La febbre per l’Expo di Milano è salita, e grande è l’attesa per la kermesse, intensa la sua preparazione: ormai è presentata ogni giorno di più come il grande evento, capace di mutare la sorte del nostro paese e del nostro futuro. Dai diversi annunci quotidiani di iniziative e incontri culturali tutto sembra nuovissimo e inedito: si è portati a credere che si stia andando verso un evento escatologico.
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E la chiesa cattolica che farà dell’Expo? Si accontenterà di avere una vetrina tra i grandi o saprà partecipare a questa iniziativa in modo eloquente e profetico, con la parresia e la forza di critica e di denuncia in nome del vangelo, unica istanza che giustifica la presenza della chiesa e la può ispirare? Una presenza non finalizzata a propagandare la propria dottrina ma a ribadire che il cammino di umanizzazione è il “suo” cammino, un cammino che nasce dalla fede in un uomo che “ha voluto insegnarci come vivere in questo mondo”, dice l’apostolo Paolo, un uomo che veniva da Dio ed era suo Figlio ma che si è liberamente collocato dalla parte dell’uomo, pienamente solidale con noi, e che ha mostrato sollecitudine e cura soprattutto per chi era nel bisogno, nella fame, nella povertà, in condizione di straniero.
Non facciamo dell’evento dell’Expo la fiera degli auguri, il campionario dei proclami di intenti caritatevoli: sia invece occasione per affrontare seriamente, responsabilmente e concretamente i temi urgenti della fame e della povertà, ormai presenti anche in mezzo al mondo industrializzato, gli appelli improcrastinabili che la terra ci rivolge per la sua custodia e salvaguardia, il rispetto dei diritti delle generazioni future. Per tutti occorrerebbe che l’Expo diventasse l’occasione per far risuonare il comandamento: “Ama la terra come te stesso!”.
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