Giustizia, Zuppi: “Non deve essere confusa
la giusta pretesa punitiva dello Stato, con la vendetta”
Il Cardinale Arcivescovo di Bologna: «È molto più pericoloso “lasciare marcire” in carcere chi ha sbagliato, piuttosto che seguire la via faticosa, ma intelligente, della rieducazione e della ricostruzione di un rapporto positivo con la società»
Il cardinale Matteo Maria Zuppi
Pubblichiamo un brano del volume «Verso Ninive. Conversazioni su pena, speranza, giustizia riparativa», libro-intervista di Paola Ziccone con il cardinale Matteo Maria Zuppi (postfazione di Adolfo Ceretti). Edito da Rubbettino, nelle librerie da oggi (pagg. 128, euro 11.40).
La giustizia ha il compito di porre rimedio al male e di combatterlo. Non deve essere confusa la giusta pretesa punitiva dello Stato, con la vendetta. Possiamo però, chiederci: “Quando la giustizia si sottomette alla logica della vendetta, è realmente in grado di vincere il male?”. Se la giustizia si limita a essere solo retributiva, rimanendo legata alla logica cieca e senza prospettive della rabbia e della violenza, non credo riesca a porre termine alla spirale del male, sia dal punto di vista di chi commina la pena sia di chi la subisce. Solo l’uscita dall’idea della restituzione del male ricevuto, fa sì che la giustizia si apra alla speranza e diventi capace di aprire prospettive di futuro e di rinnovamento. La giustizia, infatti, penso che trovi il suo compimento solo se è in grado di ridare a tutti, sia alla vittima sia al reo sia alla società stessa, la possibilità di un futuro, di una ripartenza, di un cambiamento. Se la giustizia si limita alla logica della vendetta, diventa fine a se stessa e rischia di generare un movimento senza fine che, non estinguendo mai la rabbia e la violenza, permette che il male continui ad agire e a produrre le sue conseguenze.
Se perdiamo il patrimonio della storia del diritto che ha caratterizzato l’Italia e se, di conseguenza, scegliamo anche nell’uso della semantica, peggio se da parte di chi rappresenta le istituzioni, una giustizia solo punitiva – e dunque incapace di offrire speranza e possibilità di riconciliazione della persona con la società e con gli altri – è evidente che questo provocherà un aumento di rabbia. Se la giustizia si risolvesse semplicemente con il contenimento e la privazione, è ovvio che nessuna persona potrebbe mai sopportare di essere solo contenuta, senza alcuna prospettiva ulteriore per il proprio futuro. Inoltre, bisogna tenere presente che una tale gestione della giustizia, genera una conseguenza ancora peggiore, cioè far nascere l’idea disumana e illusoria che sia possibile costruire un mondo in cui vengono buttati via ed eliminati tutti quelli che hanno sbagliato. In merito, occorre ricordare che è molto più pericoloso e meno sicuro “buttare via la chiave” della cella e “lasciare marcire” in carcere chi ha sbagliato, piuttosto che seguire la via faticosa, ma intelligente, della rieducazione e della ricostruzione di un rapporto positivo con gli altri e con la società. Non possiamo non notare che c’è molta, anzi, troppa sofferenza nelle carceri. Gli spazi di lavoro e gli investimenti per aiutare il reinserimento dei detenuti sono ancora largamente insufficienti e questo genera tanta disperazione. I problemi delle cure psichiatriche in carcere sono, ad esempio, un problema ancora da affrontare con mezzi adeguati. Il tasso di affollamento del 120% rischia di farci tornare presto alla situazione per cui Strasburgo ha condannato l’Italia. E poi come non ricordare la tragedia dei suicidi, con un tasso di 11,4 episodi ogni 10 mila detenuti. In carcere ci si uccide quasi 18 volte di più che in libertà. Insomma dobbiamo vigilare e garantire la salute in carcere, diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione: ammalarsi in carcere è una disgrazia.
La giustizia retributiva, che ha come norma solo il castigo, si realizza comminando, in modo quasi automatico, a ogni reato, la punizione corrispondente. Ma la giustizia non è un semplice automatismo, tanto che, nella tradizione giuridica, c’è sempre stata, giustamente, anche una moderazione e personalizzazione della pena, derivante dall’esame dei tanti fattori che portano alla definizione di una punizione e che tengono presenti anche gli aspetti legati alla storia personale e sociale di ogni singola persona.
Del resto, è più facile propagandare un ideale di giustizia “forcaiola” e incentrata sull’idea del castigo e della paura, piuttosto che parlare di futuro e di speranza per i detenuti. In questo modo, però, non si costruisce una giustizia vera.
C’è un itinerario faticoso che permette di uscire da questa situazione, ed è quello della giustizia riparativa. La giustizia riparativa non è e non vuole essere assolutamente sostitutiva della pena. La giustizia riparativa è gratuita, nasce da un incontro fra due disperazioni: una che aiuta l’altra. Agnese Moro, in un incontro durante il Festival Francescano a Bologna [Piazza Maggiore, 27-09-2019], diceva che le si erano aperti gli occhi quando aveva scoperto la disperazione di Adriana Faranda. Proprio così, questo fatto l’aveva aiutata a chiudere il cerchio della propria sofferenza.
(fonte: Vatican Insider 08/07/2021)