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mercoledì 29 aprile 2015

Giovanni Lo Porto... Quello che li aiutava a casa loro

Quello che li aiutava a casa loro
di Giorgio Bernardelli 

Tra tutte le parole su Giovanni Lo Porto è mancato l'unico esame di coscienza che ci chiama in causa sul serio: quello sul suo sguardo aperto al mondo


Le polemiche sugli americani dal grilletto facile? Fatto. Quelle sul premio Nobel per la pace con la passione per i droni? Pure. E poteva poi mancare lo scandalo di un'aula del parlamento italiano vergognosamente vuota al momento in cui il ministro degli Esteri riferisce sull'uccisione di un cooperante italiano in Pakistan? Non ci siamo fatti mancare nemmeno questo. E bene hanno fatto i media a dare voce alla dignità con cui i familiari di Giovanni Lo Porto hanno espresso tutto il loro sdegno.
C'è però un aspetto di questa vicenda che abbiamo svicolato, ed è il tema più generale della cooperazione allo sviluppo nel nostro Paese. Al di là di tanti altri risvolti ancora tutti da chiarire, infatti, questa morte è in qualche modo un simbolo potente dei passi indietro che l'Italia ha compiuto in questo campo; in Pakistan Lo Porto c'era andato per Welt Hunger Hilfe, una ong tedesca. Quasi a rappresentare una fuga dei cuori, oltre a quella dei cervelli.

L'Italia del «dobbiamo aiutarli a casa loro» è lo stesso Paese che per anni ha tagliato a mani basse nelle politiche pubbliche di sostegno alla cooperazione internazionale. E anche la recente inversione di tendenza - con l'approvazione qualche mese fa della legge di riforma di questo ambito - è ancora più un auspicio che un percorso consolidato (tanto per fare un raffronto: la Gran Bretagna recentemente ha fatto diventare una legge dello Stato la destinazione dello 0,7% del Pil alla cooperazione internazionale, quell'impegno che noi continuiamo a prendere solo a parole).

Il piano politico - però - non è il più rilevante in questo discorso; perché in Italia è soprattutto la cultura della cooperazione allo sviluppo ad aver fatto grandi passi indietro. Ed è un discorso che vale in maniera particolare per il mondo cattolico. C'è stato un tempo in cui eravamo particolarmente profetici in questo ambito; anni in cui erano i giovani delle nostre parrocchie i primi a scegliere questa strada. Alcuni di loro sono ancora là, ai quattro angoli del mondo, magari coi capelli bianchi. Altri si sono fermati solo qualche anno e poi sono tornati, portando nelle nostre comunità il respiro del mondo.

Ma oggi? Possiamo davvero dire che è ancora così? Di giovani che vorrebbero partire ce ne sono molti più di quanti pensiamo. Ma siamo altrettanto disposti a sostenerli in questo tipo di esperienze? Siamo ancora capaci di allargare lo sguardo al mondo? O invece - sotto sotto - pensiamo anche noi che uno che va a «nutrire il mondo» in Pakistan un po' «se la sta andando a cercare»?
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