Il Papa: il clima è impazzito,
con i soldi delle armi creare un Fondo contro fame e povertà
Il cardinale Parolin pronuncia il discorso di Francesco alla Cop28 di Dubai, in cui il Pontefice chiede ai leader del mondo di superare “divisioni” e “tifoserie” per procedere a un’azione comune contro la devastazione del Creato, “offesa a Dio”, e per frenare "deliri di onnipotenza" e "avidità senza limiti": “L’ora è urgente. La storia vi sarà riconoscente”. Sfata poi il tabù delle nascite e dei poveri come responsabili della crisi in atto e auspica: “Il 2024 sia anno di svolta”
Occhi aperti verso il futuro della terra e della sua popolazione che vedono minacciata la loro stessa esistenza; orecchie tese per ascoltare il “grido” dei poveri, vittime e non responsabili della crisi climatica in atto; mani e braccia impegnate per contrastare quella “avidità senza limiti, che ha fatto dell’ambiente l’oggetto di uno sfruttamento sfrenato”; la mente libera da “tifoserie” tra catastrofisti e negazionisti e concentrata a elaborare progetti e iniziative che promuovano la “cultura della vita”. Come quella di un Fondo mondiale per eliminare la fame, costituito con il denaro impiegato per armi e spese militari. Papa Francesco non è presente fisicamente alla Cop28, ma il suo messaggio - di denuncia e di speranza - risuona efficacemente alla Expo City, dove gli oltre 190 capi di Stato e di governo sono riuniti nel terzo giorno di lavori.
L'ora è urgente
È il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, alla guida della delegazione della Santa Sede alla Conferenza Onu, a leggere le parole che Francesco - impossibilitato a viaggiare a causa della bronchite acuta che l’ha colpito la scorsa settimana - avrebbe voluto pronunciare nel consesso internazionale. Consesso che auspica possa essere “un punto di svolta”. Perché “l’ora è urgente”, afferma il Pontefice.
Il clima impazzito suona come un avvertimento a fermare tale delirio di onnipotenza
Il cardinale Parolin alla Cop28
Devastazione del Creato, offesa a Dio
Francesco si pone in prima linea insieme ai leader delle nazioni in questa sfida: “Sono con voi perché, ora come mai, il futuro di tutti dipende dal presente che scegliamo. Sono con voi perché la devastazione del creato è un’offesa a Dio, un peccato non solo personale ma strutturale che si riversa sull’essere umano, soprattutto sui più deboli, un grave pericolo che incombe su ciascuno e che rischia di scatenare un conflitto tra le generazioni”.
Multilateralismo
La via d’uscita è solo una: “La via dell’insieme, il multilateralismo”. Multilateralismo che va raffreddandosi mentre il pianeta si surriscalda. “È essenziale ricostruire la fiducia, fondamento del multilateralismo”, auspica il Papa, citando Giovanni Paolo II nel suo discorso all’Onu del 1995. Ciò vale per la cura del creato così come per la pace.
“Quante energie sta disperdendo l’umanità nelle tante guerre in corso, come in Israele e in Palestina, in Ucraina e in molte regioni del mondo: conflitti che non risolveranno i problemi, ma li aumenteranno!”, è l’amara constatazione del Papa.
Quante risorse sprecate negli armamenti, che distruggono vite e rovinano la casa comune!
Un fondo per sradicare la fame
Il Papa allora richiama un altro Papa suo predecessore, Paolo VI, per rilanciare la proposta della Populorum Progressio: “Con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame”.
Per andare avanti serve “un cambiamento politico”, aggiunge Francesco. “Usciamo dalle strettoie dei particolarismi e dei nazionalismi, sono schemi del passato”, è il suo invito, “abbracciamo una visione alternativa, comune”, perché “non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali”.
I lavori della Cop28
Lavorare per la vita, non per la morte
Al momento l'unico cambiamento a cui si assiste è quello climatico, rimarca il Papa. Esso è “un problema sociale globale che è intimamente legato alla dignità della vita umana”. “Lavoriamo per una cultura della vita o della morte?”, domanda il Vescovo di Roma.
Scegliamo la vita, scegliamo il futuro! Ascoltiamo il gemere della terra, prestiamo ascolto al grido dei poveri, tendiamo l’orecchio alle speranze dei giovani e ai sogni dei bambini! Abbiamo una grande responsabilità: garantire che il loro futuro non sia negato.
Sfruttamento, avidità, deliri di onnipotenza
Il Papa entra nei gangli della emergenza climatica in atto, parla quindi del “surriscaldamento del pianeta”, causato dei gas serra nell’atmosfera, provocato a sua volta dall’attività umana divenuta negli ultimi decenni “insostenibile per l’ecosistema”. Stigmatizza, il Pontefice, “l’ambizione di produrre e possedere” che si è trasformata in “ossessione”, in “avidità senza limiti”, “sfruttamento sfrenato”, “delirio di onnipotenza”. Il Papa esorta a superare le divisioni, primo ostacolo a questo percorso.
Un mondo tutto connesso, come quello odierno, non può essere scollegato in chi lo governa, con i negoziati internazionali che non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale.
“Assistiamo - sottolinea il Pontefice - a posizioni rigide se non inflessibili, che tendono a tutelare i ricavi propri e delle proprie aziende, talvolta giustificandosi in base a quanto fatto da altri in passato, con periodici rimpalli di responsabilità”.
Non scaricare la responsabilità su poveri e nascite
In tal senso, Jorge Mario Bergoglio si dice colpito dai tentativi di “scaricare le responsabilità sui tanti poveri e sul numero delle nascite”. “Sono tabù da sfatare con fermezza”, afferma chiaramente.
Non è colpa dei poveri, perché la quasi metà del mondo, più indigente, è responsabile di appena il 10% delle emissioni inquinanti, mentre il divario tra i pochi agiati e i molti disagiati non è mai stato così abissale.
Le “popolazioni indigene” sono quindi delle “vittime” e tutto intorno ci sono deforestazione, fame, insicurezza idrica e alimentare, flussi migratori indotti. “Le nascite non sono un problema, ma una risorsa: non sono contro la vita, ma per la vita, mentre certi modelli ideologici e utilitaristi che vengono imposti con guanti di velluto a famiglie e popolazioni rappresentano vere e proprie colonizzazioni”, afferma Papa Francesco.
Il segretario di Stato alla guida della delegazione della Santa Sede alla Cop28
Rimettere i debiti che pesano sui popoli
Chiede allora che “non venga penalizzato lo sviluppo di tanti Paesi, già gravati di onerosi debiti economici” e “si consideri piuttosto l’incidenza di poche nazioni, responsabili di un preoccupante debito ecologico nei confronti di tante altre”.
Sarebbe giusto individuare modalità adeguate per rimettere i debiti finanziari che pesano su diversi popoli anche alla luce del debito ecologico nei loro riguardi.
Rilanciare il cammino
L’augurio è, dunque, che il “cambio di passo” tanto predicato “non sia una parziale modifica della rotta, ma un modo nuovo di procedere insieme”. Se l’Accordo di Parigi ha segnato “un nuovo inizio”, bisogna ora “rilanciare il cammino”.
Questa Cop sia un punto di svolta: manifesti una volontà politica chiara e tangibile, che porti a una decisa accelerazione della transizione ecologica
Andare avanti, non dietro
All’auspicio il Papa accompagna indicazioni pratiche per la sua concretizzazione: efficienza energetica; fonti rinnovabili; eliminazione dei combustibili fossili; educazione a stili di vita meno dipendenti da questi ultimi. “Per favore: andiamo avanti, non torniamo indietro”, chiosa. “È noto – aggiunge - che vari accordi e impegni assunti hanno avuto un basso livello di attuazione perché non si sono stabiliti adeguati meccanismi di controllo, di verifica periodica e di sanzione delle inadempienze”. Ma tanto è cambiato in questi anni e “qui si tratta di non rimandare più, di attuare, non solo di auspicare, il bene dei vostri figli, dei vostri cittadini, dei vostri Paesi, del nostro mondo”.
Siate voi gli artefici di una politica che dia risposte concrete e coese, dimostrando la nobiltà del ruolo che ricoprite, la dignità del servizio che svolgete.
Il potere per servire
A questo serve il potere: “A servire”. “E a nulla giova conservare oggi un’autorità che domani sarà ricordata per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario”, ammonisce Papa Francesco.
“La storia – assicura - ve ne sarà riconoscente. E anche le società nelle quali vivete, al cui interno vi è una nefasta divisione in ‘tifoserie’: tra catastrofisti e indifferenti, tra ambientalisti radicali e negazionisti climatici... È inutile - osserva - entrare negli schieramenti; in questo caso, come nella causa della pace, ciò non porta ad alcun rimedio”. Il rimedio è solo “la buona politica”.
Uscire dalla notte di guerre e devastazioni
Citando il santo Poverello che ne ha ispirato il nome e la missione, San Francesco d’Assisi autore del Cantico delle Creature, il Papa conclude il suo messaggio con la speranza che “il 2024 segni la svolta”.
Lasciamo alle spalle le divisioni e uniamo le forze! E, con l’aiuto di Dio, usciamo dalla notte delle guerre e delle devastazioni ambientali per trasformare l’avvenire comune in un’alba di luce.
Il logo della Cop28 di Dubai
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 02/12/2023)
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Discorso del Santo Padre preparato in occasione della Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP28), che ha luogo dal 30 novembre al 12 dicembre 2023 presso Expo City, a Dubai, e di cui è stata data lettura dal Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin.
DISCORSO DEL SANTO PADRE
alla Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro
delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 28)
Expo City (Dubai)
Sabato, 2 dicembre 2023
Signor Presidente,
Signor Segretario Generale delle Nazioni Unite,
illustri Capi di Stato e di Governo,
Signore e Signori!
Purtroppo non posso essere insieme a voi, come avrei desiderato, ma sono con voi perché l’ora è urgente. Sono con voi perché, ora come mai, il futuro di tutti dipende dal presente che scegliamo. Sono con voi perché la devastazione del creato è un’offesa a Dio, un peccato non solo personale ma strutturale che si riversa sull’essere umano, soprattutto sui più deboli, un grave pericolo che incombe su ciascuno e che rischia di scatenare un conflitto tra le generazioni. Sono con voi perché il cambiamento climatico è «un problema sociale globale che è intimamente legato alla dignità della vita umana» (Esort. ap. Laudate Deum, 3). Sono con voi per porre la domanda a cui siamo chiamati a rispondere ora: lavoriamo per una cultura della vita o della morte? Vi chiedo, in modo accorato: scegliamo la vita, scegliamo il futuro! Ascoltiamo il gemere della terra, prestiamo ascolto al grido dei poveri, tendiamo l’orecchio alle speranze dei giovani e ai sogni dei bambini! Abbiamo una grande responsabilità: garantire che il loro futuro non sia negato.
È acclarato che i cambiamenti climatici in atto derivano dal surriscaldamento del pianeta, causato principalmente dall’aumento dei gas serra nell’atmosfera, provocato a sua volta dall’attività umana, che negli ultimi decenni è diventata insostenibile per l’ecosistema. L’ambizione di produrre e possedere si è trasformata in ossessione ed è sfociata in un’avidità senza limiti, che ha fatto dell’ambiente l’oggetto di uno sfruttamento sfrenato. Il clima impazzito suona come un avvertimento a fermare tale delirio di onnipotenza. Torniamo a riconoscere con umiltà e coraggio il nostro limite quale unica via per vivere in pienezza.
Che cosa ostacola questo percorso? Le divisioni che ci sono tra noi. Ma un mondo tutto connesso, come quello odierno, non può essere scollegato in chi lo governa, con i negoziati internazionali che «non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale» (Lett. enc. Laudato sì’, 169). Assistiamo a posizioni rigide se non inflessibili, che tendono a tutelare i ricavi propri e delle proprie aziende, talvolta giustificandosi in base a quanto fatto da altri in passato, con periodici rimpalli di responsabilità. Ma il compito a cui siamo chiamati oggi non è nei confronti di ieri, ma nei riguardi di domani; di un domani che, volenti o nolenti, o sarà di tutti o non sarà.
Colpiscono, in particolare, i tentativi di scaricare le responsabilità sui tanti poveri e sul numero delle nascite. Sono tabù da sfatare con fermezza. Non è colpa dei poveri, perché la quasi metà del mondo, più indigente, è responsabile di appena il 10% delle emissioni inquinanti, mentre il divario tra i pochi agiati e i molti disagiati non è mai stato così abissale. Questi sono in realtà le vittime di quanto accade: pensiamo alle popolazioni indigene, alla deforestazione, al dramma della fame, dell’insicurezza idrica e alimentare, ai flussi migratori indotti. E le nascite non sono un problema, ma una risorsa: non sono contro la vita, ma per la vita, mentre certi modelli ideologici e utilitaristi che vengono imposti con guanti di velluto a famiglie e popolazioni rappresentano vere e proprie colonizzazioni. Non venga penalizzato lo sviluppo di tanti Paesi, già gravati di onerosi debiti economici; si consideri piuttosto l’incidenza di poche nazioni, responsabili di un preoccupante debito ecologico nei confronti di tante altre (cfr ivi, 51-52). Sarebbe giusto individuare modalità adeguate per rimettere i debiti finanziari che pesano su diversi popoli anche alla luce del debito ecologico nei loro riguardi.
Signore e Signori, mi permetto di rivolgermi a voi, in nome della casa comune che abitiamo, come a fratelli e sorelle, per porci l’interrogativo: qual è la via d’uscita? Quella che state percorrendo in questi giorni: la via dell’insieme, il multilateralismo. Infatti, «il mondo sta diventando così multipolare e allo stesso tempo così complesso che è necessario un quadro diverso per una cooperazione efficace. Non basta pensare agli equilibri di potere […]. Si tratta di stabilire regole universali ed efficienti» (Laudate Deum, 42). È preoccupante in tal senso che il riscaldamento del pianeta si accompagni a un generale raffreddamento del multilateralismo, a una crescente sfiducia nella Comunità internazionale, a una perdita della «comune coscienza di essere […] una famiglia di nazioni» (S. Giovanni Paolo II, Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50° di fondazione, New York, 5 ottobre 1995, 14). È essenziale ricostruire la fiducia, fondamento del multilateralismo.
Ciò vale per la cura del creato così come per la pace: sono le tematiche più urgenti e sono collegate. Quante energie sta disperdendo l’umanità nelle tante guerre in corso, come in Israele e in Palestina, in Ucraina e in molte regioni del mondo: conflitti che non risolveranno i problemi, ma li aumenteranno! Quante risorse sprecate negli armamenti, che distruggono vite e rovinano la casa comune! Rilancio una proposta: «con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame» (Lett. enc. Fratelli tutti, 262; cfr S. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 51) e realizzare attività che promuovano lo sviluppo sostenibile dei Paesi più poveri, contrastando il cambiamento climatico.
È compito di questa generazione prestare orecchio ai popoli, ai giovani e ai bambini per porre le fondamenta di un nuovo multilateralismo. Perché non iniziare proprio dalla casa comune? I cambiamenti climatici segnalano la necessità di un cambiamento politico. Usciamo dalle strettoie dei particolarismi e dei nazionalismi, sono schemi del passato. Abbracciamo una visione alternativa, comune: essa permetterà una conversione ecologica, perché «non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali» (Laudate Deum, 70). Assicuro in questo l’impegno e il sostegno della Chiesa cattolica, attiva in particolare nell’educazione e nel sensibilizzare alla partecipazione comune, così come nella promozione degli stili di vita, perché la responsabilità è di tutti e quella di ciascuno è fondamentale.
Sorelle e fratelli, è essenziale un cambio di passo che non sia una parziale modifica della rotta, ma un modo nuovo di procedere insieme. Se nella strada della lotta al cambiamento climatico, che si è aperta a Rio de Janeiro nel 1992, l’Accordo di Parigi ha segnato «un nuovo inizio» (ivi, 47), bisogna ora rilanciare il cammino. Occorre dare un segno di speranza concreto. Questa COP sia un punto di svolta: manifesti una volontà politica chiara e tangibile, che porti a una decisa accelerazione della transizione ecologica, attraverso forme che abbiano tre caratteristiche: siano «efficienti, vincolanti e facilmente monitorabili» (ivi, 59). E trovino realizzazione in quattro campi: l’efficienza energetica; le fonti rinnovabili; l’eliminazione dei combustibili fossili; l’educazione a stili di vita meno dipendenti da questi ultimi.
Per favore: andiamo avanti, non torniamo indietro. È noto che vari accordi e impegni assunti «hanno avuto un basso livello di attuazione perché non si sono stabiliti adeguati meccanismi di controllo, di verifica periodica e di sanzione delle inadempienze» (Laudato si’, 167). Qui si tratta di non rimandare più, di attuare, non solo di auspicare, il bene dei vostri figli, dei vostri cittadini, dei vostri Paesi, del nostro mondo. Siate voi gli artefici di una politica che dia risposte concrete e coese, dimostrando la nobiltà del ruolo che ricoprite, la dignità del servizio che svolgete. Perché a questo serve il potere, a servire. E a nulla giova conservare oggi un’autorità che domani sarà ricordata per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario (cfr ivi, 57). La storia ve ne sarà riconoscente. E anche le società nelle quali vivete, al cui interno vi è una nefasta divisione in “tifoserie”: tra catastrofisti e indifferenti, tra ambientalisti radicali e negazionisti climatici... È inutile entrare negli schieramenti; in questo caso, come nella causa della pace, ciò non porta ad alcun rimedio. È la buona politica il rimedio: se un esempio di concretezza e coesione verrà dal vertice, ne beneficerà la base, laddove tantissimi, specialmente giovani, già s’impegnano a promuovere la cura della casa comune.
Il 2024 segni la svolta. Vorrei che fosse d’auspicio un episodio avvenuto nel 1224. In quell’anno Francesco di Assisi compose il Cantico delle creature. Lo fece dopo una nottata trascorsa in preda al dolore fisico, ormai completamente cieco. Dopo quella notte di lotta, risollevato nell’animo da un’esperienza spirituale, volle lodare l’Altissimo per quelle creature che più non vedeva, ma che sentiva fratelli e sorelle, perché discendenti dallo stesso Padre e condivise con gli altri uomini e donne. Un ispirato senso di fraternità lo portò così a trasformare il dolore in lode e la fatica in impegno. Poco dopo aggiunse una strofa nella quale lodava Dio per coloro che perdonano, e lo fece per dirimere – con successo! – una scandalosa lite tra il Podestà del luogo e il Vescovo. Anch’io, che porto il nome di Francesco, con il tono accorato di una preghiera vorrei dirvi: lasciamo alle spalle le divisioni e uniamo le forze! E, con l’aiuto di Dio, usciamo dalla notte delle guerre e delle devastazioni ambientali per trasformare l’avvenire comune in un’alba di luce. Grazie.