Vaticano
9 gennaio 2018
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m.
«La doppia vita dei pastori è una ferita nella Chiesa»: ma se pure hanno perso l’autorità, che viene solo dalla «vicinanza a Dio e alla gente», non devono però mai perdere la speranza di ritrovare «coerenza» e capacità di «commuoversi». Celebrando la messa a Santa Marta, martedì 9 gennaio, Papa Francesco ha messo in guardia i pastori dal «celebrare i sacramenti meccanicamente, come un pappagallo», e dall’aprire la porta alla gente solo a orari fissi. Perché perderebbero l’autorità, appunto, e se anche predicassero la verità non potrebbero capire i problemi della gente e arrivarne al cuore.
«Nel passo del Vangelo che abbiamo ascoltato, due volte si dice la parola “autorità”» ha subito fatto presente il Pontefice, riferendosi al brano dell’evangelista Marco (1, 21-28) proposto dalla liturgia. Nella sinagoga di Cafarnao, ha infatti spiegato ripetendo le parole del Vangelo, «la gente era stupita “del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi”».
È evidente, ha proseguito Francesco, che siamo davanti a «un insegnamento nuovo, dato con autorità: “Comanda persino gli spiriti impuri e gli obbediscono!”». E «la novità di Gesù è questa autorità» ha affermato il Papa. Perché «la gente era abituata agli scribi, ai dottori della legge: loro parlavano e la gente pensava a un’altra cosa, perché quello che dicevano non arrivava al cuore». E così «parlavano lì di idee, di dottrine, anche della legge, e dicevano la verità: questo è vero, a tal punto che Gesù dice alla gente: “ascoltateli, fate quello che loro vi dicono”».
Dunque i dottori della legge «dicevano la verità, ma non arrivava al cuore: era tutto calmo, tranquillo» ha rimarcato il Papa, facendo presente che «invece l’insegnamento di Gesù provoca lo stupore», il «movimento al cuore: “Ma cosa succede?”». Così «la gente lo segue, va dietro a lui perché capisce che quello che dice quell’uomo lo dice con “autorità”».
A questo proposito però Francesco ha invitato a riflettere bene sul concetto di autorità. Infatti, ha precisato, «l’autorità non è: “io comando, tu fai”. No, è un’altra cosa, è un dono, è una coerenza». E «Gesù ha ricevuto questo dono dell’autorità: dico dono, non so se sia giusta la parola, ma lui l’ha ricevuto». Così «quando, alla fine del vangelo di Matteo, si legge l’invio degli apostoli a “missionare” il mondo, lui dice: mi è stata data ogni autorità, sul cielo e la terra. Io sono uomo di autorità. Andate, ma con questa autorità». Come a dire: andate «con questa coerenza».
«È un’autorità divina, che viene da Dio» ha affermato ancora il Papa. Perciò «quando i discepoli lo interrogano sulla data della fine del mondo, lui dice: “Nessuno lo sa, neppure il Figlio”. È un tempo che ha il Padre nella sua autorità». E «questo è quello che Gesù aveva, come pastore, e il popolo parlava di un “insegnamento nuovo”, un modo di insegnare nuovo che stupiva, arrivava al cuore. Non come gli scribi». Gesù, ha ripetuto il Papa, «insegnava con autorità: era un pastore che insegnava con autorità».
«Ma cosa facevano gli scribi?» si è chiesto il Pontefice. «Loro — ha risposto — insegnavano le cose che avevano imparato: nella scuola rabbinica, che era l’università di quel tempo, leggendo la Torah. Insegnavano la verità. Non insegnavano cose cattive: assolutamente no! Insegnavano le cose vere della legge»; ma non arrivavano alla gente «perché loro insegnavano proprio dalla cattedra e non si interessavano della gente».
«Perché quello che dà autorità — una delle cose che dà l’autorità — è la vicinanza e Gesù aveva autorità perché si avvicinava alla gente» ha sottolineato Francesco. In questo modo «lui “capiva” i problemi della gente, capiva i dolori della gente, capiva i peccati della gente». Ad esempio, ha spiegato il Papa, Gesù «capì bene che quel paralitico alla piscina di Betsaida era un peccatore» e «dopo averlo guarito cosa gli disse? “Non peccare più”. Lo stesso dice all’adultera».
Il Signore poteva dire queste parole, ha proseguito il Pontefice, «perché era vicino, capiva, accoglieva, guariva e insegnava con vicinanza». Dunque, «quello che a un pastore dà autorità, o risveglia l’autorità che è data dal Padre, è la vicinanza: vicinanza a Dio nella preghiera — un pastore che non prega, un pastore che non cerca Dio ha perso parte — e la vicinanza alla gente». È un fatto, ha aggiunto, che «il pastore staccato dalla gente non arriva alla gente con il messaggio».
Perciò, ha insistito Francesco, ci vuole «vicinanza, questa doppia vicinanza». E «questa è l’“unzione” del pastore che si commuove davanti al dono di Dio nella preghiera, e si può commuovere davanti ai peccati, al problema, alle malattie della gente: lascia commuovere il pastore».
Invece «questi scribi, questa gente non si lasciava commuovere: avevano perso quella capacità, perché non erano vicini e non erano vicini né alla gente né a Dio» ha ribadito il Papa. E «quando si perde questa vicinanza, dove finisce il pastore? Nell’incoerenza di vita». Gesù, ha fatto presente Francesco, «è chiaro in questo: “Fate quello che dicono” — dicono la verità — “ma non quello che fanno”». È la questione della «doppia vita».
«È brutto vedere pastori di doppia vita: è una ferita nella Chiesa» ha detto il Papa. È brutto vedere «i pastori ammalati, che hanno perso l’autorità e vanno avanti in questa doppia vita». Ma, ha aggiunto, «ci sono tanti modi di portare avanti la doppia vita e Gesù è molto forte con loro: non solo dice alla gente di ascoltarli ma di non fare quello che fanno. Ma a loro cosa dice? “Voi siete sepolcri imbiancati”: bellissimi nella dottrina, da fuori; ma dentro putredine». E proprio «questa è la fine del pastore che non ha vicinanza con Dio nella preghiera e con la gente nella compassione».
Forse, ha affermato il Papa, qualche pastore potrebbe riconoscere di aver «perso la vicinanza» dicendo a se stesso: «non prego; quando celebro i sacramenti lo faccio meccanicamente, come un pappagallo; la gente mi stanca; sono disponibile per la gente da tale ora a tale ora, metto il cartello alla porta; non sono vicino: ho perso tutto, Padre?”».
A questo proposito, ha confidato Francesco, «mi viene al cuore una figura biblica di un sacerdote che a me fa tenerezza: peccatore ma fa tenerezza». È la storia del «vecchio Eli», presentata nella lettura biblica tratta dal primo libro di Samuele (1, 9-20). Eli «era un debole, aveva perso la vicinanza a Dio e alla gente, e lasciava fare» ha spiegato Francesco, evidenziando che «i figli maltrattavano la gente, erano sacerdoti, portavano avanti le cose e lui lasciava ma era lì, sempre, non aveva lasciato il tempio». Un giorno Eli vede Anna pregare «e qualcosa ha attirato l’attenzione su quella donna e l’ha guardata» pensando fosse «ubriaca». Da qui il suo invito ad andare a casa per smaltire l’ubriachezza.
Ma Anna, si legge nel brano dell’Antico testamento, ha rivelato a Eli di non essere affatto ubriaca ma piuttosto «amareggiata per questo, per questo, per questo». Risponde infatti Anna: «Non considerare la tua schiava una donna perversa, poiché finora mi ha fatto parlare l’eccesso del mio dolore e della mia angoscia». E proprio «mentre lei parlava — ha fatto notare il Pontefice — lui è stato capace di avvicinarsi a quel cuore: il fuoco sacerdotale salì da sotto le ceneri di una vita mediocre, non buona, di pastore». Ed ecco, allora, che Eli risponde alla donna: «Va’ in pace e il Dio di Israele ti conceda quello che gli hai chiesto».
Dunque Eli, «che aveva perso la vicinanza con Dio e con la gente — ha proseguito il Papa — per curiosità si è avvicinato a una donna, ma poi l’ha ascoltata, si è reso conto di avere sbagliato ed è uscita dal suo cuore la benedizione e la profezia». E Francesco ha voluto riproporre l’attualità della storia di Eli: «Io dirò ai pastori che hanno vissuto la vita staccati da Dio e dal popolo, dalla gente: non perdere la speranza, sempre c’è la possibilità». Tanto che a Eli «è stato sufficiente guardare, avvicinarsi a una donna, ascoltarla e risvegliare l’autorità per benedire e profetizzare: quella profezia è stata fatta e il figlio alla donna è venuto».
«L’autorità — ha concluso il Papa — è dono di Dio, viene solo da lui e Gesù la dà ai suoi: autorità nel parlare che viene dalla vicinanza con Dio e con la gente, sempre tutti e due insieme; autorità che è coerenza, non doppia vita». E «se un pastore perde l’autorità almeno non perda la speranza, come Eli: c’è sempre tempo di avvicinarsi e risvegliare l’autorità e la profezia»
(Fonte: L'Osservatore Romano)
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