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sabato 29 luglio 2023

Dieci anni senza padre Paolo Dall’Oglio

Tiziana Volta
Dieci anni senza Abuna Paolo

Padre Paolo Dall'Oglio presso Sala Matteo Ricci-Centro San Fedele (Mi), 30/5/2012 (Foto di Amin Othman)

Sembra ieri eppure sono trascorsi dieci anni, 120 mesi, 40 stagioni, dai nostri ultimi messaggi… miei e di Abuna Paolo (Padre Paolo Dall’Oglio). Luglio 2013, ero a Trieste, preoccupata per lo stato di salute di Edvino (Ugolini, un sensibile poeta della Pace). Paolo era in Kurdistan durante il Ramadan. Pensando al caro amico molto sofferente mi suggerì i versi de “La Carità” di San Paolo concludendo il suo scritto con “Siamo impastati di eternità e messi a cuocere nel forno del tempo per essere cotti dal fuoco dell’Amore”. Poi fu il silenzio tra di noi!

Ho iniziato a seguire progetti di pace dopo essermi innamorata di due parole “Pace e Nonviolenza”. Il mio territorio di azione il bresciano, parte delle mie origini. Qui esiste un aeroporto militare dove si presuppone ci siano 20 testate atomiche. Andando lì per la prima edizione della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza (2/10/2009-2/1/2010) ho scoperto che all’interno del giardino del Museo di Santa Giulia a Brescia cresce un Hibakujumoku di Nagasaki, il figlio di un caco sopravvissuto all’attacco atomico del 9 agosto 1945. Grazie alle cure del dottor Masayuki Ebinuma (dottore degli alberi) sono nati dei frutti i cui semi hanno donato le prime pianticelle adottate dai bambini delle scuole primarie in Giappone. Grazie all’artista Tatsuo Miyajima che ha raccontato questa storia di rinascita di vita durante la Biennale a Venezia del 1999 il Kaki Tree Project si è diffuso in tutta Italia, soprattutto nella provincia di Brescia. Nel giugno del 2012, presa dall’entusiasmo di essere riusciti a far arrivare un caco di Nagasaki al Giardino della Pace e della Speranza a Kabul (Afganistan), ma soprattutto dalle drammatiche notizie che iniziavano ad arrivare dalla Siria, mi misi “in cammino” per cercare di far anche arrivare lì un Albero della Pace. E’ stato così che sono entrata in contatto con Padre Paolo Dall’Oglio e la comunità monastica Deir Mar Musa (San Mosè l’Abissino). In quel momento era appena stato espulso dopo trent’anni dalla Siria per essersi apertamente schierato contro il governo di Assad.

Iniziò tra di noi un'intensa corrispondenza che si interruppe con il suo rapimento. Paolo mi raccontò il suo cammino in quel monastero vecchio di oltre 1.500 anni 1.300 metri sulle montagne che si rivolgono a Nebek. La rifondazione stabile della comunità monastica iniziò a partire dal 1991. La priorità era la riscoperta del significato assoluto e non strumentale della vita spirituale, della vita di preghiera. Sotto questo aspetto, l’antico monastero siriano costituiva un testimone forte del valore della vita spirituale nel passato della regione, ma anche del rischio di perdere tale valore. L’antica vita monastica orientale è elemento essenziale dell’anima cristiana ed anche del mondo culturale, simbolico e mistico dell’Islam. La comunità di Deir Mar Musa era quindi prima di tutto una comunità di silenzio e di preghiera, tanto nella vita personale dei monaci e delle monache che nella loro vita sociale. Bisognava quindi elaborare una vita di semplicità evangelica in responsabile armonia con il creato e la società circostante, e comportante la riscoperta del significato dell’attività manuale e del valore del corpo e delle cose, in un’estetica della giustizia e della gratuità. E poi l’ospitalità, quella abramitica (un’attività sacra degli antichi monaci, sulla base d’un valore sempre ritenuto divino in questa regione). Il monastero, dunque, inteso come luogo d’incontro, nell’approfondimento, non nell’oblio, delle specificità identitarie, tuttavia non in vista della chiusura ma, al contrario, nell’emancipazione da una cultura della separazione, per elaborare invece, gradualmente, una cultura della comunione. Questo implicava pure che la comunità cristiana di Deir Mar Musa viva una forte sottolineatura della dimensione ecumenica, cioè di comunione e di unità fra le Chiese, senza perdere nulla della specificità siriaca ed anche siro-cattolica del monastero stesso. L’orizzonte è quello della relazione islamo-cristiana con la scelta della lingua araba come lingua nella vita sociale e liturgica della comunità. Dunque, una sosta nel «cammino di Abramo».

Nel suo viaggiare tra le due estati del 2012-2013 Paolo mi disse “Aspettiamo fiduciosi… ormai la dimensione della tragedia atomica comincia a essere la stessa della tragedia siriana. Quindi la resurrezione giapponese ci parla”, la rinascita di vita testimoniata dal kako di Nagasaki che aspetta di raggiungere (finalmente) la sua destinazione (Deir Mar Musa).

Sabato 29 luglio, a esattamente dieci anni dal suo rapimento in Siria, ci sarà alle 17.00 presso la Chiesa di Sant’Ignazio a Roma la presentazione del libro “Il mio testamento”, pubblicato da ITL Libri (con il marchio Centro Ambrosiano). Il volume racchiude le conferenze inedite tenute da Padre Dall’Oglio nei mesi prima della sua espulsione dalla Siria. Un’opera che svela una visione aperta a nuovi orizzonti di ecumenismo, di fraternità e dialogo con l’Islam. Temi cari anche a Papa Francesco, che ne firma la prefazione.

L’evento sarà scandito da interventi di testimoni autorevoli che l’hanno conosciuto da vicino, come padre Jihad Youssef (superiore della Comunità monastica Deir Mar Musa), Adib al-Khoury, direttore casa editrice Comunità Deir Mar Musa, Elena Bolognesi, redattrice e traduttrice del testo, e Giovanni Dall’Oglio, fratello di padre Paolo, che interverrà a nome della famiglia.
(fonte: Pressenza 27.07.23)

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Riccardo Cristiano
Papa Francesco ricorda Dall’Oglio, 
per sconfiggere chi lo vuole rimuovere 


Padre Dall’Oglio fu rapito in Siria il 29 luglio 2013. E proprio nell’approssimarsi di questa data è stato reso noto il testo della prefazione scritta da papa Francesco al volume “Il mio testamento”, che raccoglie quanto detto da padre Paolo sulla regola della comunità che fondò, la Comunità di Mar Musa

A pochi giorni dall’anniversario del suo sequestro in Siria, a Raqqa, il 29 luglio 2013, è stato reso noto il testo della prefazione scritta da papa Francesco al volume “Il mio testamento” (edito dal Centro Ambrosiano), che raccoglie quanto detto da padre Paolo sulla regola della comunità che fondò, la Comunità di Mar Musa. Il testo è noto da ieri, ma è importante tornare sul suo valore più autentico proprio oggi, che segna un altro decennale, quello del viaggio di Francesco a Lampedusa, isola che riassume in sé il sogno e il destino di un popolo, espulso da Assad e sequestrato dall’Isis, proprio come Dall’Oglio. Va sempre ricordato che prima del suo sequestro, nel 2013, per mano dell’Isis, il gesuita romano fu espulso dal regime di Assad, nel 2012. Ma torniamo alla prefazione del papa.


Francesco aveva già parlato del suo confratello dopo il sequestro, definendolo uno stimato religioso, chiedendone il rilascio e notizie, che mai sono giunte. Ora è di nuovo lui a tornare a parlarne e questo è molto interessante e importante. Interessante perché tocca di nuovo a Francesco rompere uno strano silenzio, al quale possiamo trovare significativa eccezione nella voce del nunzio apostolico in Siria, monsignor Mario Zenari. Se come molto purtroppo fa presumere, fosse morto, si tratterebbe certamente di un martire della fede, trascurato però da molti. Come è toccato ad altri religiosi, come ad esempio a monsignor Romero. Qui ovviamente non c’è una diretta analogia, perché nel caso di Dall’Oglio non c’è, come detto, la prova del martirio, ma una scelta sapiente da parte di qualcuno, di rimuoverlo complice il silenzio che segue sempre la mancanza di certezze sul destino di persone sparite. Dunque è di nuovo di lui, Francesco, a rompere il muro di silenzio, di oblio, imposto dai suoi sequestratori e dai loro possibili complici, che sin qui hanno accuratamente evitato che filtrasse qualsiasi voce sul suo destino.

Sì, Dall’Oglio è scomodo da vivo come da morto e solo la sua rimozione, vivo o morto che sia, soddisfa i responsabili del sequestro. Nel caso dei jihadisti perché direbbero a tanti musulmani siriani (e non solo) che lo amano e lo hanno amato, che loro hanno ucciso un cristiano che crede in Gesù, ma ama l’Islam, come recita il titolo del suo libro più importante. Così le sue domande si infittiscono: è morto subito? E’ la cosa più comoda da dire, perché celerebbe che magari è successo qualcosa, che le cose potevano andare diversamente. Forse è vero, ma forse è falso. Di certo questo dubbio facilita la sua rimozione. E questo è il primo, grande merito del testo scritto dal papa a prefazione del volume ormai di imminente pubblicazione, sarà in libreria da martedì. Ed è questo che rende il testo del Papa importante.

Quella di padre Paolo infatti è una lezione e una storia, una visione e una denuncia, che non può essere addomesticata. Non può essere ricondotta nell’alveo di una visione che non sceglie, non vede, traccheggia. No. Questo con l’autore de “Il mio testamento” non è possibile. Come ha fatto recentemente la rivista dei suoi confratelli, La Civiltà Cattolica, anche lui avrebbe scritto oggi, se avesse potuto, che “l’apparato di sicurezza siriano in questi anni ha catturato decine di migliaia di dissidenti politici, che non erano terroristi. Tutto questo è stato portato avanti metodicamente con l’aiuto degli alleati iraniani e, a partire dal 2015, dei russi, che in Siria hanno sperimentato i metodi di guerra più distruttivi”. Ecco dove sta l’importanza della prefazione del papa: chi lo diceva già allora, quando accadeva o stava per accadere, non è andato fuori dalla righe, non si è sbilanciato.

Di questo ovviamente il testo non parla, ma che nell’introduzione si ricordino orribili abusi da parte di ecclesiastici siriani e maneggi economici ha rilievo. Si legge nel volume, a firma di padre Jihad Youssef con riferimento a Dall’Oglio: “Aveva lottato senza risparmi contro la corruzione generata dal maneggio di denaro ma anche contro quella generata dal sesso in ambito religioso, che ha portato a compiere abusi, anche contro minori, oppure a coprirli e a non denunciarli. E sulle sue spalle ha dovuto sopportare le conseguenze di questa lotta”.

Ecco allora che la prefazione del Papa diventa più importante di quello che potrebbe apparire, non basta leggere il testo, bellissimo e dolcissimo verso il confratello inghiottito nel buio siriano nel quale il potere ha fatto quanto qui abbiamo fugacemente ricordato. No, come sempre il testo va letto nel suo contesto. E il contesto è quello di dare voce ai siriani, ai loro patimenti che durano dal tempo del golpe baathista e che non si risolvono in essi. Allora si capisce bene cosa dica Francesco quando scrive commentando il doloroso mistero che ancora avvolge il suo destino: “sappiamo però ciò che lui non avrebbe desiderato: incolpare della sua misteriosa e drammatica scomparsa l’Islam in quanto tale: rinunciare a quel dialogo appassionato in cui lui ha sempre creduto…”.

Sì, Francesco ha ragione, ed è importante riflettere sui motivi per cui questo impegno appassionato, cocciuto, sicuro ma anche aperto, riecheggi così poco nel suo Paese di nascita, l’Italia, al di là delle parole del papa, anche a pochi giorni dal decimo anniversario del suo sequestro. Forse la non addomesticabilità di Dall’Oglio continua a penalizzarlo nonostante la tragedia dei profughi siriani, milioni e milioni, cacciati col forcone dal loro Paese, avrebbe dovuto aprirci gli occhi già da tempo.
(fonte: Formiche 08/07/2023)

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Dieci anni senza padre Paolo Dall’Oglio

In un libro il testamento spirituale del gesuita rapito in Siria il 29 luglio 2013. «Il Segno» di luglio/agosto racconta la sua eredità con le foto eccezionali di Elena Bolognesi29 Luglio 2023

Un'immagine giocosa di padre Paolo Dall'Oglio

Sono trascorsi dieci anni dal 29 luglio 2013, l’ultimo giorno in cui padre Paolo Dall’Oglio è stato visto vivo nella città di Raqqa, nel nord della Siria. Padre Jihad Youssef, monaco dal 1999, eletto nel 2021 superiore della Comunità monastica di Deir Mar Musa al-Habashi (monastero di san Mosè l’Abissino) in Siria, ricorda le sue parole: «Prima di lasciare la Siria, abuna Bulos ci ha raccomandato di non aggrapparci a niente, nemmeno a Deir Mar Musa, di scappare sui monti se fossimo stati in pericolo di vita, perché non dovevamo rischiare la vita per custodire le pietre, poiché la nostra dimora è in Dio».

Sul numero di luglio/agosto de Il Segno si approfondisce l’eredità spirituale di padre Dall’Oglio a partire dalla pubblicazione del libro Il mio testamento (Centro Ambrosiano), con prefazione di papa Francesco (questa è una sintesi dell’approfondimento di Elena Bolognesi, curatrice e traduttrice del libro e autrice dello straordinario reportage fotografico pubblicato sul mensile).
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Presentazione del libro 
«Una mano da sola non applaude. La storia di Paolo Dall'Oglio, 
letta nell'oggi» di Riccardo Cristiano (Ancora)

Registrazione video del dibattito registrato a Roma lunedì 24 luglio 2023.

Dibattito organizzato da Biblioteca Europea e Centro Astalli.
Sono intervenuti: Fiorella Virgili (responsabile della Biblioteca Europea di Roma), Lorenzo Trombetta (corrispondente dell'ANSA dal Libano e dalla Siria), Camillo Ripamonti (presidente del Centro Astalli), Lorenzo Trombetta (giornalista), Francesca Dall'Oglio, Antonio Spadaro (padre gesuita, direttore della rivista La Civiltà Cattolica), Jacques Mourad (arcivescovo di Homs), Nader Akkad (imam della Grande Moschea di Roma), Immacolata Dall'Oglio, Riccardo Cristiano (presidente dell'Associazione Giornalisti Amici di Padre Dall'Oglio).
Tra gli argomenti discussi: Algeria, Cattolicesimo, Civiltà Cattolica, Comunità Di Sant'egidio, Cristianesimo, Curdi, Dall'oglio, Decessi, Diritti Umani, Gesuiti, Giustizia, Guerra, Immigrazione, Integralismo, Integrazione, Iraq, Isis, Islam, Libano, Libro, Medio Oriente, Pace, Periodici, Religione, Rifugiati, Sacerdozio, Siria, Societa', Terrorismo Internazionale, Violenza.

Guarda o ascolta tutto o anche i singoli interventi:


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