NON SMETTIAMO
DI CERCARE LA PACE
O SARÀ LA “TERZA GUERRA MONDIALE”
di MATTEO MARIA ZUPPI
La prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna,
al libro di Sandro Calvani, Antonio Spadaro e Marco Tarquinio “Combattere la guerra” (ed in Dialogo), con il contributo di mons Mario Delpini, arcivescovo di Milano.
La generazione che era nata dalle ceneri (milioni di morti, milioni; persone, non numeri) della Seconda guerra mondiale si interrogava sul come fosse stato possibile e su quando l’uomo finalmente avrebbe potuto vivere senza uccidere suo fratello e quindi perdersi. È una domanda attuale, lacerante, che scaturisce da lezioni terribili di dolore. Dimenticare la sofferenza vuol dire condannarsi a riviverla. Dobbiamo trasformarla in saggezza, cioè in sistemi neutrali, sovranazionali e condivisi indispensabili perché altri non siano condannati a riviverla.
Ecco perché è importante non smettere mai di ragionare sulla pace e costruirla con la testimonianza personale che deve diventare intelligenza dell’amore.
Nell’enciclica Fratelli tutti, papa Francesco parla di «amore politico». Indica alcuni esempi, come non dare soltanto qualche denaro a chi chiede aiuto perché non ha niente, ma di cercargli lavoro. Ecco cosa chiede questo «amore politico» agli artigiani di pace, come tutti i cristiani sono chiamati ad essere! Non è «amore politico» anche una diplomazia che mai taglia ma sempre cuce, che non esclude mai nessuno, non considera mai niente e nessuno come definitivamente perduto nei rapporti tra nazioni, popoli e Stati? Questo è il nocciolo di fondo e questa è la radice fondamentale della pace possibile. E una diplomazia così può compiere davvero i miracoli di fermare le guerre.
I «pezzi» della «Terza guerra mondiale» (per riprendere le parole di papa Francesco) rischiano di diventare in maniera evidente un unico grande conflitto. L’avvertimento del Papa di non farsi ingannare pensando che tanto è solo un pezzo isolato di guerra, quindi facilmente contenibile, a bassa intensità, che non riguarda tutti tanto da potere andare avanti per decenni (le guerre sembra non trovino più soluzioni, si eternizzano), non è stato preso sul serio. Ci confrontiamo con un pezzo che in maniera drammatica mostra la guerra mondiale, il coinvolgimento di tutti. Ecco perché bisogna vincere la pace in Ucraina, perché dobbiamo credere che può essere anche il contrario, che cioè diventi il primo pezzo di una pace nei tanti pezzi di guerra. Perché la guerra è una pandemia. Non solo per i cristiani, perché è un loro fratello che è in pericolo. «Chiesa come ospedale da campo», o meglio Chiesa che non se ne sta in disparte ma è coinvolta pienamente nel grande ospedale da campo cui è ridotto il mondo. Con questo dobbiamo misurarci, ricordando che in realtà siamo tutti dei sopravvissuti della Seconda guerra mondiale. La terza sarebbe l’ultima. Se la stiamo già vivendo, come non preoccuparci? Dobbiamo aspettare il punto di non ritorno?
I trattati e gli accordi tra le nazioni sono stati elaborati proprio dopo grandi battaglie. Il primo trattato internazionale che si è occupato di regolare come lavorare insieme non è stato quello delle Nazioni Unite, ma quello della Croce Rossa Internazionale, e la Croce Rossa Internazionale era stata creata per occuparsi dei morti e dei feriti dopo la battaglia. Guerra e pace, che poi significa bene e male. Essi si intrecciano e si confondono con le ragioni, la storia, le sedimentazioni umane, con quella trasmissione di giudizi che fanno crescere le divisioni e finiscono per armare i cuori e poi le menti. Questo richiede un’indispensabile visione spirituale che si nutre di un profondo senso della catastrofe possibile.
Combattere per la pace è anche combattere le armi: se consideriamo il commercio delle armi, constatiamo che dai 1980 miliardi del 2020 si è poi superata per la prima volta la cifra di 2000 miliardi di dollari. È vero: all’umanità la parola «pace» non provoca delle scelte chiare, senza compromessi. Non sappiamo più «andare incontro all’altro come ad un incontro desiderato». La riabilitazione è l’impegno di ognuno ad essere artigiani di pace. L’ecologia umana del mondo richiede tanta riabilitazione, che è personale ma è anche delle nostre relazioni. «Resto infatti convinto che questo azzardo di credere alla pace, nonostante tutti dicano che il vocabolario ordinario sia aggressivo e depressivo, questo essere artigiani di pace, essere gente che crede in Dio e perciò prega, essere gente che crede nell’uomo e perciò serve, è l’impegno che noi dobbiamo assumerci. La guerra non si risolve con un’improvvisa illuminazione, ma con questa dedizione di operatori di pace che dal basso, dall’alto e da ogni dove convergono per invocare il Dio della pace e per farsi carico di questa riabilitazione dell’umanità», scrive monsignor Delpini. Lo dobbiamo a quei tanti che sono morti senza sapere il perché, senza credere che sarebbero morti, ripudiando la guerra, sognando solo la loro casa e la pace.
(Pubblicato su La Stampa - 2 luglio 2023)