"Un cuore che ascolta - lev shomea"
"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino
II DOMENICA DI PASQUA ANNO B
Vangelo:
Gv 20,19-31
La fede dei discepoli nella Parola del loro Maestro è stata messa a dura prova dalla terribile esperienza della sua infamante fine che li ha costretti a rintanarsi nel cenacolo per paura di fare la sua stessa fine. Ma Gesù aveva detto loro che non li avrebbe lasciati soli (14,18), che sarebbe tornato per fare di loro i testimoni della sua resurrezione (15,26), che il Padre avrebbe inviato un altro Consolatore che stesse sempre con loro (14,16). Ma la loro mente è chiusa, attanagliata dal terrore. E' una comunità impaurita e ripiegata su se stessa, che fatica a credere che la vita è più forte della morte, nonostante Maria di Magdala avesse annunciato loro di avere incontrato il Risorto. «E' una comunità che piange un cadavere che non si riesce nemmeno a trovare» (20,13-15). Ma Gesù è veramente risorto e si rende presente «a porte chiuse» nei nostri sepolcri, traendoci fuori dalla prigione delle nostre paure e incredulità ostendendo le sue ferite, segni indelebili del suo amore per noi. Il Crocifisso non è un fallito sconfitto dal male, il vincitore della morte è realmente tra noi e ci mostra le sue ferite dalle quali sgorga la nostra salvezza. Contemplando quelle ferite ci rendiamo conto di quanto il Padre ami il mondo, e questo amore ci spinge inevitabilmente ad amare i fratelli. E affinché possiamo intraprendere questa missione, Gesù ci consegna il suo stesso Spirito (nel Vangelo di Giovanni la Pentecoste avviene la sera stessa di Pasqua). E' il Soffio che Dio alitò nelle narici di Adamo e che il Risorto, il nuovo Adamo, ci consegna come caparra della Pentecoste dall'alto della croce: «Consegnò lo Spirito!» (Gv 19,30)
La fede dei discepoli nella Parola del loro Maestro è stata messa a dura prova dalla terribile esperienza della sua infamante fine che li ha costretti a rintanarsi nel cenacolo per paura di fare la sua stessa fine. Ma Gesù aveva detto loro che non li avrebbe lasciati soli (14,18), che sarebbe tornato per fare di loro i testimoni della sua resurrezione (15,26), che il Padre avrebbe inviato un altro Consolatore che stesse sempre con loro (14,16). Ma la loro mente è chiusa, attanagliata dal terrore. E' una comunità impaurita e ripiegata su se stessa, che fatica a credere che la vita è più forte della morte, nonostante Maria di Magdala avesse annunciato loro di avere incontrato il Risorto. «E' una comunità che piange un cadavere che non si riesce nemmeno a trovare» (20,13-15). Ma Gesù è veramente risorto e si rende presente «a porte chiuse» nei nostri sepolcri, traendoci fuori dalla prigione delle nostre paure e incredulità ostendendo le sue ferite, segni indelebili del suo amore per noi. Il Crocifisso non è un fallito sconfitto dal male, il vincitore della morte è realmente tra noi e ci mostra le sue ferite dalle quali sgorga la nostra salvezza. Contemplando quelle ferite ci rendiamo conto di quanto il Padre ami il mondo, e questo amore ci spinge inevitabilmente ad amare i fratelli. E affinché possiamo intraprendere questa missione, Gesù ci consegna il suo stesso Spirito (nel Vangelo di Giovanni la Pentecoste avviene la sera stessa di Pasqua). E' il Soffio che Dio alitò nelle narici di Adamo e che il Risorto, il nuovo Adamo, ci consegna come caparra della Pentecoste dall'alto della croce: «Consegnò lo Spirito!» (Gv 19,30)