Giulio Sensi
«La mia uscita dal coma.
Ora capisco le fatiche, il dolore e la bellezza»
Giulio Sensi, comunicatore sociale e collaboratore di Buone Notizie l’11 novembre scorso ha perso conoscenza ed è caduto dalla bicicletta da corsa. È uscito dal coma a gennaio, dopo una assenza di due mesi
Tutti proviamo a rimanere attivi, ma non è sempre facile. Possiamo capire che ci può capitare qualsiasi cosa e abbiamo la possibilità di uscirne in molti modi. Io, per esempio, l’11 novembre sono caduto dalla bicicletta da corsa, ho perso conoscenza in modo inspiegabile. Mai prima mi era successo niente di simile. Andavo forte e spensierato, avevo il casco, ma ho battuto la testa. Ho avuto trauma notevole che non ho potuto prevenire perché non ero più presente da un momento all’altro. Certo, sono stato sfortunato. L’assenza poi è durata due mesi. Sono scivolato in una situazione brutta. Ho rischiato di non farcela e i medici erano più o meno pessimisti. O meglio: realisti. Mi ha colpito un coma di quasi trenta giorni. Poi a inizio gennaio ho ripreso coscienza, avevo già recuperato l’azione, ma non ricordo niente.
Sono stato curato bene dalla sanità pubblica e provo gratitudine. Ho una parte del cervello che cicatrizza, ma sono tornato a pensare e a ricordare tutto quello che ho vissuto prima. A muovermi senza difficoltà. A capire e a pensare. A fare le cose come prima. Sono ancora io. Vivo con un trauma, ma rivivo. Allora ho capito cosa mi è successo. Ho provato e provo dolore a sapere che tantissime persone erano state male a conoscere come stavo, avevano sofferto a sapere che potevo non guarire o ne sarei potuto uscire segnato per sempre. Per due mesi non ho visto mia figlia di quasi sette anni e lei era triste perché non poteva vivermi. Sto male a pensarlo.
Ma ho imparato una cosa bella che mi arricchisce. La condivido con le migliaia di persone che si sono commosse quando hanno avuto la notizia che ero tornato, grazie soprattutto al sostegno della mia compagna, di mia sorella, del mio gemello e delle persone a me vicine. Dei medici, dei fisioterapisti, delle logopediste, degli psicologi e delle infermiere. Vedete: chiunque può entrare in difficoltà per tante ragioni. Ma dobbiamo avere la dignità e la capacità di guardare con comprensione. L’Italia è piena di situazioni di fragilità e disagio. Tutti i Paesi ne sono pieni. Ciò non divide il mondo fra i normali e i non normali, ma disegna tante comunità diverse e ugualmente ricche.
Ce l’ho fatta, ma se non ce l’avessi fatta avrei potuto comunque essere accolto con umanità: questo avrebbe segnato il mio futuro e quello della mia comunità. E soprattutto ora ho ancora più voglia di guardare al mondo e alle sue vulnerabilità con passione e comprensione. Di raccontarle con verità. Sembra una cosa piccola, ma è enorme. La sapevo anche prima e cercavo di esercitarla, ma quando sulla difficoltà ci sbatti la testa puoi anche imparare molte più cose. Oppure non imparare niente, ma un mondo più bello non si costruisce con la pietà di tutti. Si fa piano piano e prima di tutto con la nostra. Si sta male, ma si riparte e se anche non si riparte siamo persone e dobbiamo essere accettate. Sempre. La vita lotta. Combattiamo anche noi per rispettare la nostra e quella delle altre persone. Così possiamo costruire un mondo più giusto.
(fonte: Corriere della Sera - Le buone notizie 11/04/2024)