L' immoralità di chi
specula sulla paura
di Nunzio Galantino,
Segretario generale della Cei e
vescovo emerito di Cassano all' Jonio
Ritrovarsi davanti qualche centinaio di giovani e parlare con loro di coraggio, di legalità, di giustizia e di responsabilità mi ha fatto dimenticare per un po' l' amarezza provata nel sentir parlare e leggere, invece, di violenza gratuita consumata da ragazzi ai danni di altri ragazzi.
Mentre incontravo i giovani studenti di Campobasso mi chiedevo: ma i giovani e i ragazzi chi sono? Sono quelli che mostrano tanto interesse per capire quanto senso possa avere ancora spendersi con coraggio e nella legalità o sono quelli che trovano divertente bruciare il bivacco di un clochard?
I giovani/ragazzi di oggi sono quelli che hanno voglia di capire perché una legalità che non si accompagna al senso di giustizia resta una legalità ambigua oppure giovani di oggi sono quelli che si accordano per accerchiare, in tutti i sensi, un loro coetaneo - meglio se con qualche difficoltà di troppo - e divertirsi umiliandolo o riducendolo addirittura in fin di vita?
I giovani/ragazzi di oggi sono quelli che hanno voglia di capire perché una legalità che non si accompagna al senso di giustizia resta una legalità ambigua oppure giovani di oggi sono quelli che si accordano per accerchiare, in tutti i sensi, un loro coetaneo - meglio se con qualche difficoltà di troppo - e divertirsi umiliandolo o riducendolo addirittura in fin di vita?
Mi piacerebbe avere una risposta capace di far chiarezza e di orientare me stesso in questi dilemmi. Ma non ne ho. Soprattutto perché ragazzi e giovani per me sono gli uni e gli altri. Continuo a credere che in ognuno di essi c' è voglia di capire e di stare al mondo in maniera consapevole. Ma ognuno di essi deve fare anche i conti con la tendenza malata a prevaricare sugli altri. Soprattutto quando gli altri, col loro comportamento o con la loro fragilità, mettono in crisi sicurezze acquisite o arroganze ereditate.
Ho ascoltato con attenzione la domanda di Martina sul ruolo che la famiglia fa fatica ad avere nell' orientare un ragazzo e nel fornirgli strumenti necessari per non farsi trascinare dallo spirito del branco e dall' istinto dell' armento. Mi ha colpito l' intensità con la quale Ida si è chiesta e mi ha chiesto se, in un orizzonte abitato da poche speranze e scarsi stimoli, convenga restare o andar via. Me c' è stato anche chi, come Errico, mi ha chiesto se basta la morale cattolica per rimettere in piedi quel che resta di una vita sociale sfrangiata. E che dire dell' attenzione rivolta da Lorenza ai ragazzi denunziati da madri che riconoscono la loro incapacità a ridare senso alla vita di figli avviati su una cattiva strada o che chiedono esplicitamente di allontanare i propri figli da un ambiente, anche familiare, fortemente segnato dal malaffare?
Avrei voluto fermarmi con ciascuno di questi ragazzi per trovare col loro aiuto una risposta a quelle domande. Nell' impossibilità a farlo, mi sono accontentato di mettere in comune con tutti qualche riflessione su quanto sia necessario oggi recuperare, anche con l' aiuto degli adulti, la capacità di prendere congedo dalla retorica, dai luoghi comuni e dal politicamente corretto. Per fare questo bisogna - come voluto dal titolo dell' evento organizzato dall' Ufficio Scolastico Regionale del Molise - mettersi "A scuola di coraggio" di chi pensa che sia ancora possibile invertire la rotta di una vita che sembra destinata a essere preda dei violenti e degli intolleranti.
Una "scuola di coraggio" che non può certo avere come referenti quanti, in questo come in altri tornanti della storia, non si fanno scrupolo di esibire stili di vita improntati alla mancanza di moralità. Atteso ovviamente che la moralità non riguarda solo il sesto e il nono comandamento.
Immorale è anche chi dice cose o fa promesse che sa di non potere o volere mantenere. Immorale è anche chi specula sulla giustificata paura della gente. Paura che tutti abbiamo il diritto di provare di fronte al nuovo, all' inedito, all' imprevedibile. Senza soccombere.
«È normale - affermava Paolo Borsellino - che esista la paura, in ogni uomo. L' importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti». Quindi, fare scelte senza cedere alla paura, denunciare prevedendo di dover pagare un prezzo, impegnarsi pur in presenza o soprattutto in presenza di opinioni o modi di vivere appiattiti sul compromesso e sul tornaconto. Per fortuna di gente che ha fatto e continua a fare questo ce n' è ancora tanta in circolazione. È la loro vita che contribuisce a ridare speranza a me ma anche a Martina, Daniel, Matteo, Sabrina e a quanti sono in cammino con loro in questi anni di formazione. Ho voluto ricordare loro, a mo' di esempio, don Pino Puglisi (15 Settembre 1937 - 1993). Un prete animato dal coraggio per raggiungere un unico obiettivo: affrancarsi e affrancare da leggi non scritte ma tanto costringenti da ridurre, non una persona, ma una intera popolazione in schiavitù. La schiavitù della malavita, quella della mafia. A proposito di quest' ultima, don Pino diceva: «Credo a tutte le forme di studio, di approfondimento e di protesta contro la mafia. La mafiosità si nutre di una cultura e la diffonde: la cultura dell' illegalità». Un uomo, don Pino che ha avuto coraggio. Un coraggio attinto al Vangelo. Come tanti uomini e donne che non si accontentano di «stare in salotto», come afferma Papa Francesco. Gente che con la propria voglia di osare e di mettersi continuamente in gioco corre dei rischi; soprattutto il rischio di essere assimilata ai "disturbatori della quiete pubblica".