Donne in cammino per la pace
L’erba, quando cresce, non fa rumore. L’occhio distratto non sa, il passo indaffarato non vede, ma lì, nell’interstizio tra il cordolo di cemento del marciapiede e l’asfalto, un seme venuto da chissà dove è germogliato.
La Marcia delle Madri
24 settembre 2017: migliaia di donne israeliane e palestinesi si mettono in cammino attraverso le strade di Israele e Cisgiordania, per raggiungere, dopo quindici giorni, la tenda di Agar e Sara, innalzata nella pianura che lambisce il Mar Morto.
Agar è la madre di Ismaele, Sara è la madre di Isacco; Ismaele e Isacco, entrambi figli di Abramo, sono i patriarchi delle religioni musulmana ed ebraica. Dalla tenda di Agar e Sara si sprigiona un forte valore simbolico: due popoli, che la storia e le religioni hanno voluto divisi, nell’abbraccio di riconciliazione delle loro madri possono trovare la forza e la determinazione per aprire e percorrere nuovi cammini di pace.
La Marcia delle Madri per la pace del 2017 nacque da un’iniziativa comune promossa dall’organizzazione israeliana Women Wage Peace (Le donne osano la pace) e dall’organizzazione palestinese Women of the Sun (Donne del sole). Ci vengono, da quelle luminose giornate, immagini forti e piene di speranza di donne israeliane e palestinesi vestite di bianco che camminano insieme e insieme cantano, danzano, si abbracciano, si scambiano parole, pensieri, progetti, unite in un comune sogno di pace, mentre alto si leva il canto della Preghiera delle Madri, composto dalla cantautrice Yael Deckelbaum:[1]
Da Nord a Sud,
da Ovest a Est,
ascolta la preghiera delle madri:
portare loro la pace,
portare loro la pace.
Strade di pace: Leymah Gbowee
Le iniziative per la pace promosse dalle donne israeliane e palestinesi hanno trovato ispirazione nell’esperienza dei movimenti per la pace sorti qualche decennio prima in Liberia e in Irlanda del Nord, grazie al coraggio e alla fermezza delle donne.
Nel video della Preghiera delle Madri è inserita una breve clip in cui la Nobel per la pace Leymah Gbowee invia un messaggio di solidarietà alle pacifiste israeliane e palestinesi. Leymah Gbowee è stata promotrice del movimento Women of Liberia Mass Action for Peace, che ha rivestito un ruolo fondamentale nel porre fine al conflitto civile in Liberia nel 2003.
In un contesto dominato dalla violenza endemica e dalla mancanza di libertà, migliaia di donne, infrangendo gli stereotipi tribali che le volevano confinate entro il recinto chiuso della famiglia, hanno agito da protagoniste sulla scena politica, sperimentando, a partire dalla piccola dimensione delle comunità locali, la possibilità di intraprendere strade nuove e creative per chiedere con forza la pace.
Le donne cristiane e musulmane che hanno preso parte al movimento, solidali nell’azione collettiva nonviolenta, hanno saputo vivere la loro fede religiosa non come mezzo di divisione, ma come strumento di condivisione di spiritualità e di pace, perché, come afferma Leymah Gbowee, la pace è possibile quando donne d’integrità e di fede si battono per il futuro dei loro figli.
Strade di pace: Betty Williams e Mairead Corrigan Maguire
Il 10 agosto 1976, a Belfast, durante l’inseguimento di un’auto rubata da un latitante dell’IRA, la polizia britannica iniziò a sparare colpi d’arma da fuoco. Un proiettile colpì a morte il guidatore; l’auto, priva di controllo, sterzò, andandosi a schiantare sul marciapiede. Una giovane madre, Anne Maguire, stava camminando lungo Finaghy Road North insieme ai suoi bambini: Joanne, di otto anni, e Andrew, di poche settimane, morirono sul colpo; John, di due anni, ferito gravemente, morì all’ospedale il giorno successivo.
Quella sera stessa Mairead Corrigan, sorella di Anne, apparve in televisione chiedendo la fine delle violenze. Dopo aver sentito le parole di Mairead, un’altra giovane donna di Belfast, Betty Williams, decise di scrivere una petizione per sostenere la sua richiesta di pace. Bussando porta a porta alle case del suo quartiere, in due giorni riuscì a raccogliere seimila firme. Il sostegno ricevuto la incoraggiò ad organizzare una prima azione nonviolenta: il 14 agosto, quattro giorni soltanto dopo l’incidente, diecimila donne, protestanti e cattoliche, marciarono in silenzio da Finaghy Road North al cimitero di Milltown, dove i tre fratellini erano stati sepolti.
Per Betty e Mairead iniziò una stagione di grande impegno a favore della pace e di sensibilizzazione contro la violenza generata dalla conflittualità identitaria che lacerava la società nordirlandese. Insieme fondarono la Community of Peace People e insieme, nel 1977, ricevettero il premio Nobel per la pace:
Se vogliamo raccogliere il raccolto di pace e giustizia in futuro,dovremo seminare semi di nonviolenza, qui e ora, nel presente.
Vent’anni dopo, l’accordo del Venerdì Santo del 1998 pose fine alla violenza settaria e alla lotta armata che da decenni dilaniava l’Irlanda del Nord.
Strade di pace: Vivian Silver
Le donne israeliane e palestinesi sono tornate a manifestare insieme di fronte al Monumento alla pace di Gerusalemme lo scorso 4 ottobre 2023, proprio qualche giorno prima dell’ignobile attacco di Hamas.
Vivian Silver, una delle fondatrici di Women Wage Peace e co-fondatrice dell’Arab-Jewish center for women equality, empowerment and cooperation, non poteva mancare all’appuntamento. Era là, in prima linea, come sempre. Poi, dopo la marcia della pace, da Gerusalemme aveva fatto ritorno a casa.
Settantaquattro anni, una vita dedicata all’impegno di costruire alternative nonviolente al conflitto che da decenni anni insanguina il Medio Oriente, Vivian si era trasferita in Israele, dal Canada, negli anni Settanta. Poi, nel 1990, aveva scelto di andare a vivere, insieme al marito e ai due figli, nel kibbutz Be’eri, vicino alla striscia di Gaza, per realizzare il suo desiderio di dare vita ad attività concrete di dialogo e di solidarietà tra palestinesi ed ebrei israeliani. Qui, nel kibbutz Be’eri, il 7 ottobre è stata uccisa dai miliziani di Hamas.
Vivian era fortemente convinta che, per promuovere la pace nel mondo, fosse indispensabile l’azione delle donne. Si deve anche a lei l’Appello delle madri, redatto da Women Wage Peace e Women of the Sun, per chiedere con forza una risoluzione pacifica del conflitto attraverso le vie diplomatiche del negoziato:[2]
Noi, donne palestinesi e israeliane di ogni ceto sociale, siamo unite nel desiderio umano di un futuro di pace, libertà, uguaglianza, diritti e sicurezza per i nostri figli e per le prossime generazioni.
Chiediamo alle donne del mondo di stare al nostro fianco per un futuro di pace e sicurezza, prosperità, dignità e libertà per noi stesse, i nostri figli e la popolazione della regione
Venti di guerra
Sono proprio di questi giorni le affermazioni del presidente del consiglio europeo Charles Michel, tornato a sbandierare la parola d’ordine di ogni imperialismo, Si vis pacem para bellum; e proprio in questi giorni abbiamo sentito la presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, parlare della pace perpetua come di un’illusione da cui l’Europa si deve svegliare, prima che sia troppo tardi (povero Kant…).
Investire nell’industria della difesa, migliorare e rafforzare la preparazione e la prontezza d’intervento bellico, produrre più munizioni, stanziare miliardi di euro in equipaggiamenti militari, elaborare piani di emergenza per preparare i cittadini al conflitto e, perché no?, inviare soldati europei in territorio ucraino: un’economia di guerra, questo il futuro che si prepara per l’Unione Europea.
Se l’UE si dichiara pronta ad assecondare le derive belligeranti mondiali, le cose non vanno diversamente a casa nostra, dove il Ministero dell’Istruzione e del Merito promuove aperte collaborazioni con gli Istituti di Formazione delle Forze Armate e il parlamento, attraverso un Disegno di Legge di iniziativa governativa, si appresta a smantellare la legge 185/90, grazie alla quale, dopo una lunga campagna di mobilitazione civile, nel 1990 per la prima volta erano stati inseriti in un testo di legge criteri non economici per la valutazione di autorizzazione all’esportazione di armi italiane.
Ma, mentre i grandi al potere continuano a stendere asfalto sulla strada della violenza per rendere ancora più agevole il cammino delle armi e della guerra, l’appello delle donne palestinesi e israeliane non è caduto nel vuoto. Altre donne lo hanno accolto nei loro cuori.
L’erba che cresce non fa rumore
Donne in cammino per la pace. L’iniziativa è partita dalla città di Brescia, per diffondersi poi in provincia, a Sarezzo, Gardone, Ghedi, Desenzano, e in altre città piccole e grandi, Mondovì, Chiavenna, Pesaro, Castiglione delle Stiviere, Poggibonsi, Ostia, Busto Arsizio…
Cammino, immobilità, silenzio. Vestite a lutto, con uno straccio bianco di pace al braccio. Per sentire nel cuore il dolore della guerra, per vedere con sguardo lucido la sua insensatezza. Davanti a luoghi simbolici come una fabbrica d’armi o una stele antifascista, in piazza o davanti a un municipio, ciascuna con in mano una lettera a comporre la scritta CESSATE IL FUOCO, da gridare con la forza di un silenzio che attraversa i secoli e la storia.
I grandi al potere asfaltano la strada della guerra, ma ovunque nel mondo semi di consapevolezza e di nonviolenza continuano a fiorire.
L’asfalto è tremendo, copre tutto. Ma ad un seme basta una sola goccia d’acqua per cominciare a germogliare e a mettere radici. Con pazienza. Se poi il germoglio morirà, altri semi verranno, e sarà una prateria.
[1] Cf. https://www.settimananews.it/religioni/preghiera-delle-madri/
[2] L’appello può essere sottoscritto online da chiunque (https://www.womenwagepeace.org.il/en/mothers-call/). Si può leggere il testo in italiano sul sito di Azione nonviolenta (https://www.azionenonviolenta.it/le-donne-fanno-la-pace-in-israele-e-palestina/)
(fonte: Settimana News, articolo di Anita Prati 2 aprile 2024)