troppo facile retorica, quale sia stato, e continui ad essere, il senso e il valore dell'evento storico che chiamiamo Resistenza, con la decisa assunzione del termine "Resistenza" a categoria della vita morale.
Il testo è del 1985, ma come sempre, quando le parole si caricano di autenticità di significati, è denso di attualità.
...essere solo
un segno di speranza
(D.M. Turoldo, Testamento breve)
Cari giovani,
uso sempre cominciare con un saluto, che vorrebbe essere una stretta di mano, perché, per quanto sia un uomo rotto a molte esperienze, per quanto parli tutti i giorni, e da anni e anni - sono purtroppo abbastanza anziano, sono già quarantacinque anni che sono sacerdote, frate, dunque pensate voi, nessuno di voi era nato ancora quando mi toccava predicare nel Duomo di Milano - quindi, rotto a molte esperienze, però credo di non aver mai parlato dalle cattedre. Idealmente, spiritualmente mi sono sempre sentito uno in cammino, uno sulla strada, uno che cerca, perciò do la mano a tutti quelli che incontro, per camminare insieme, e tanto più, la do volentieri a voi che siete venuti dopo.
Io oggi accompagno una scuola, l'Istituto Tecnico Industriale, dove le materie sono una più severa dell'altra; bene, mi ricordo il principio agostiniano, che non esiste maestro, ma siamo tutti discepoli; tutt'al più, uno è venuto prima, l'altro dopo, e magari quello che è venuto prima mette la propria esperienza a disposizione dell'altro. Vorrei in questo clima parlare con voi di cose molto, molto, molto serie; vorrei che passassimo proprio un'ora e mezza insieme, questo squarcio di mattinata, in maniera veramente raccolta, perché ho paura, ho paura per voi.
E vi dico subito il mio stato d'animo... Vi dirò proprio che io, rispetto a voi, ho due stati d'animo, uno uguale, uno contrario all'altro: non so mai se invidiarvi, oppure se compiangervi; e vi dirò proprio perché: sono portato a invidiarvi, per la ragione stessa della vita -voi siete nella giovinezza e io sono nel declino- ma, più che per questo, per la storia che io ho vissuto, e mi auguro molto diversa dalla storia che, dovreste, almeno spererei, vivere voi. Ecco, io sono nato, notate, nella guerra mondiale; i miei hanno dovuto essere profughi di Caporetto - io sono friulano; sono nato nella fuga di Caporetto - disastro! - sono cresciuto in tempi di guerra. I miei vecchi erano della prima guerra mondiale. Mio fratello - io ero già ormai chierico, sacerdote nel 1940- mio fratello fa sette anni di guerra, senza mai neanche sperare di ritornare.
Ecco incominciano i periodi dell'invidia, e le ragioni dell'invidia; invidiarvi, perché almeno voi, io spero, non vivrete quello che noi abbiamo vissuto: una guerra interminabile!
Pensate ...
Cinquantasette milioni di morti! Anni interminabili! ...
Ma capite? Dico, certo voi giovani cantate, perché queste esperienze non le avete vissute. ...
Per dire, qualche ragione, qualche elemento di stato d'animo, per cui io veramente vi invidio. Però vi compiango! non so appunto se invidiarvi o compiangervi, perché non avendo avuto queste esperienze, non vorrei che aveste la tentazione di fare quello che abbiamo fatto noi, di commettere gli stessi orribili errori, che abbiam commesso noi! Perché questo bisogna dirlo, e questo nella formazione, altrimenti che coscienza formeremo?
Mi viene in mente una frase di Einstein, che io ho messo su un libro, che ho scritto sulla pace, e ho proprio messo sulla fascetta un pensiero di La Pira e un pensiero di Einstein, e Einstein dice questo: “E tuttavia, io stimo tanto l'umanità da pensare che questi orribili fantasmi dell'odio e della guerra sarebbero da tempo scomparsi se il buon senso dei popoli, (cioè la coscienza) non fosse sistematicamente corrotto (notate: sistematicamente corrotto), per mezzo della scuola e della stampa, dagli intriganti del mondo della politica e degli affari".
Per questo ringrazio Iddio - appena mi invitano nelle scuole vado subito, perché sono i semenzai della coscienza, sono le oasi dove si forma o deforma la coscienza.
Perciò, sentite, cari giovani, fatemi un favore, perché io veramente patisco enormemente, e mi sembra di rendermi colpevole se dovessi sciupare una mattinata come questa. Perciò vi prego, ci metto l'anima, il sangue, voi metteteci almeno l'attenzione, anche se vi costa, perché lo so benissimo che costa! Ma lo faccio per voi, non per me: io son pronto a far le consegne: ma a chi passare le consegne, a chi, se non alla generazione nuova?
Bene, vi voglio dire alcuni pensieri: come e perché ricordare. Sì, ho fatto la Resistenza. Nel '40 ero già sacerdote a Milano... mi sentite tutti? No, perché mi piace guardarvi in faccia - io non riesco a parlare, anche se so tutto a memoria, se non vedo in faccia gli uomini a cui parlo - per me il più bel libro del mondo è la faccia di un uomo, è quella che devo decifrare per tutta la vita - e così, allora, guardandoci in faccia vi dirò alcune cose molto grosse.
Vi dirò come e perché ricordare. ... E poi, ho visto qui il vostro calendario, dedicato a queste circostanze; quindi penso che per voi alcune cose che dirò non sono riferite a voi, ma sono riferite, in generale, alla generazione attuale di giovani, che rischia di essere una generazione astorica, priva di memoria.
Perché purtroppo, circa la Resistenza, anche su queste cose cosi delicate, noi abbiamo parecchie responsabilità, e molte colpe.
Sono stato invitato addirittura dalla Diocesi di Milano a scrivere le esperienze che ho vissuto. E qui ho alcune note raccolte e pubblicate su Terra ambrosiana, note che ritengo di drammatica utilità per tutti, o, almeno, per quanti siamo convinti di vivere giorni molto sbagliati, e cioè convinti di essere giunti a queste attuali situazioni anche perché non si è accolto l'insegnamento, il messaggio che ci veniva precisamente dalla Resistenza, dall'evento della Resistenza - colpa certo non vostra.
... Dio non era con Hitler - anche se i tedeschi portavano sulla pancia il "Gott mit uns", "Dio con noi" - come potrebbe non essere oggi dalla parte dei nuovi potenti. Bisogna star bene attenti, perché là dove c'è questo, c'è la storia della liberazione che si scatena.
... Io non penso che Dio - amante della vita - possa essere geloso di chi dona la vita per il fratello: nessuno ha maggior amore di colui che dona la vita per un fratello, ne abbia o non ne abbia coscienza, egli si mette nella scia di Cristo, o almeno di quanto Cristo significa. Il buddista, il bonzo che si brucia sulla piazza di Saigon, può anche non sapere di Cristo, ma già dona la vita per i fratelli: è nella scia di Cristo e di ciò che Cristo significa!
Perciò si dice: Egli è il primogenito di tutti, di quanti credono in una umanità, in una vita donata al riscatto di molti, cosa che sta avvenendo oggi in tutto il mondo. Perché poi, dovete anche pensare che non c'è mai stata nel mondo tanta gente che sa morire come oggi, in tutte le parti del mondo! Questo è tempo di moltitudini di martiri...
Sì, è vero che se c'è tanta gente che sa morire - e io ne ho conosciuta tanta - dobbiamo anche dire che c'è tanta gente assassina, che sa uccidere. Ma intanto c'è anche questo aspetto, e l'importante, allora, è da che parte stare, da che parte sentirci, nella via e nella scelta giusta.
Per questo, vedete, Resistenza può considerarsi addirittura una categoria teologale; può far parte della stessa concezione della vita.
Difatti Cristo è sempre stato in uno stato di resistenza, di contrapposizione. Difatti è scritto: "Egli sarà segno di contraddizione". E addirittura nell'ultima preghiera dice: "Padre, io non ti prego, non ti chiedo di toglierli dal mondo. Essi sono nel mondo ma non sono del mondo". Che vuol dire, tradotto in termini correnti: essi sono nel sistema, ma non sono del sistema, sono in contrapposizione al sistema. Ecco il concetto, la posizione, la scelta che dovremmo avere noi, di noi stessi, quali il Vangelo ci pensa.
... Il nostro motto era: "Non tradire più l'Uomo". Resistenza era la scelta dell'umano contro il disumano, quale presupposto di ogni ideologia e di ogni etica personale. Ciò che valeva, e che dovrebbe sempre valere, è da che parte stare; se si è, appunto, dalla parte giusta.
In certe situazioni storiche, come quelle del fascismo e della guerra, io ho sempre stimato "beati" coloro che avevano fame e sete di opposizione, giudizio che ritengo ancora valido, riscontrando il perdurare di sistemi altrettanto disumani. E perciò io mi auguro che la Resistenza come valore possa diventare l'anima ispiratrice delle nuove generazioni.
Se fossero... ecco qui: qui è il mio problema più grande, rispetto ai giovani: se fossero educate, queste nuove generazioni, al costo della libertà, ad esempio, e anche al costo di questo malvissuto benessere, non saremmo certo al punto in cui siamo.
Invece oggi abbiamo... ma non è colpa vostra, cari giovani! anzi io qui sento di dire... di sfondare porte aperte; perché quando un Istituto ha queste preoccupazioni, vuol dire che ha la coscienza, di che cosa tramandare; ma in generale - dicevo - oggi abbiamo giovani senza ricordi! Giovani astorici! Generazione rapinata del dono della Memoria, e perciò incapaci o almeno inadatti a credere perfino in un loro definitivo avvenire, perché non sanno nulla del passato - non possono prevedere il futuro. Così rischiano di essere alla mercè del cinismo, o almeno dell'indifferenza, quando, appunto, frange molto estese non si danno anche alla droga; quando molti non siano portati al disprezzo della stessa vita, appunto perché non sanno.
Voglio dirvi un pensiero di Calamandrei, quella grande figura di Calamandrei: "I ragazzi delle scuole (lui dice così) imparano chi fu Muzio Scevola, o Orazio Coclite (magari non sanno neanche quello, oggi, eh? ma comunque si suppone) ma non sanno chi furono i fratelli Cervi; non sanno chi fu ...
Non sanno nulla del primo Piazzale Loreto: in quel giorno io ho chiesto perdono di vivere - era nell'agosto 1944. Perché tutti sanno del secondo Piazzale Loreto, ma non sanno del primo ...
Gente rapinata del ricordo e della coscienza! Io mi domando: questi giovani, in che cosa potranno credere e sperare?
Se nel campo morale la Resistenza significò rivendicazione della dignità umana uguale per tutti, e rifiuto di tutte le tirannie, nel campo politico la Resistenza significò volontà di creare una società retta sulla collaborazione volontaria degli uomini liberi, nel senso di autoresponsabilità e di autodisciplina, che necessariamente si stabilisce quando tutti gli uomini si sentono ugualmente artefici del destino comune e non divisi tra padroni e servi. Ma ora siamo di nuovo divisi tra padroni e servi, tanto che per i servi non c'è più neanche la possibilità di parlare!
Tra i morti della Resistenza vi erano seguaci di tutte le fedi: questa è cosa che dovreste tramandare, voi! ognuno aveva il suo Dio, ognuno aveva il suo credo, e parlavano lingue diverse, e avevano pelle di diverso colore, eppure nella libertà e nella dignità umana si sentivano fratelli. Volevano costruire un mondo giusto, dove tutti gli uomini vivano del proprio lavoro, dove ogni uomo conti veramente per uno, e non la massa, la moltitudine, gli stadi, dove la vita umana non conta più nulla!
Capire la Resistenza può non essere facile, soprattutto quando non si vuol capire, ma ignorarla non è possibile. Ecco, io vorrei che questo fosse il vero messaggio: la Resistenza non è finita; è stata frutto di pochi precursori, che avevano seminato durante un ventennio, ma è stata anche una più vasta semente per l'avvenire. E non dobbiamo scoraggiarci. ...
Ho detto, perciò, come e perché ricordare; ma che cosa ricordare? Ecco, vorrei che aveste ancora un po' di pazienza; e vi leggo alcune testimonianze - semplicemente - di quello che io volevo che fosse tramandato. ...
E proprio qui, mi viene in mente il giuramento dei sopravvissuti, che si sciolgono da Mauthausen, ripartono finalmente per i propri Paesi, dopo essersi stretti la mano, e fatto un patto: "Noi sopravvissuti, in nome di questi morti (perché ormai tutto era un ossario, l'Europa era solo cenere di morti, come vi dicevo all'inizio) noi, in nome dei morti, come sopravvissuti giuriamo di sentirci sempre come fratelli, di non odiarci più, di non fare più guerre. Noi giuriamo di sentire l'Europa unita, di fare l'Europa unita. Noi giuriamo di non tradire questi morti, affinché non siano morti invano. Rendiamoci grati della vita che ci è stata regalata, lavorando soltanto per la libertà e per la pace".
Vi ho riassunto il giuramento dei sopravvissuti di Mauthausen. Credo che sia quello il messaggio da accogliere - e in cui sperare. Se questo dovesse avverarsi, allora io continuerò a invidiarvi, e mai a compiangervi.
Leggi il testo integrale dell'intervento di Padre Davide Maria Turoldo
Davide Maria Turoldo nasce a Coderno (Friuli) nel 1916.
Di origini contadine, nono di dieci fratelli, a soli 13 anni entra nella Casa di Formazione dell'Ordine monastico dei Servi di Maria. Viene ordinato sacerdote nel 1940, e si trasferisce a Milano su invito del Cardinale Schuster.
Si laurea in Filosofia nel 1946 all'Università Cattolica di Milano, e a Milano, la sua città d'elezione, tiene le predicazioni domenicali nel Duomo dal 1943 al 1953, e fonda la Corsia dei Servi, centro culturale dedicato all'approfondimento dei problemi di attualità italiani e internazionali.
Partecipa attivamente alla Resistenza antifascista con il gruppo cattolico raccolto intorno al giornale clandestino "L'Uomo".
Scrittore di saggi, di libri di spiritualità, collaboratore di giornali e riviste, sceneggiatore in collaborazione con P.P. Pasolini del film "Gli ultimi" (1962), ha pubblicato diverse raccolte poetiche dal 1948 al 1992, anno della sua morte.
Con la sua opera e la sua costante presenza nella vita pubblica, occupa un importante ruolo nella chiesa e nella società, non senza incorrere in incomprensioni e scontri con le autorità ecclesiastiche, tanto da dover trascorrere vari anni fra il 1953 e il 1964 in diversi conventi del suo Ordine lontano dall'Italia.
Il Concilio Vaticano II è per lui l'avvenimento più importante della vita della Chiesa contemporanea. Tornato in Italia nel 1964, decide di andare a vivere a Sotto il Monte, il paese natale di Papa Giovanni XXIII, restaurando un'antica abbazia cluniacense, e trasformandola in centro di studi ecumenici aperto ad ogni confessione religiosa, compresa l'islamica, e anche ai non credenti.
In un rapporto più sereno con la Chiesa, e per chiamata del Cardinale Martini, negli ultimi anni torna a predicare nel Duomo di Milano.
Muore a Milano il 6 febbraio del 1992.